In ascolto di Esodo

L’olio, il fuoco, il nome. L’olio per il candelabro

In ascolto di Esodo (Es 27,20-21)

a cura di Gianmartino Maria Durighello e Gruppo Esodo, Piccoli amici di Maria Maddalena

Buon anno nuovo, nel Nome del Signore!

La Parola di Esodo che in questo mese ci è donata ci offre di meditare sull’olio che alimenta la fiamma-luce del candelabro d’oro, la menorah.
Olio, quindi, e fuoco. E contempleremo come olio e fuoco siano strettamente collegati a un terzo elemento, il Nome.
Il Nome che Dio rivela nel fuoco del Roveto e che viene proclamato una volta all’anno dal Sommo Sacerdote nel Santo dei Santi.
Il Nome segna anche per noi oggi l’inizio… del cosiddetto anno civile. Infatti, anche se la data del capodanno al 1 gennaio ha origine prima della nascita di Cristo, in epoca romana, noi la celebriamo come ottava del Natale, festa della circoncisione e della imposizione del nome al Dio fattosi uomo, fattosi bambino! Il nostro anno civile inizia… nel nome di Gesù! A.D., Annus Domini!

Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per l’illuminazione, per tener sempre accesa una lampada. Nella tenda del convegno, al di fuori del velo che sta davanti alla Testimonianza, Aronne e i suoi figli la prepareranno, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore: rito perenne presso gli Israeliti di generazione in generazione.

 Il Signore aveva già dato a Mosè le istruzioni per la costruzione della menorah, il candelabro d’oro a sette braccia (Es 25,31-40). Abbiamo dedicato alla menorah due meditazioni, che possiamo trovare ai seguenti link:

https://psallite.net/wp/2022/10/23/la-menorah-il-candelabro-a-7-braccia-prima-parte/

https://psallite.net/wp/2022/12/04/la-menorah-il-candelabro-a-7-braccia-seconda-parte/

Nel primo di questi incontri, su segnalazione dell’amica Stefania, abbiamo contemplato la menorah di Joel Arthur Rosenthal, geniale opera scultorea donata dall’autore al museo ebraico di Roma. Rosenthal realizza la menorah come un roveto di mandorlo in fiore, aiutandoci così a cogliere il profondo nesso tra luce del candelabro, fuoco del roveto e rivelazione del Nome.

Ricordiamo che la menorah non è collocata nel Santo dei Santi, insieme all’arca che contiene le tavole dell’alleanza. La Parola infatti non ha bisogno di luce: essa stessa è luce. Ma è collocata nella prima tenda, affinché tutti possano vederla, fuori del velo che separa la prima tenda dal Santo dei Santi. La menorah ha quindi in particolare il compito di portare la luce dal tempio, ove splende la Torah, a fuori del tempio, a irradiare il mondo. Così ogni credente è chiamato a divenire egli stesso – nel mondo – candelabro vivente. In particolare ci aiutano queste parole di Gesù quando dice:

Io sono la luce del mondo. [Gv 8,12]

E, rivolto a noi, dice:

Voi siete la luce del mondo. [Mt 5,14]

Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per l’illuminazione, per tener sempre accesa una lampada. 

 * Tu ordinerai… ti procurino
Dopo aver dato a Mosè le istruzioni per la costruzione della Tenda e dei suoi arredi, YHWH continua ora con quelle relative all’olio per il candelabro, agli abiti dei sacerdoti e alla selezione degli artisti.

In questa mitzvà Mosè è coinvolto in un modo più pieno, in prima persona:
– “Tu ordinerai”. Letteralmente “E tu… anche tu…”.
– “ti procurino”, letteralmente: “portino a te”.

Finora a Mosè era stato solo ordinato di “riferire”. Qui invece Dio chiede che anch’egli personalmente si occupi di questi tre prossimi comandi. Inoltre – (cfr. Rambàn, Sforno) – l’espressione ci insegna un atteggiamento molto importante da avere in chi è chiamato a un ruolo di guida: osserva tu per primo questa parola; solo così potrai richiedere anche agli altri che la osservino!

