In ascolto di Esodo

Sia fatta la Tua Volontà (il Tuo Desiderio!)

In ascolto di Esodo – (Es 29,1-3). Consacrazione dei sacerdoti e dell’altare.

a cura di Gianmartino Maria Durighello e Gruppo Esodo, Piccoli amici di Maria Maddalena

Carissimi amici, iniziamo oggi l’ascolto del capitolo XXIX di Esodo. Dopo aver dato le indicazioni per gli abiti dei sacerdoti, in questo capitolo il Signore continua a istruire Mosè sul rito di investitura dei sacerdoti e sulla consacrazione dell’altare.

vv. 1-3 Preparazione
vv. 4-9 Purificazione, Vestizione, Unzione
vv. 10-21 Offerta del giovenco e dei due arieti
vv. 22-29 Investitura
vv. 31-35 Pasto sacro
vv. 36-46 Consacrazione dell’altare degli olocausti e olocausto quotidiano

 Osserverai questo rito per consacrarli al mio sacerdozio. Prendi un giovenco e due arieti senza difetto; poi pani azzimi, focacce azzime impastate con olio e schiacciate azzime cosparse di olio: le preparerai con fior di farina di frumento. Le disporrai in un solo canestro e le offrirai nel canestro insieme con il giovenco e i due arieti.

Ascoltiamo il passo parallelo dal libro del Levitico:

Il Signore parlò a Mosè e disse: “Prendi Aronne insieme ai suoi figli, le vesti, l’olio dell’unzione, il giovenco del sacrificio per il peccato, i due arieti e il cesto dei pani azzimi; convoca tutta la comunità all’ingresso della tenda del convegno”. Mosè fece come il Signore gli aveva ordinato e la comunità fu convocata all’ingresso della tenda del convegno. Mosè disse alla comunità: “Questo il Signore ha ordinato di fare“. [Lv 8,1-36]

 Oggi ci soffermeremo su questi primi tre versetti, di introduzione, e in particolare sul primo enunciato, cercando di cogliere nel testo ebraico la bellezza e profondità di queste parole:

  • osserverai… (alla lett. farai)
  • questo rito… (alla lett. questa cosa/questa parola)
  • per consacrarli al mio sacerdozio (alla lett. … sacerdoti a me/per me)

E giungeremo a contemplare la bellezza della Parola (come volontà, o meglio «desiderio» del Padre) che chiede di essere accolta, vissuta, «fatta» (!) in noi.

* Osserverai questo rito…
Osserverai questo rito. Alla lettera: Questa è la cosa (la parola) che farai loro…
Così il Levitico: Questo il Signore ha ordinato di fare. Alla lettera: Questa la cosa (la parola) che il Signore ha ordinato di fare.

Come facciamo spesso, a questo punto ci piace consultare anche alcune tra le prime Bibbie in volgare.

Il Diodati (1607):

E questo è quello che tu farai loro per consacrargli, acciocché m’esercitino il sacerdozio.

Il De Sacy (1672):

Ecco ciò che hai a fare per consacrare Aronne…

E anche l’abate Martini (1758):

Farai anche questo, affine di consacrarli pel mio sacerdozio.

È posto cioè in rilievo il nostro essere chiamati a… “fare”: Questo è quello che farai! Diverso infatti è “osservare” un rito, le sue rubriche; altra cosa è il “fare”.
Sul termine ebraico dabar che può essere tradotto con “parola” ma anche con il nostro generico “cosa” (esplicitato nella versione Cei con “rito”), ritorneremo tra un poco.

Ma prima meditiamo la seconda parte dell’enunciato: per consacrarli al mio sacerdozio.

* … per consacrarli al mio sacerdozio.
La costruzione della frase nella lingua ebraica è molto bella. Alla lettera:

Ora, questa la cosa (parola = dabar) che farai a loro per consacrare (a santificare = qadēsh) loro per (essere) sacerdoti per me.

Il greco e il latino sono molto vicini al testo ebraico.

Cfr. VG: “mihi in sacerdotio consecrèntur”.

Non tanto “mio” sacerdozio, con l’aggettivo possessivo, ma “a me”, “per me”. Anche la Bibbia edizioni Mamash:

Questo è ciò che farai loro, per consacrarli affinché mi prestino culto.

Il libro de Levitico ci aiuta a cogliere come il sacerdozio è dato ai leviti in dono, per il Signore e per i fratelli:

Ecco, io ho preso i vostri fratelli, i leviti, tra gli Israeliti; dati al Signore, essi sono resi in dono a voi, per prestare servizio nella tenda del convegno. Tu e i tuoi figli con te eserciterete il vostro sacerdozio per tutto ciò che riguarda l’altare e ciò che è oltre il velo, e presterete il vostro servizio. Io vi do l’esercizio del sacerdozio come un dono. [Lv 18,6-7]

La consacrazione dei sacerdoti dovette esser compiuta dopo l’erezione del Tabernacolo. Fino ad allora le funzioni sacerdotali furono svolte da Mosè. Riportiamo la nota a questo versetto della Bibbia Mamash:

