In ascolto di Esodo

L’altare di Rame. Aggrappàti ai corni dell’altare (secondaparte)

In ascolto di Esodo (Es 27,2)

a cura di Gianmartino Durighello e Gruppo Esodo – Piccoli amici di Maria Maddalena

Farai ai suoi quattro angoli quattro corni e costituiranno un sol pezzo con esso.

Con la ripresa dell’autunno continuiamo la lettura del capitolo XXVII di Esodo con le istruzioni per l’altare di rame, l’altare dei sacrifici, posto all’esterno del tabernacolo.

Nel precedente contributo ci siamo soffermati a considerare il comando di Dio: sarà quadrato!

Continuiamo, meditando sui quattro corni ai quattro angoli dell’altare.

* I quattro corni “costituiranno un sol pezzo con esso”. Ossia saranno un tutt’uno con l’altare stesso. Non saranno aggiunti, ma verranno forgiati insieme all’altare. Secondo alcuni erano in forma di parallelepipedi, secondo altri dovevano essere conici. Personalmente propendo per l’idea che fossero conici ripiegati vero l’esterno.
Su di essi veniva sparso il sangue dei sacrifici di espiazione. E ai corni dell’altare si aggrappavano i condannati a morte cercando salvezza per la propria vita. Un esempio famoso è quello di Adonia il quale, nel clima non pacifico della successione al trono di Davide, all’avvento del fratello Salomone quale re di Israele, teme per la sua vita.

Adonia, che temeva Salomone, alzatosi, andò ad aggrapparsi ai corni dell’altare. Fu riferito a Salomone: “Sappi che Adonia, avendo paura del re Salomone, ha afferrato i corni dell’altare dicendo: “Mi giuri oggi il re Salomone che non farà morire di spada il suo servitore””. Salomone disse: “Se si comporterà da uomo leale, neppure un suo capello cadrà a terra; ma se in lui sarà trovato qualche male, morirà”. Il re Salomone ordinò che lo facessero scendere dall’altare; quegli venne a prostrarsi davanti al re Salomone, poi Salomone gli disse: “Va’ a casa tua!”. [1Re 1,50-53]

Particolare il caso di Ioab, ucciso proprio mentre cercava rifugio aggrappato ai corni dell’altare. Il racconto è narrato nel primo libro dei Re.
Salomone, come abbiamo visto, siede sul trono di Davide suo padre. Il fratello maggiore, Adonìa, si sente usurpato del suo diritto di primogenito. Così egli si reca dalla madre Betsabea:

Tu sai che il regno spettava a me e che tutti gli Israeliti si attendevano che io regnassi. Eppure il regno mi è sfuggito ed è passato a mio fratello, perché gli era stato decretato dal Signore. [1 Re 2,15]

Adonia chiede quindi alla madre Betsabea di intercedere presso Salomone perché gli dia in moglie Abisàg, la Sunammita. Betsabea si reca quindi dal re suo figlio, che la fa sedere in trono accanto a sé, e in questa sua funzione di mediatrice la regina madre intercede in favore di Adonia, il suo figlio maggiore. Ma agli orecchi di Salomone la domanda ha il sapore ancora di una trama e il re così risponde:

“Perché tu mi chiedi Abisàg, la Sunammita, per Adonia? Chiedi pure il regno per lui, poiché egli è mio fratello maggiore e per lui parteggiano il sacerdote Ebiatàr e Ioab figlio di Seruià”. Il re Salomone giurò per il Signore: “Dio mi faccia questo e altro mi aggiunga, se non è vero che Adonia ha avanzato questa proposta a danno della sua vita.  Ebbene, per la vita del Signore che mi ha reso saldo, mi ha fatto sedere sul trono di Davide, mio padre, e mi ha fatto una casa come aveva promesso, oggi stesso Adonia verrà ucciso”. Il re Salomone ordinò l’esecuzione a Benaià, figlio di Ioiadà, il quale lo colpì e quegli morì. [1 Re 2,22-25]

Quindi, Adonìa, che in un primo tempo fu risparmiato dal re, dopo che si era aggrappato ai corni dell’altare, ora viene condannato a morte. Allo stesso tempo Salomone intende distruggere tutto il partito che aveva sostenuto Adonia.
Espelle il sacerdote Ebiatàr risparmiandogli la vita:

