Il racconto della Crocifissione e lo Yom Kippur
In ascolto di Esodo (Es 25,21-22).
a cura di Gianmartino Durighello e del Gruppo Esodo
Porrai il propiziatorio sulla parte superiore dell’arca e collocherai nell’arca la Testimonianza che io ti darò. Io ti darò convegno in quel luogo: parlerò con te da sopra il propiziatorio, in mezzo ai due cherubini che saranno sull’arca della Testimonianza, dandoti i miei ordini riguardo agli Israeliti.
* Porrai il propiziatorio sulla parte superiore dell’arca e collocherai nell’arca la Testimonianza che io ti darò.
Nei precedenti versetti abbiamo ascoltato le parole che Dio ha dato a Mosè per la costruzione dell’arca, nella quale sarà custodita la Testimonianza. Sopra l’arca, come un coperchio (ma ben più di un semplice coperchio) il kapporet, che traduciamo con propiziatorio. Ricordiamo che la parola kapporet deriva dalla radice verbale kapar che significa “coprire”, anche nel senso figurato di coprire i peccati. Da qui appunto “propiziatorio”. A questa stessa radice si collega Kippur, il grande rito di espiazione. Il kapporet è quindi propiziatorio. ma è anche insieme trono di grazia. Da sopra il propiziatorio infatti Dio verrà, assiso tra i cherubini, a incontrare Mosè e a parlare a Mosè:
* Io ti darò convegno in quel luogo: parlerò con te da sopra il propiziatorio
– ti incontrerò lì e parlerò a te.
La traduzione italiana perde la bellezza di quanto promette Dio a Mosè, pagando un po’ il debito della lezione latina.
La Bibbia greca dei LXX traduce mi farò conoscere a te. E la Vulgata praecipiam = ti insegnerò. Da qui le prime traduzioni italiane hanno colto un aspetto legalistico, di comando. Così ad esempio la Bibbia dell’abate Martini (1778) – peraltro un dono prezioso e per tanti aspetti utilissimo ancor oggi – traduce: t’intimerò i miei comandamenti.
L’originale ebraico andrebbe reso piuttosto con ti incontrerò lì e parlerò a te…
* t’intimerò i miei comandamenti
* ti insegnerò…
* mi farò conoscere a te
* ti darò convegno… parlerò con te
* ti incontrerò lì e parlerò a te
Comprendiamo che da “ti incontrerò…” a “mi farò conoscere a te” a “ti insegnerò” a “t’intimerò i miei comandamenti”… qualcosa si è perso. La lezione italiana con ti darò convegno recupera parzialmente la ricchezza di quanto avviene e che qui vorremmo cercare di gustare appieno. Dio dice a Mosè e a tutti noi: ti incontrerò lì e parlerò a te!
Dopo aver ripreso e sottolineato quanto già detto al versetto 16 (Nell’arca collocherai la Testimonianza che io ti darò) Dio indica il propiziatorio come il luogo in cui incontrerà Mosè. Conoscevamo la tenda, detta appunto dell’incontro o del convegno, come il luogo nel quale Dio veniva a parlare a Mosè. Ora, nella tenda, nel cuore della tenda… il propiziatorio:
Quando Mosè entrava nella tenda del convegno per parlare con il Signore, udiva la voce che gli parlava dall’alto del propiziatorio che è sopra l’arca della Testimonianza, fra i due cherubini. Ed egli parlava a lui. [Nm 7,89]
Perché è davanti alla Testimonianza, ossia nel dono della Sua Parola che Dio ci incontra, ci dà convegno:
(…) nella tenda del convegno, davanti alla Testimonianza, dove io vi do convegno. [Nm 7,19]
* In mezzo ai due cherubini
Come abbiamo contemplato, le ali di ognuno dei due cherubini erano rivolte verso l’alto e verso quelle dell’altro cherubino, così da formare un tetto, come una tenda. Il volto dei cherubini era rivolto in basso verso il centro del kapporet. E quando Dio parlava, Mosè sentiva la Sua voce uscire dai cherubini. Il Signore è invocato allora come Colui che siede sui cherubini:
Signore, Dio d’Israele, che siedi sui cherubini, tu solo sei Dio per tutti i regni della terra; tu hai fatto il cielo e la terra. [2 Re 19,15; Is 37,16]
Così quando Davide si accingerà a riportare l’arca…
Davide con tutto Israele salì a Baalà, verso Kiriat-Iearìm, che apparteneva a Giuda, per far salire di là l’arca di Dio, sulla quale si proclama il nome del Signore, che siede sui cherubini. [1 Cr 13,6]
Nei Salmi:
Seduto sui cherubini, risplendi
davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse. [Sal 79(80),2-3]Il Signore regna: tremino i popoli.
Siede in trono sui cherubini: si scuota la terra. [Sal 98(99),1]
– uno spazio vuoto
Nei giorni in cui meditavo questo testo, riflettendo sullo spazio vuoto che c’è tra i due cherubini, una amica monaca mi passò un foglietto nel quale aveva appuntato una riflessione di P. Timothy Radcliffe:
I vostri monasteri lasciano intravedere Dio non per quello che voi fate o dite, ma forse perché la vita monastica ha al centro uno spazio, un vuoto, in cui Dio può manifestare se stesso. Voglio suggerire che la Regola di san Benedetto costruisca una specie di centro vuoto nella vostra vita, nel quale Dio può vivere ed essere colto.
