In ascolto di Esodo

Le mani dei sacerdoti “riempite” del sangue dell’Agnello

In ascolto di Esodo (Es 28,40-43)

a cura di Gianmartino Maria Durighello e Gruppo Esodo, Piccoli amici di Maria Maddalena

Le mani dei sacerdoti “riempite” del sangue dell’Agnello

Carissimi amici,
riprendiamo dopo la pausa estiva il nostro cammino in ascolto di Esodo. Le meditazioni dello scorso anno erano tutte incentrate sul tema degli abiti dei sacerdoti. Ascoltiamo oggi una piccola appendice che ne completa l’elenco e allo stesso tempo prelude al prossimo passo: l’unzione, investitura e consacrazione dei sacerdoti.

 

Per i figli di Aronne farai tuniche e cinture. Per loro farai anche berretti per gloria e decoro.
Farai indossare queste vesti ad Aronne, tuo fratello, e ai suoi figli. Poi li ungerai, darai loro l’investitura e li consacrerai, perché esercitino il sacerdozio in mio onore.
Farai loro inoltre calzoni di lino, per coprire la loro nudità; dovranno arrivare dai fianchi fino alle cosce. Aronne e i suoi figli li indosseranno quando entreranno nella tenda del convegno o quando si avvicineranno all’altare per officiare nel santuario, perché non incorrano in una colpa che li farebbe morire. È una prescrizione perenne per lui e per i suoi discendenti.

Farai quindi: tuniche e cinture… berretti… calzoni di lino.
Con questi versetti che concludono il capitolo XXVIII di Esodo l’elenco degli abiti dei sacerdoti è completo.

Nel prossimo capitolo ascolteremo quindi le norme per l’unzione, l’investitura e la consacrazione dei sacerdoti, delle quali già qui viene fatto cenno:
– farai indossare
– poi li ungerai
– darai loro l’investitura
– li consacrerai

* Vestizione-unzione-investitura-consacrazione

Questo rito non si sarebbe più dovuto ripetere per i sacerdoti semplici i quali, alla loro nascita, sarebbero stati “automaticamente” sacerdoti in virtù della loro appartenenza alla tribù sacerdotale. Solo per il Sommo Sacerdote, alla sua nomina, si sarebbe dovuto ripetere il rito di investitura e consacrazione.

Su alcuni aspetti richiamati in questi versetti (come il concetto di “gloria e decoro” e la funzione dei calzoni) abbiamo già avuto occasione di soffermarci in precedenti incontri. Qui vorremmo sostare sull’espressione “darai loro l’investitura”, espressione che, nella traduzione italiana, è molto lontana dal significato letterale.

* darai loro l’investitura

Alla lettera “riempirai la loro mano”. (milē’tā èt yādām).

La traduzione Cei cerca di ovviare a un significato per noi non immediato, con una espressione che da un lato resta astratta e d’altro lato perde la ricchezza del significato originario.

Di fronte a questo problema gli “amici” che abbiamo già imparato a consultare, come l’abate Martini e il De Sacy (a me particolarmente cari insieme al Diodati perché tra i primi a sentire forte l’esigenza di una traduzione in lingua viva della Parola biblica), pur uscendo anch’essi dal significato più strettamente letterale, avevano cercato una soluzione che non perdesse il riferimento concreto alle «mani»:
– Bibbia del De Sacy (1672-1684): consacrerai le mani a tutti.
– Bibbia dell’abate Martini (1769-1771): consacrerai le mani di tutti loro.

Per comprendere il significato di questa espressione dobbiamo già andare al prossimo capitolo e alla descrizione del rito di investitura.  Il rito prevede che Mosè “riempia” le mani di Aronne e dei suoi figli con parti insanguinate dell’agnello del sacrificio:

Prenderai il secondo ariete; Aronne e i suoi figli poseranno le mani sulla sua testa.  Lo immolerai, prenderai parte del suo sangue e ne porrai sul lobo dell’orecchio destro di Aronne, sul lobo dell’orecchio destro dei suoi figli, sul pollice della loro mano destra e sull’alluce del loro piede destro; poi spargerai il sangue intorno all’altare. (…)  Metterai il tutto sulle palme di Aronne e sulle palme dei suoi figli e farai compiere il rito di elevazione davanti al Signore. [Es 29,20.24]

Il culto sacrificale che attribuisce santità alla Tenda e ai sacerdoti consacrati al suo servizio è chiamato millu’îm, che alla lettera significa… “riempimento”.

E l’agnello ’ēl hāmillu’îm, agnello del riempimento.