* Olio puro di olive schiacciate
L’olio dovrà essere prodotto con olive pressate, non macinate, per evitare sedimenti di oliva e garantire così un olio “puro”.

Durante il viaggio nel deserto il popolo avrebbe certo avuto difficoltà a procurarsi le olive per l’olio. Per questo – suggerisce ancora rabbi Rambàn – gli ebrei avrebbero dovuto procurarsi l’olio in Egitto.

Non possiamo qui approfondire il ricco tema della “purità” nell’Ebraismo. Limitiamoci a considerare come l’Egitto, terra di schiavitù, sia allo stesso tempo grembo e fonte di sostentamento per il popolo liberato, fornendo ai figli di Israele quanto necessario al loro viaggio nel deserto, oltre al bestiame, all’oro, all’argento e alle vesti per il sacrificio (cfr. Es 12,35).

L’ulivo diventerà simbolo dello stesso popolo di Israele. “Ulivo maestoso” è il nome che il Signore ha dato al suo popolo:

Ulivo verde, maestoso,
era il nome che il Signore ti aveva imposto. [Gr 11,16]

La tradizione rabbinica in diversi modi legge questa similitudine tra l’ulivo / olio e il popolo. In relazione:
– alla chiamata all’integrità, al non mescolarsi con gli altri popoli;
– alla propria storia di esilio e persecuzione quale via di purificazione e ritorno a Dio;
– e come monito a schiacciare il proprio orgoglio personale.

Infatti, come l’olio è l’unico liquido che non si mescola con gli altri liquidi, ma rimane sempre in superficie, così i figli di Israele, quando ascoltano la parola di YHWH rimangono sempre in superficie, ossia integri nella loro fede.

Inoltre, come l’olio purissimo è prodotto da olive schiacciate, così il popolo è davvero olio puro quando viene “pressato, schiacciato…”. Esiliato, perseguitato, Israele è chiamato a purificare il proprio cuore e a ritornare sempre a Yhwh.

Ma prima ancora, nella sua quotidianità, il credente per poter godere della luce della Torah deve pressare, schiacciare il proprio ego, il proprio orgoglio (Alter Rebbe, 1745-1813). Allora la sua preghiera sarà pura.

* tener sempre accesa la lampada
Letteralmente “far salire la lampada”.

Il lume doveva essere acceso finché la fiamma non saliva da sola. [Rashi (1040-1105)]

Il Talmud Shabbat specifica che chi ha il compito di accendere la lampada deve restare con lo stoppino sulla fiamma finché questa non salga da sola. E chi di noi ha fatto almeno una volta da sacrestano, sa bene come occorra restare sulla fiamma con lo stoppino quando si accende un cero. Finché la fiamma sale da sola.

Rav Hirsh (1808-1888) ne ricava un bell’insegnamento per chi è chiamato ad accendere nei fratelli la luce della Torah: egli deve essere come uno stoppino, che appena possibile si ritira, così che i discepoli non restino attaccati a lui, ma sappiano “salire” da soli.

Questa è anche la regola d’oro dei nostri Padri nell’accompagnamento spirituale dei propri discepoli. Il padre spirituale non deve attirare a sé, ma a Lui! E deve sapersi ritirare quando abbiamo raggiunto lo scopo. Allora il Padre (o guida) diventa fratello, e insieme i due camminano, “salgono”, nell’ascolto e nella pratica della Parola.

Un insegnamento chassidico dice che bisogna tenere sempre accesa dentro il proprio cuore la luce della Torah, così che arda sempre, anche nei periodi più duri della nostra storia, anche nel periodo di oppressione e di esilio.  Nel cuore di ogni credente infatti c’è una scintilla di luce divina. Questa non può mai estinguersi. Basta accendere questa scintilla ed essa salirà da sola divampando in una fiamma luminosa.

