Liturgia&Musica

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario/A

di Massimo Palombella

Jan Luyken (1649-1712), La parabola del banchetto di nozze, stampa Bowyer Bible, Bolton, England

Nel Vangelo di oggi (Mt 22, 1-14) Gesù continua a parlarci in parabole. La “festa di nozze” alla quale si attendono gli invitati, ci interroga profondamente sulla qualità della nostra vita.

Partecipare, infatti, ad una “festa di nozze” significa incontrare la realtà, e cioè essere sfidati dal senso della vita, dall’amore, dalla fecondità, dalla famiglia, dalla paternità e maternità… La “festa di nozze” raccoglie in sintesi ciò che rappresenta il punto di arrivo di una vita, quello che profondamente tutti desideriamo, e senza il quale sappiamo bene di non poter realmente vivere. Non possiamo, infatti, vivere senza essere innamorati, senza comprendere e definire la nostra sessualità in paternità e maternità, senza un profondo senso che, anche nella difficoltà, nella fatica e nel dolore, ci permette di continuare ad indossare, a qualunque età, la “veste nuziale”, e cioè di avere una meta, una passione, e di rimanere in cammino senza fermarci.

Possiamo avere la tentazione di non partecipare più alla “festa di nozze” accampando le stesse giustificazioni delle persone descritte nella parabola. Dover curare i “fatti nostri” è, infatti, il grande inganno per non più incontrare e vivere la realtà, per eludere la sfida della verità, e per condannarci, silenziosamente e in modo impercettibile, ad essere persone sole che tentano di riempire la propria vita con tanti surrogati.

Il Signore continua ad invitarci alla “festa di nozze”, continua a richiederci “l’abito nuziale”, nonostante la nostra “non voglia”, la nostra paura, il nostro disagio, il nostro non sentirci all’altezza… Il Signore continua, sostanzialmente, ad offrirci la possibilità di una dignità, la possibilità e la forza di essere le persone che possiamo e dobbiamo essere.

Il Graduale della Celebrazione odierna è tratto dal salmo 132 (Sal 132, 1. 2) con il seguente testo:
“Ecce quam bonum, et quam jucundum habitare fratres in unum.
Sicut unguentum in capite, quod descendit in barbam, barbam Aaron.”

(Ecco, come è bene e come dà gioia l’abitare dei fratelli insieme;
è come unguento sul capo, che discende sulla barba, la barba di Aronne).

La musica allegata, in Canto Gregoriano, è tratta dal Graduale Triplex pubblicato a Solesmes nel 1979. L’interpretazione è della Schola Antiqua diretta da Juan Carlos Asensio Palacios. La traccia musicale è reperibile nel CD “Octoechos Latino – El Canto Gregoriano Y Sus Sistemas Melódicos” pubblicato da Pneuma nel 2002.

Buona domenica e un caro saluto.

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