* L’agnello del «riempimento»

Il rito di investitura è descritto in modo dettagliano nel libro del Levitico (cf Lv 8,1-36).

Tutta la comunità è convocata all’ingresso della tenda del convegno. Quindi Mosè, dopo aver purificato con acqua Aronne e i suoi figli, li riveste degli abiti sacerdotali: 

(…) Mosè fece accostare Aronne e i suoi figli e li lavò con acqua. Poi rivestì Aronne della tunica, lo cinse della cintura, gli pose addosso il manto, gli mise l’efod e lo cinse con la cintura dell’efod, con la quale lo fissò. Gli mise anche il pettorale, e nel pettorale pose gli urìm e i tummìm9Poi gli mise in capo il turbante e sul davanti del turbante pose la lamina d’oro, il sacro diadema, come il Signore aveva ordinato a Mosè.

Mosè consacra poi con l’olio dell’unzione la Dimora con quanto vi è contenuto, l’altare con i suoi accessori, il bacino per il sacrificio. Quindi versa l’olio dell’unzione sul capo di Aronne e sui suoi figli e sulle loro vesti.
Fatto avvicinare il giovenco del sacrificio, Aronne e i suoi figli stendono le loro mani sul capo del giovenco. Quindi Mosè lo scanna e spalma con il sangue della vittima sacrificale i corni e la base dell’altare, e consacra l’altare per poter compiere su di esso il sacrificio. Brucia quindi sull’altare le parti grasse aderenti alle viscere, il lobo del fegato, i reni col loro grasso e, fuori dell’accampamento, la pelle, la carne e gli escrementi.
Ed eccoci al momento che qui ci interessa in particolare:

Poi fece accostare il secondo ariete, l’ariete del rito di investitura (’ēl hāmillu’îm), e Aronne e i suoi figli stesero le mani sulla testa dell’ariete. Mosè lo scannò, ne prese del sangue e lo pose sul lobo dell’orecchio destro di Aronne e sul pollice della mano destra e sull’alluce del piede destro. Mosè fece avvicinare i figli di Aronne e pose un po’ del sangue sul lobo del loro orecchio destro, sul pollice della mano destra e sull’alluce del piede destro; sparse il resto del sangue attorno all’altare. Prese il grasso, la coda, tutto il grasso aderente alle viscere, il lobo del fegato, i reni con il loro grasso e la coscia destra; dal canestro dei pani azzimi, che stava davanti al Signore, prese una focaccia senza lievito, una focaccia di pasta con l’olio e una schiacciata e le pose sulle parti grasse e sulla coscia destra. Mise tutte queste cose sulle palme di Aronne e dei suoi figli e compì il rito di elevazione davanti al Signore. Mosè quindi le prese dalle loro palme e le fece bruciare sull’altare insieme all’olocausto: sacrificio per l’investitura, di profumo gradito, sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore.

Il sangue e i sacrifici di sangue

Ricordiamo che il sangue è considerato sede della vita. Ancor oggi – ci fa notare l’amico Domenico – usiamo espressioni e termini che rendono questo immediato e stretto rapporto del sangue con la vita, come ad esempio quando diciamo “sanguigno” di un uomo che è… carico di vitalità.

Il sangue-vita è ritualmente simbolizzato dal vino, per il colore rosso, ma anche per la proprietà del vino di dare carica, forza, “di fare buon sangue” (secondo un antico detto), di “allietare il cuore dell’uomo” (Salmo 103,15).

Una festa di nozze senza vino (pensiamo alle nozze di Cana) non è completa. E sappiamo come le nozze di Cana si realizzino compiutamente nell’Ora della Croce, nel vero vino buono che è il sangue di Gesù, nostro agnello del riempimento, sangue sparso per la nostra salvezza, nel quale siamo rigenerati, richiamati alla vita.

Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. [Gv 19,34]

L’idea del sacrificio nella forma dell’offerta della vita è antichissima e prassi universale, come espressione rituale dell’anelito dell’uomo a cercare l’incontro, la comunione con l’essere supremo, datore della vita. E sono dapprima sacrifici umani. Per propiziare l’incontro con il Signore della vita, doveva essere offerta la nostra stessa vita, attraverso il sacrificio di una vita giovane, bella, pura, integra, come quella di una vergine.

Col passaggio dai sacrifici umani ai sacrifici animali e poi a frutti del suolo e del lavoro dell’uomo (come il nostro pane e vino) il contenuto del sacrificio non cambia. Nei simboli del pane e del vino è sempre la nostra vita che noi offriamo sull’altare.