Ci viene in mente un passo della stupenda esortazione apostolica di papa Francesco Gaudete et exsultate. Forse in precedenti incontri abbiamo già citato questo passaggio, ma è meglio rischiare di ripeterci, piuttosto che tralasciare questo prezioso, bellissimo insegnamento:

(Dio) è misteriosamente presente nella vita di ogni persona, nella vita di ciascuno così come Egli desidera, e non possiamo negarlo con le nostre presunte certezze. Anche qualora l’esistenza di qualcuno sia stata un disastro, anche quando lo vediamo distrutto dai vizi o dalle dipendenze, Dio è presente nella sua vita. Se ci lasciamo guidare dallo Spirito più che dai nostri ragionamenti, possiamo e dobbiamo cercare il Signore in ogni vita umana. [papa Francesco]

Il prezioso volume di Esodo nell’edizione Mamash riporta un approfondimento del Rebbe di Lubavitch, a partire dalla visione di Zaccaria della menorah.  Vedo – dice il profeta – un candelabro tutto d’oro (Zc 4,2):

Nella profezia di Zekharyà (=Zaccaria) il popolo ebraico viene descritto come una menorà tutta d’oro. Ogni ebreo è un lume (poiché l’anima dell’uomo è un lume di Dio; Mishlé 20,27)[1] e, tutti insieme, gli ebrei formano un grandioso candelabro a sette bracci, ciascuno con le sue caratteristiche.
Il compito del Cohèn Gadòl (=Sommo sacerdote) di ogni generazione – ma anche di ciascun ebreo, sacerdote nel suo piccolo – è di accendere e risvegliare le anime di Israèl e di farne emergere l’anelito e l’entusiasmo di unirsi a Hashèm[2].
La sola accensione, tuttavia, non è sufficiente: bisogna, infatti, fare in modo che la “fiamma salga da sola” (cf Rashì), affinché il lume splenda con forze proprie, senza necessitare più dell’aiuto di chi l’ha acceso. [Rebbe di Lubavitch, riportato in Esodo ed. Mamash, pag. 450]

Soffermiamoci sui vari elementi, persone e cose, di questa Parola.

Il soggetto è Dio e Mosè il suo portavoce presso gli Israeliti.

Israeliti, alla lettera – lo ricordiamo – “i figli di Israele”.

Sono essi, i figli di Israele, popolo di Yhwh, che devono procurare l’olio (shèmen). Olio puro di olive schiacciate.

Aronne e i suoi figli, i sacerdoti, hanno invece il compito di tenere sempre accesa la lampada, dalla sera alla mattina, davanti al Signore.

Questo rito è rito perenne, di generazione in generazione.

Consideriamo ancora questi due elementi:
– l’olio purissimo, di cui sono responsabili i figli di Israele.
– e la lampada, della quale sono responsabili Aronne e i suoi figli.

La lampada per ardere ha bisogno dell’olio. E sono i figli di Israele a doverlo procurare.

Abbiamo già considerato in precedenti nostri incontri come la parola “olio” in ebraico  (shèmen) abbia la stessa radice della parola “nome” (shèm).

Aroma (olio, profumo) che si spande è il tuo nome [Ct 1,3]

Olio/profumo=shèmen
Nome=shèm

Il nome per eccellenza è il Nome rivelato da Dio a Mosè nel roveto e che proprio dentro la tenda del Santo dei Santi una sola volta all’anno viene pronunciato dal Sommo sacerdote.

Ricordiamo che la Bibbia in lingua ebraica all’origine recava solo le consonanti. Quando l’ebreo leggendo la Bibbia incontra il Nome, il tetragramma sacro YHWH, dice Adonaj, mio Signore, in luogo del Nome santo e impronunciabile.

Così anche noi quando nella nostra Bibbia tradotta nelle lingue nazionali troviamo “Signore” o “mein Herr” o “my Lord”… dobbiamo sapere che corrisponde al tetragramma santo YHWH.

Le comunità ebraiche ortodosse fanno ancora un ulteriore passaggio. Non pronunciano neppure Adonaj, ma Hashem=Il Nome!

Con l’introduzione delle vocali nella Bibbia ebraica ad opera dei masoreti, sotto le consonanti del tetragramma sacro furono messe quindi le vocali  di Adonaj.

Per inciso, ricordiamo che l’espressione Yehowah (o Jehowah, o Iehowah o Geova…) nasce proprio da qui, come traslitterazione dall’incontro tra le consonanti JHWH e le vocali di Adonaj  (con alcune trasformazioni dettate dalla grammatica ebraica). Yehowah, quindi, è importante chiarirlo, non è assolutamente il nome di Dio rivelato nel fuoco del roveto, ma un neologismo.

