In ascolto di Esodo

Gli Abiti dei Sacerdoti. Rivestiti di Carità e Umiltà

In ascolto di Esodo (Es 28,1-5)

a cura di Gianmartino Maria Durighello e Gruppo Esodo, Piccoli amici di Maria Maddalena

Fa’ avvicinare a te, in mezzo agli Israeliti, Aronne tuo fratello e i suoi figli con lui, perché siano miei sacerdoti: Aronne, Nadab e Abiu, Eleàzaro e Itamàr, figli di Aronne.
Farai per Aronne, tuo fratello, abiti sacri, per gloria e decoro.
Parlerai a tutti gli artigiani più esperti, che io ho riempito di uno spirito di saggezza, ed essi faranno gli abiti di Aronne per la sua consacrazione e per l’esercizio del sacerdozio in mio onore. 

 Il capitolo XXVIII, che oggi iniziamo, sarà tutto dedicato alle istruzioni per gli abiti dei sacerdoti. A questo compito dovranno essere chiamati gli artigiani più esperti, che Mosè dovrà contattare personalmente (“parlerai”) e che il Signore stesso ha riempito di uno spirito di saggezza.

Come ascolteremo nei prossimi versetti, il Sommo Sacerdote, entrando nella Tenda dell’incontro, porterà sul petto, nel proprio cuore, e sulle sue spalle i nomi delle 12 tribù del popolo di Israele e sulla fronte il santo Nome di YHWH.

È questo il cuore del sacerdozio levitico, sacerdozio di mediazione per l’incontro di salvezza tra Dio e il suo popolo.

Il sacerdozio della Nuova Alleanza ha un solo mediatore: Cristo. Tutti i cristiani sono partecipi del suo unico sacerdozio, in forza del battesimo, ognuno secondo i propri carismi e la propria vocazione.

I Padri della Chiesa allora, negli abiti del Sommo Sacerdote della Prima Alleanza, vedranno «in figura» quello che deve essere l’«abito» di ogni cristiano, e in particolare dei sacerdoti, chiamati ad essere per ognuno modello e guida: la Carità e l’Umiltà, madri di ogni virtù.

Nei prossimi incontri ascolteremo le istruzioni per i vari indumenti che dovrà indossare il Sommo Sacerdote, cercando di coglierne la profonda simbologia legata alla funzione di mediazione per l’espiazione e la purificazione a salvezza di tutto il popolo.

Ci concentriamo oggi sui primi tre versetti, di introduzione.

* Fa’ avvicinare a teAronne tuo fratello.
Letteralmente “avvicina a te, accosta a te”. Ci pare di cogliere non tanto che Mosè incarichi qualcuno di far avvicinare a lui il fratello, ma che egli stesso accosti a sé Aronne con i figli di lui.

Nella guida del popolo, Mosè non è solo.

Ricordiamo che già il suocero Ietro gli aveva suggerito di istituire un gruppo di anziani che lo assistessero nel giudizio. Episodio questo che sta alla base della istituzione dei Giudici e quindi dei 70 anziani del sinedrio (cf Es 18).

Ora, il popolo liberato abbisogna di sacerdoti dedicati al culto, al sacrificio dell’altare. Fino alla costruzione del Mishkàn doveva essere lo stesso Mosè che assolveva anche alle funzioni di sacerdote (cfr. Rashi). Ora, commenta il Rebbe di Lubavitch, Mosè accosta a sé, porta al proprio livello Aronne e i figli di lui perché esercitino il sacerdozio.

In questo “avvicinare a sé” il fratello, i padri rabbini vedono un aspetto molto bello che deve diventare un insegnamento per coloro che in ogni epoca sono chiamati alla guida del popolo: Mosè (la guida) non deve sentirsi superiore ad Aronne, ma… accostarlo a sé! In questo modo vediamo anche il profondo legame che unisce Mosè e Aronne, il carisma profetico e il carisma sacerdotale, “fratelli” nella mediazione di salvezza.

Così, il sacerdozio levitico (come anche il nostro sacerdozio) è un dono di grazia che Dio fa al suo popolo. Al sacerdozio si accede non per meriti umani, ma per chiamata di Dio, che qui parla per mezzo del suo servo Mosè. Ci piace riportare una nota dalla storica Bibbia dell’abate Martini:

Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek. [abate Martini]

La Parola è il miglior commento a se stessa: 

Ecco, io ho preso i vostri fratelli, i leviti, tra gli Israeliti; dati al Signore, essi sono resi in dono a voi, per prestare servizio nella tenda del convegno. Tu e i tuoi figli con te eserciterete il vostro sacerdozio per tutto ciò che riguarda l’altare e ciò che è oltre il velo, e presterete il vostro servizio. Io vi do l’esercizio del sacerdozio come un dono. [Nm 18,6-7]

Tra gli Israeliti”. L’espressione in ebraico è la stessa che troviamo nel nostro passo di Esodo e che qui viene tradotta con “in mezzo agli Israeliti”:

 * in mezzo agli Israeliti.
La Vulgata di Girolamo traduce letteralmente “de medio filiorum Israel”, dal mezzo dei figli di Israele.