Dal sacrificio di Abele e Caino al sacrificio di Gesù. Pensiamo ancora una volta – osserva l’amica Francesca – quanto fortemente simbolico doveva apparire il sacrificio di Cristo, la sua morte in croce, agli occhi dei contemporanei. Egli ha compiuto, incarnato e rinnovato la Scrittura. Il suo sacrificio-offerta compie e pone fine a tutti i sacrifici (cfr. Lettera agli Ebrei).

E ancora consideriamo come nella nostra Messa ritroviamo gesti e segni che attingono a questi atti rituali universali. Su tutti ci viene alla mente e al cuore quando il sacerdote dice sottovoce:

L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana. [Liturgia]

 * Le mani e il sangue.

Vogliamo ora fermarci a meditare sul tema delle mani e in particolar modo sul rapporto tra le mani e il sangue.

In ebraico la parola “mano” Yad ( ד י ) è composta dalla lettera Yod (י), che – come ci è capitato più volte di incontrare – simbolizza proprio la mano ed ha il valore numerico di 10. Dieci come le dita nell’unità delle due mani. Ma soprattutto come le 10 parole donate da Dio sul Sinai.

La Yod è inoltre la più piccola lettera dell’alfabeto ebraico. Ricordiamo l’episodio in cui Gesù dice:

Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. [Mt 5,17-18]

Ma la Yod è anche la prima lettera del Nome santo YHWH rivelato da Dio a Mosè nel fuoco del roveto.

Pensiamo: Dio sceglie la più piccola lettera dell’alfabeto per rivelarci il suo santo Nome. Tanto si fa piccolo per rivelarsi a noi. Si mette… nelle nostre mani.

La seconda lettera della parola Yad è la Dalet che, di valore numerico 4, simbolizza la porta, il passaggio. è anche la prima lettera della parola Dabar=Parola.

Entrambi le lettere che compongono la parola Yad, mano (ricordiamo che nell’alfabeto ebraico dobbiamo considerare vere lettere le consonanti), rimandano quindi in modo forte e immediato al dono della Parola.

Non a caso la Yad, ci ricorda l’amica Stefania, è anche il puntatore (la “manina” chiusa con il dito indice puntato) per la lettura pubblica della Torah.

Ora, continuando a leggere questo versetto nella lingua ebraica, accade qualcosa di straordinario. L’espressione “la loro mano” è yādām.

Alle lettere Yod e Dalet  (Y+D) si aggiunge ora una Mem (M).

Se noi leggiamo le prime due lettere (Y+D) troviamo la mano, come abbiamo visto. Ma le ultime due lettere prese da sole (D+M) significano anch’esse una parola, la parola “sangue”.

L’espressione yādām , che significa “la loro mano”, contiene già in sé queste due parole: mano e sangue!

Il termine “sangue” in ebraico (dam) ha la capacità di riportarci con immediatezza ad altre parole che ricollegano in modo immediato alla Genesi, e in particolare alla creazione dell’uomo. Il suolo (’adāmāh) e l’uomo (’ādām), plasmato da Dio con la polvere di ’adāmāh (Gen 2,7). Tutte parole che contengono la parola dam, sangue.

Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo [Gen 2,7]

Perché appunto il sangue è la sede della vita! E allora ecco che Dio dice a Caino, chiedendo ragione del suo fratello:

La voce del sangue (dam) di tuo fratello grida a me dal suolo (’adāmāh)! [Gen 4,10]

Ci lasciamo “stupire” allora, senza poter addentrarci, dalla profondità che deve avere questo gesto di investitura: riempire le mani dei sacerdoti del sangue dell’agnello. Un gesto che unisce tutta la nostra storia di salvezza, dalla Genesi a questo nostro Esodo fino – pensiamo – all’Agnello della Nuova Alleanza, al suo sangue, alle sue mani…

Nei prossimi incontri vorremmo fermarci a contemplare:
– le mani di Dio Padre;
– le mani del Figlio, Agnello immolato, sull’altare della croce e nella risurrezione;
– le nostre mani…

Ci lasciamo oggi con una riflessione che ci dona l’amica Paola. Sappiamo che col battesimo siamo tutti sacerdoti, partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo. Pensando ancora alla nostra Messa, consideriamo quando noi, come i figli di Aronne, alla comunione riceviamo nelle nostre mani l’ostia, il corpo dell’Agnello. E, anche quando per motivi pratici non avviene la comunione sotto le due specie del pane e del vino=sangue, ricordiamo che la comunione è sempre al corpo e al sangue (!) di Cristo. Pensiamo: nelle nostre mani!

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