È molto importante il fatto che noi siamo chiamati a portare ognuno il nostro olio (e nome!) perché arda davanti al Nome rivelato nel fuoco del roveto. Ricordiamo che l’espressione ebraica “davanti al Signore” è proprio “davanti a JHWH”!

Cosa significa questo per noi? Cosa significa per noi oggi?

Pensiamo all’episodio del giovane Samuele. Egli prestava servizio presso Eli nel tempio del Signore:

Il giovane Samuele serviva il Signore alla presenza di Eli. La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti. E quel giorno avvenne che Eli stava dormendo al suo posto, i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: “Samuele!” ed egli rispose: “Eccomi” [1 Sam 3,1-ss]

La lampada del Signore – dice il testo – non era ancora spenta. Ma prima ancora il testo ci dice qualcosa che forse ci può sfuggire a una prima lettura: La parola del Signore – dice – era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti.

Anche quando ci sembra che il Signore non ci parli, che rara sia la sua Parola… portiamo il nostro olio, il nostro nome nel suo nome. Teniamo la lampada accesa.

E ci aiuta ancora l’icona delle vergini prudenti che tante volte nei nostri incontri ci ha visitato. Vergini che nella notte attendono lo Sposo con le lampade accese, forti del proprio olio, della propria fiamma, del proprio nome!

Nella tenda del convegno, al di fuori del velo (parokhet) che sta davanti alla Testimonianza (Edut), Aronne e i suoi figli la prepareranno, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore: rito perenne presso gli Israeliti di generazione in generazione.

Il compito dei figli di Aronne è quindi quello di preparare il lume e tenere sempre accesa la sua fiamma. Un servizio che consiste nel disporre i lumi sul candelabro, accenderli, togliere la cenere e cambiare gli stoppini. I sacerdoti quindi accolgono l’olio (i nomi!) dei figli di Israele e lo (li!) fanno ardere davanti al Signore. I figli di Israele diventano così luce di Yhwh. E la luce di YHWH deve splendere non solo nel santuario, ma nella vita di ogni credente, portata nelle strade del mondo:

La luce di Hashèm deve splendere non solo nel Santuario, nelle sinagoghe o nelle yeshivòt (=scuole rabbiniche per lo studio della Torah e degli scritti sacri), non solo durante la preghiera o lo studio, ma anche “fuori dal divisorio”, anche fuori, per strada, nelle nostre piccole e grandi occupazioni quotidiane e nei nostri rapporti col prossimo. [Elimelèkh ben Eli’èzer (1717-1786)]

Ascoltiamo allora la voce del Signore che ancora ci dice: Io sono la luce del mondo! E sentiamo ancora Lui che a noi, proprio a noi, dice: Voi siete la luce del mondo!


Vogliamo concludere questa nostra meditazione con una preghiera di don Tonino Bello:

Spirito di Dio,
fa’ della tua Chiesa
un roveto che arde di amore per gli ultimi.

Alimentane il fuoco col tuo olio,
perché l’olio brucia anche.

Da’ alla tua Chiesa tenerezza e coraggio.
Lacrime e sorrisi.
Rendila spiaggia dolcissima per chi è solo e triste e povero.

Disperdi la cenere dei suoi peccati.
Fa’ un rogo delle sue cupidigie.
E quando, delusa dei suoi amanti, tornerà stanca e pentita a Te,
coperta di fango e di polvere dopo tanto camminare,
credile se ti chiede perdono.

Non la rimproverare.
Ma ungi teneramente le membra di questa sposa di Cristo
con le fragranze del tuo profumo e con l’olio di letizia.

E poi introducila,
divenuta bellissima senza macchie e senza rughe,
all’incontro con Lui
perché possa guardarlo negli occhi senza arrossire,
e possa dirgli finalmente:
“Sposo mio”.


[1] Libro dei Proverbi: Lampada del Signore è lo spirito dell’uomo (Pr 20,27).

[2] L’ebreo ortodosso quando incontra il tetragramma sacro YHWH pronuncia Hashèm = il Nome.

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