Questo: una volta creato il Tabernacolo e confezionati gli indumenti sacerdotali, si passava alla consacrazione dell’edificio e dei cohanìm (=sacerdoti) con il rituale descritto in questo capitolo. Esso doveva essere praticato per sette giorni consecutivi, a partire del 23 di Adàr fino al primo di Nissàn.
Durante questi 7 giorni, il culto era eseguito esclusivamente da Mosè, che ricopriva momentaneamente il ruolo di Cohèn Gadòl (=Sommo sacerdote), indossando gli abiti di lino bianco.
Il primo di Nissàn, poi, Aronne e i suoi figli sarebbero divenuti i cohanìm veri e propri.
Questo capitolo riporta soltanto i precetti relativi all’inaugurazione; la sua esecuzione effettiva e il suo apogeo del primo di Nissòm sono descritti in Vayikrà (=Levitico, chiamato anche
a Torah dei Cohanìm), cap. 8-10.
Gli elementi del culto sacrificale, come quello relativo al sangue e alle parti degli animali che venivano messi sull’altare, sono invece riportati in dettaglio nei primi sette capitoli di Vayikrà (=Lv 1-7)

* Questo: ha_dabar.
Il termine “dabar” è quindi spesso impiegato come il nostro generico “cosa”: questa cosa… che nel nostro versetto la versione Cei esplicita con “questo rito”. VG e LXX, sono più fedeli al testo letterale:
VG    Sed et hoc facies…
LXX Kai tauta estìn…

Ma, come sappiamo, la “cosa” per eccellenza è la Parola e dabar significa anche parola, fino ad indicare anche (e soprattutto) La Parola.

Possiamo quindi anche tradurre: e questa la Parola che farai a loro…

Così lo intende Rabbenu Bekhayé (Saragozza 1260ca-1340), che vi legge un riferimento all’epoca dell’esilio e della diaspora in cui non ci sarà più il Tempio e non sarà più possibile un culto con i sacrifici qui ordinati. Allora il culto ricorrerà alla Parola, alle parole della Torah e alla preghiera, per ottenere il perdono e la misericordia.

In ogni caso – osserva Rav Zalman Sorotzkin (Lituania, 1881 – Israele, 1966) – questo versetto sottolinea l’importanza della Parola. Le offerte da sole non sono sufficienti al vero culto, sono necessarie anche le parole di Mosè ricevute da Yhwh. Ossia l’esecuzione della volontà di Yhwh.

Non possiamo non pensare ancora all’incontro di Gesù con la donna samaritana e al suo annunciare un culto in spirito e verità. Questa è la Parola-Volontà di Yhwh. Oltre il culto e oltre i simboli. Il culto, il tabernacolo e il sacerdozio… hanno funzione di tenere viva la Parola di Dio, la sua Volontà, il suo “farsi” nella vita.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo.
Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo”. [Sal 39,7-9]

Insegnami a fare la tua volontà,
perché sei tu il mio Dio.
Il tuo spirito buono
mi guidi in una terra piana. [Sal 142,10]

* Sia fatta la tua volontà.
La tua volontà. Il vocabolo ebraico ratzon include l’idea di “piacere, desiderio”. Volontà di Dio è ciò che Dio desidera per noi.
È davvero bello, e importante, quando noi diciamo o leggiamo “la tua volontà”, riferita alla volontà di Dio, non pensare tanto a un ordine da eseguire, ma un suo desiderio da accogliere ed abbracciare e fare nostro.
Il termine «volontà» può far pensare a un comando, a un rapporto di sudditanza, a una obbedienza dovuta.
Il termine «desiderio» invece ci mette vicini al cuore di Dio.
Così Gesù nel “Padre nostro”: sia fatta la tua volontà.
Così Gesù nell’orto degli olivi: non la mia, ma la tua volontà.
Gesù ci insegna a identificare la nostra volontà-il nostro desiderio con la volontà-il desiderio del Padre.
A questo punto ci è venuto spontaneo cercare il termine che Gesù probabilmente ha pronunciato per dire “volontà”, in aramaico: zebianèka, termine che ugualmente contiene l’idea di desiderio.

Quindi: questa è la Parola che farai loro!

La Parola, infatti, non è mai una semplice… parola. La Parola è viva. È sempre legata a un “fare”, e quindi a un “essere”:

Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. [Gen 1,3]

Tutto parte dalla Parola e tutto ritorna alla Parola.

Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
11così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata. [Is 55,10-11]

* “Ciò che io desidero”!
Ricevendo la Parola non riceviamo un discorso, ma riceviamo – pensiamo – i desideri di Dio! Il nostro fare allora è conformarsi ai desideri di Dio.

Ecco l’importanza di accogliere la Parola, di ascoltare la Parola, di ruminare la Parola, di masticare la Parola, anche quando non sappiamo cosa stiamo dicendo… memorizzarla, farla un tutt’uno con noi, noi che siamo fatti a sua immagine e somiglianza.

Signore,
aiutaci ad amare e fare la tua volontà… il tuo desiderio!