Le prime traduzioni della Bibbia in lingua italiana interpretano il gesto come una “separazione”. «Un tempo sacro» e «uno spazio sacro» che sono in un certo modo un tempo e uno spazio separati. Ma questa separazione è funzionale a farci comprendere – come abbiamo più volte meditato – che ogni tempo e ogni spazio è Sacro. Così i sacerdoti sono in un certo senso separati dal resto del popolo, ma con una funzione che è legata alla salvezza di tutto il popolo. Tutto il popolo infatti è sacerdotale! Ricordiamo le parole dell’Alleanza:

Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. [Es 19,6]

Così ad esempio la Bibbia di Port Royal del De Sacy (1613-1684) nella sua edizione italiana, inserisce rispetto al testo ebraico e della Vulgata due termini: “separandoli” e “altri”, avendo però l’accortezza di indicarli con un carattere tipografico diversificato:

Fa’ avvicinare a te Aronne tuo fratello co’ suoi figli separandoli di mezzo agli altri Israeliti.

Similmente, ancora la Bibbia dell’abate Martini (1778):

Oltre a ciò fa venire a te Aronne tuo fratello co’ suoi figliuoli separati dagli altri figliuoli d’Israele.

Venendo ad oggi, anche la Bibbia delle edizioni Mamash (2010) interpreta in questo modo inserendo tra parentesi il verbo “distinguendoli”:

E tu, accosta a te tuo fratello Aharòn – [distinguendolo] dai figli di Israèel.

La Bibbia Cei del 1974, risentiva ancora in parte di questa tradizione scegliendo la proposizione “tra”:

Tu fai avvicinare a te, tra gli Israeliti….

La nuova Bibbia Cei del 2008  in questo caso ci sembra fare un ulteriore passo in avanti verso la fedeltà al testo ebraico, sostituendo “tra” con “in mezzo”:

Fa’ avvicinare a te, in mezzo agli Israeliti…

Personalmente, mi sembra ancora più vicina la Nuova Diodati. La Bibbia Diodati del 1641 traduceva già molto bene nell’italiano del Seicento “E tu, fa accostare a te, d’infra i figliuoli d’Israel…”, che la Nuova Diodati aggiorna in:

Poi fa’ accostare a te Aronne tuo fratello e i suoi figli con lui, dal mezzo dei figli d’Israele, perché serva a me come sacerdote.

In altri precedenti incontri abbiamo meditato come la visione del popolo e del sacerdozio levitico non si possa descrivere tanto come una visione piramidale quanto con un doppio triangolo: un triangolo che sale da basso, dal popolo e un triangolo che scende dall’alto, da Dio verso un centro, tempo e luogo dell’incontro e della mediazione.

Una visione che nasce dall’incontro tra Dio e Mosè sulla cima del monte.

Da questo duplice movimento nasce anche il simbolo stesso del popolo di Israele, la stella di David, come due triangoli rovesciati che si intersecano.

A questa visione corrisponde anche la struttura concentrica del tempio di Gerusalemme. Cfr. il nostro contributo Un giorno nei tuoi atri. I cortili del tempio.

È l’abbraccio nuziale tra Cielo e Terra. L’uno – ci dice l’amica Elena – non può esserci senza l’altra. Per noi – ci ricorda ancora Francesca – questo movimento, questo incontro, si compie sul monte e altare della Croce in Cristo.

Ora questa identità del popolo nel suo rapporto con Dio è resa più evidente ancora, a nostro avviso, in una visione circolare, nella quale, tutto il popolo è presente. E al centro, “dal mezzo del popolo”, dal cuore (!) del popolo… chi è chiamato al servizio sacerdotale.

Saranno gli stessi figli di Israele, che abbiamo visto nello scorso incontro essere chiamati a portare l’olio per la lampada (https://psallite.net/wp/2024/01/10/lolio-il-fuoco-il-nome-lolio-per-il-candelabro/), a procurare ora il materiale prezioso per gli abiti dei sacerdoti, come era stato già annunciato al capitolo 25 di Esodo:

Ordina agli Israeliti che raccolgano per me un contributo. Lo raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore. Ed ecco che cosa raccoglierete da loro come contributo: oro, argento e bronzo, tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia, olio per l’illuminazione, balsami per l’olio dell’unzione e per l’incenso aromatico, pietre di ònice e pietre da incastonare nell’efod e nel pettorale. [Es 25,2ss]

Ci sembra importante, inoltre, ricordare che in gran parte questi beni provengono da quanto gli Ebrei si sono fatti dare dagli Egizi nella notte dell’uscita dall’Egitto, la notte pasquale. Ogni sacrificio ricorda, fa memoria di quella notte pasquale insieme all’incontro sul Sinai a Pentecoste.