La gloria di Dio si mostra sempre in uno spazio vuoto. (…) tra le ali dei cherubini dell’arca dell’alleanza (…)
Qui (sulla croce) vediamo un trono di gloria che è anche un vuoto, un’assenza, poiché muore chiamando a gran voce un Dio che sembra averlo abbandonato. L’ultimo trono della gloria è una tomba vuota. [P. Timothy Radcliffe]
Assume importanza quello che «non» siamo… quello che «non» facciamo. Ritorna il tema della teologia negativa. La dimensione che caratterizza questo vuoto è un preciso moto dell’animo: il desiderio, l’anelito.
Non certo a caso, ma per grazia, il giorno successivo al dono di questo foglietto, la lettura dell’Ufficio mi offriva un bellissimo testo di sant’Agostino:
Lo vedremo così come egli è (1 Gv 3,2). L’intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione. (…) Cerchiamo, quindi, di vivere in clima di desiderio perché dobbiamo essere riempiti.
La nostra vita è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Già abbiamo detto altre volte che per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. (…) Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. (…)
Dio (…) Queste due sillabe sono tutto ciò che aspettiamo. (…) Protendiamoci verso di Lui perché ci riempia quando verrà. “Noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è”. [Agostino d’Ippona]
Il nostro anelito si compie in Cristo. È Lui infatti il vero propiziatorio, strumento di espiazione e trono di grazia.
Pensiamo anche ai due cherubini che coprono il propiziatorio e si guardano con i volti orientati verso di esso. (…) e che cosa dobbiamo vedere in essi se non i 2 Testamenti? Il propiziatorio cosa designa se non il Signore incarnato?
Di Lui Giovanni scrive: Egli è, infatti, il propiziatorio per i nostri peccati (1Gv 2,2). [Gregorio Magno]
– Gesù e lo Yom Kippur
Lo Yom Kippur (Yom ha-kippurim), una delle principali feste ebraiche, ha il suo culmine nel sacrificio di espiazione dei peccati volontari e involontari per il sacerdote e per il popolo. Durante il sacrificio, unica volta all’anno, il Sommo sacerdote entra nel Santo dei Santi e proclama il Nome santo rivelato da Dio a Mosè nel roveto.
Il racconto della crocifissione in Luca (cfr. Lc 23,26-46) sembra ripercorrere le tappe salienti dello Yom Kippur:
– una liturgia, il lamento. La salita al Calvario è descritta come una vera e propria Liturgia, compresi i tipici lamenti rituali delle donne.
Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.
– il perdono reciproco. Padre, perdona loro. Lo Yom Kippur è preparato da 10 giorni nei quali il popolo è chiamato ad esercitare il perdono reciproco e la riconciliazione. Perché nello Yom Kippur – come abbiamo visto – il momento saliente avviene quando il Sommo sacerdote entra nel Santo dei Santi per celebrare il sacrificio in espiazione dei peccati volontari ed involontari propri e di tutto il popolo. Non posso allora chiedere perdono a Dio dei miei peccati, se prima non ho perdonato il peccato del mio fratello. Ed ecco che Gesù in croce esercita questo atto di perdono e riconciliazione: Perdona loro!
Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
la proclamazione del Nome Santo. “Gesù! (= Jhwh salva) Ricordai di me quando entrerai nel tuo regno”. Questo è davvero un momento fondamentale dell’intero Vangelo di Luca. è questa l’unica volta nel Vangelo di Luca in cui Gesù è chiamato per nome! Non può essere un caso. Deve invece assumere una rilevante importanza nel racconto evangelico.
Nel rito ebraico del Tempio una sola volta all’anno veniva pronunziato il nome santo di Jhwh: nel giorno dello Yom Kippur il Sommo sacerdote entra nella tenda, il Santo dei Santi, nel cuore del Tempio – come abbiamo visto – per celebrare il sacrificio di espiazione per i peccati volontari ed involontari propri e del suo popolo e pronunzia il nome santo di Jhwh rivelato nel roveto a Mosè.
Nel Vangelo di Luca, nell’ora del sacrificio vespertino, si apre il velo del Tempio: il velo del tempio si squarciò a metà.
Entra Gesù nuovo sacerdote e vittima di espiazione e viene pronunciato il nome «Jhwh è salvezza» = Gesù:
“Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.
– il sacrificio. Gesù è consegnato come Agnello, come nostro capro espiatorio.
Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (=Hevel, Abele)”. Detto questo, spirò.
Nelle tue mani consegno… Abele! In ebraico, soffio-spirito, è Abele. Non c’è nessun fratello dall’inizio della storia che non venga riconciliato nell’unità di amore nelle mani del Padre nel mistero pasquale di Cristo. Caino ritrova il fratello Abele nello spirito che Gesù rimette nelle mani del Padre, riconciliazione universale.
Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (=Hevel, Abele)”. Detto questo, spirò.