Gli Israeliti eseguirono l’ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti d’argento e d’oro e vesti. Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani, i quali accolsero le loro richieste. [Es 12,35-36]

Ai figli di Israele già era stato concesso di portare con sé i propri beni, e il proprio bestiame. Farsi dare in aggiunta oro, argento e vesti è intenzionalmente finalizzato al sacrificio dell’altare nella tenda, il Mishkan, e agli indumenti dei sacerdoti.

* perché siano miei sacerdoti.
… perché esercitino il sacerdozio di mediazione tra il popolo e Yhwh.

Il sacerdozio levitico è essenzialmente legato al culto e al sacrifico dell’altare, come sacerdozio di mediazione e purificazione-espiazione.

Come abbiamo già accennato e come ascolteremo nei prossimi versetti, il Sommo Sacerdote entrerà nella tenda dell’incontro portando sul petto i nomi delle 12 tribù del popolo e insieme anche il Nome santo di JHWH!

* Farai per Aronne, tuo fratello, abiti sacri, per gloria e decoro.
Per gloria e decoro… di chi? di che cosa? La domanda non è banale. Infatti, nelle diverse traduzioni e nei diversi commenti Gloria e Decoro vengono sottolineate:

  • ora in riferimento al culto,
  • ora ai sacerdoti,
  • ora a Dio.

La Bibbia greca dei LXX traduce timén kai doxa, onore e gloria.

San Girolamo gloriam et decorem.

Se continuiamo a confrontare anora le versioni dell’abate Martini e del De Sacy incontriamo un nuovo passaggio.

L’abate Martini traduce maestà e ornamento, facendo pensare così al culto. Ancora più esplicita è la Bibbia di Port Royal del De Sacy che legge gloria, e decoro (aggiungendo, differenziando il carattere) del culto divino!

La traduzione del Diodati invece sposta l’attenzione ai sacerdoti. La traduzione del 1641 legge: a gloria, ed ornamento. Ma in nota riporta la glossa: per rendergli venerabili, e maestosi, nell’esercitio del loro ufficio. Che la Nuova Diodati rende così:

E farai ad Aaronne, tuo fratello, delle vesti sacre, per conferirgli onore e grazia.

Anche la versione riveduta del 2020:

E farai ad Aaronne, tuo fratello, dei paramenti sacri, come segno della loro dignità e come ornamento.

La edizione Mamash legge prestigio e bellezza, donandoci finalmente nel secondo termine questa parola: bellezza, che è la più naturale traduzione del testo ebraico. Anche se sostituisce gloria con prestigio.

In punta di piedi, senza alcuna pretesa, vogliamo fermarci a contemplare questa coppia di vocaboli, importanti nella storia biblica:

  • kavod, che a seconda dei contesti può assumere significati dalle sfumature diverse, ma che a noi richiama immediatamente la gloria di Yhwh, la nube che indica la presenza di Dio con il suo popolo. E anche l’onorare che si deve a Dio come anche ai genitori: onora (kavod) il padre e la madre…
    Una parentesi. Kavod come suo primo concreto significato indica il fegato. Da qui il significato anche di aver peso/pesare… Dar peso a qualcuno, a qualcosa, significa dargli onore, gloria, onorare. Da qui kavod come gloria e nube e presenza di Jhwh.
  • tiferet, che possiamo tradurre appunto come bellezza.

Come è tipico della lingua ebraica, specie della poesia, i due vocaboli servono a rinforzare un unico concetto che sinceramente ci sembra riferirsi in primo luogo a Dio e solo di riflesso al culto e ai sacerdoti.

Quando si incontrano parole come kavod e tiferet contempliamo qualcosa di stupendo… La gloria e la bellezza sono il segno visibile della presenza viva di Dio in mezzo a noi. Il culto e i suoi sacerdoti rivestiti della stessa gloria e bellezza hanno la sola funzione di mostrare una gloria-bellezza che è Dio presente in mezzo a noi!

Dare gloria, ricevere gloria… Dall’uomo a Dio e da Dio all’uomo. Comprende tutto il nostro essere cristiani e quindi anche il culto. Troviamo ancora nella Croce, nell’ultima Ora di Gesù, il senso vero e profondo di questa gloria.

La Croce di Cristo – ci ricorda ancora Francesca – è la nostra gloria, come cantiamo all’Introito della Messa in Coena Domini. Pensiamo non senza commozione ai vari passi del vangelo di Giovanni che si riferiscono alla glorificazione del Figlio e all’ora della Croce. Ne ricordiamo solo uno, quando Gesù dice di sé stesso:

È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato (Gv 12,23).

All’inizio della Quaresima, contempliamo la Gloria di Dio che pervade, riveste l’universo creato. L’abito (!) della creazione è la Gloria di Dio. Per questo Dio riveste l’uomo della sua stessa gloria:

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria (=kavod) e di onore lo hai coronato. [Cfr Sal 8]

Questa Gloria si è manifestata in pienezza nella Carità e Umiltà del Figlio, che noi crediamo nostro unico mediatore e sacerdote, sull’altare della croce.

 

 

 

 

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