Una vera e propria liturgia, i lamenti, il perdono, la proclamazione del Nome santo, il sacrificio, la riconciliazione piena. In Gesù si compie lo Yom Kippur.
Non è questa una moderna e fantasiosa interpretazione. I primi cristiani dovevano averlo ben chiaro: lo Yom Kippur si compie alla morte di Cristo. Era così importante lo Yom Kippur che non poteva non esserlo anche per i Cristiani (che erano ebrei osservanti!).
Il rito dello Yom Kippur ha lasciato quindi una profonda eredità nel cristianesimo. O meglio, più che il rito, lo spirito dello Yom Kippur, e prima ancora la persona di Cristo. Cristo è il propiziatorio, il kapporet, l’elemento più importante del rito del Kippur. La lastra sulla quale viene versato il sangue dell’Agnello.
Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione [gr. ilasterion; lat. propitiationem = propiziatorio], per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati [Rm 3,23-25]
Uno solo, infatti, è colui che è apparso sulla terra senza peccato, l’unigenito tuo figlio e Signore nostro Gesù Cristo, che è il grande propiziatorio per la nostra progenie, per mezzo del quale speriamo di trovare misericordia e remissione dei peccati; a causa del quale, anche a loro (i defunti) allontana, rimetti. [Anafora dei 12 Apostoli]
Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno. [Eb 4,16]
È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. [1 Gv 2,2]
* La vita come i 10 giorni che precedono lo Yom Kippur
Tutta la nostra vita terrena è paragonabile ai dieci giorni precedenti lo Yom Kippur, nei quali siamo chiamati al perdono e alla riconciliazione. Il cammino dell’esodo della vita è cammino di riconciliazione: con il Padre, con noi stessi, con i fratelli. Pensiamo al libro della Genesi che si apre e si chiude con una storia di fratelli. Dalla frattura fratricida di Caino con Abele alla riconciliazione di Giuseppe con i suoi fratelli.
Abbiamo già considerato in precedenti incontri come la nostra offerta non è mai una offerta solo personale, ma abbraccia sempre il fratello. Dal peccato di Caino come umanità ferita e fratricida aneliamo a una riconciliazione con Abele:
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. [Mt 5,23-24]
Ed ecco che Gesù ci dona la preghiera del Padre nostro: Padre… (non solo mio!) nostro!
Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Bene. Io perdono il fratello, ma se egli continua a peccare contro di me? All’esplicita domanda in tal senso di Pietro Gesù risponde con una esigenza di perdono illimitato:
Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. [cf Mt 18,21-22]
Padre, perdona!
Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.
Gesù in croce perdona non solo il male fatto (Lc 23,33-34), ma… perdona il male mentre viene compiuto. Come il suo sacrificio è un sacrificio eterno, perennemente immolato, così è eterno il suo perdono. E la sua riconciliazione piena. Davvero in quello spirito (=Hebel) che egli consegna al Padre, riconosciamo Abele, il fratello ucciso. In pensieri, parole, opere e omissioni. Omissioni! La frattura dell’umanità di ogni tempo e luogo è riconciliata nel nuovo Yom Kippur di Cristo, nostro Kapporet.
Padre, nelle tue mani consegno … Abele, il mio universale fratello.
Concludiamo questo incontro con una contemplazione (pittorica e in forma di preghiera) che ha preparato per noi l’amico Luis Lanzarini:
Chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Mia eternità, visita il mio nulla.
Mio abisso, attendimi nel mio vuoto.
Mia forza, coltiva il mio chiostro deserto.
Pozzo d’acqua viva, fai zampillare il mio cuore di pietra.Autore della vita, quale grande mistero vedere dove hai posto la tua tenda in questo nostro Esodo.
Fra i Cherubini ci dai convegno, o Re dei secoli,
sul Santo Legno hai fissato l’incontro.Fra le ali spiegate della Croce Ti sei lasciato lavorare dal martello dei nostri peccati, per divenire nuovo Propiziatorio più prezioso dell’oro fino.
Dal tuo Trono di Gloria hai fatto rifiorire Eden,
Tu, nuovo Albero della Vita, custodito dai Cherubini di Dio.
Lì hai donato il tuo ultimo respiro, dolce come la brezza dell’Oreb,
per aprire al buon ladrone i sagrati eterni.
Lì hai abbassato i Cieli e nel tuo costato vuoto ci hai dato rifugio.
Lì hai rimesso il tuo Spirito, riscattando Abele e ogni uomo creato,
e restaurando l’Icona che l’Altissimo aveva scritto a Sua immagine.Edificami su di Te, mia roccia.
Abita il mio silenzio, Verbo della vita.
Trasfigurami con Te, Sole senza tramonto.Ascolta il mio lamento, giudice supremo.
Donami il tuo perdono, orizzonte d’Amore.
Lavami nel tuo Sangue, agnello pasquale.
Prostrato ti adoro, Santo dei Santi.Mia eternità, abita il mio nulla.
Mio abisso, stendi la tua mano e salvami.
Mia forza, nutrimi di Te.
Mia legge.
Mio tutto…
(Luis Lanzarini)