Il re disse al sacerdote Ebiatàr: “Vattene ad Anatòt, nella tua campagna. Certo, tu sei degno di morte, ma oggi non ti faccio morire, perché tu hai portato l’arca del Signore Dio davanti a Davide, mio padre, e perché ti sei occupato di tutto quello di cui mio padre si occupava”. [1 Re 2,26]

Ed eccoci a Ioab. Ioab, alla notizia che il re vuole la sua morte, si rifugia nella tenda del Signore e si aggrappa ai corni dell’altare (cfr. 1 Re 2,28).
Salomone, informato della cosa, invia Benaià con l’ordine di ucciderlo. Benaià va nella tenda del Signore e intima a Ioab di uscire, ma Ioab rifiuta. A questo punto Salomone ordina che Ioab sia ucciso nella tenda del Signore, dove aveva cercato rifugio aggrappandosi ai corni dell’altare:

Benaià andò nella tenda del Signore e disse a Ioab: “Così dice il re: “Esci!””. Quegli rispose: “No! Qui voglio morire!”. Benaià riferì al re: “Ioab ha parlato così e così mi ha risposto”. Il re gli disse: “Fa’ come egli ha detto: colpiscilo e seppelliscilo; così allontanerai da me e dalla casa di mio padre il sangue che Ioab ha sparso senza motivo. [1 Re 2,30-31]

Quindi, Benaià entra nella tenda del Signore, sale sull’altare e uccide Ioab!
Il fatto è di grande drammaticità. Benaià cerca di obbedire al comando di Salomone di uccidere Ioab nel rispetto della legge di Mosè, che prevede di strappare dai corni dell’altare il rifugiato nel caso sia colpevole di omicidio e abbia agito con inganno:

Ma quando un uomo attenta al suo prossimo per ucciderlo con inganno, allora lo strapperai anche dal mio altare, perché sia messo a morte. [Es 21,14]

Ioab, resistendo e rifiutandosi di scendere dall’altare e di uscire dalla tenda, obbliga di fatto Salomone a una profanazione del luogo santo. Il re così, liberandosi del suo nemico, al contempo si macchia di un’onta terribile: profanare col sangue di un uomo il luogo santo dell’incontro con Dio.

* il corno, simbolo di luce, di regalità e potere

Nella scrittura il corno significa regalità e potere. [Girolamo]

Il termine ebraico deriva dalla voce verbale קרן qèrèn, che significa splendere, irradiare. Come sostantivo può significare «corno», ma anche «raggio», raggio di luce.
Caratteristica del corno è quella di emergere, uscir fuori dalla carne. Il corno acquista così valore simbolico di luce, potenza, fecondità, fertilità.
Potente è chi non è … impotente, sterile, ma fecondo e dà alla luce. Potenza di madre che dà alla luce, che genera il figlio.
L’amico Fabio ci ricorda come il tema della fertilità abbia un concreto fondamento nel contesto agricolo. Dalle corna animali infatti, insieme alle unghie, si produce uno dei concimi più efficaci, la cornunghia.
La potenza come fecondità è emblematizzata nella mitologia classica nella cornucopia, il corno dell’abbondanza. Zeus fu nutrito con il latte della capra Amaltea, con il corno dell’abbondanza.
Dal corno dell’abbondanza nascerà la tradizione del cesto della sposa, cesto riempito dei regali nuziali.

Le corna rappresentano quindi prima di tutto le divinità e la loro potenza. Potenza feconda, che dà alla luce.
E l’uomo partecipa degli inesauribili doni del corno, e dal corno riceve benedizione, prosperità, perdono (abbiamo già considerato il caso del condannato che cerca rifugio aggrappandosi ai corni dell’altare).
Dal corno bevono i sacerdoti in alcuni sacrifici rituali.
E i re e i condottieri possono portare elmi o corone con corna. Potenza regale.
Per questo il corno è impiegato nel rito di consacrazione di sacerdoti e anche di re, contenendo l’olio per la consacrazione. Leggiamo ad esempio il racconto dell’unzione regale di Davide:

Il Signore disse a Samuele: “Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re”. (…) Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi. [1 Sam 16,1.13]

Corno per eccellenza, re, sposo, potente, fecondo, luce… è YHWH. Corno del suo popolo. Ogni regalità e sacerdozio e sponsalità nel popolo è possibile solo in quanto rappresenta la regalità dell’unico Dio e il sacerdozio del suo Messia. L’olio contenuto nel corno non può non richiamarci l’unto, il messia.
Per questo il corno si presta anche come strumento di convocazione e di acclamazione, quale voce stessa di Yhwh. Come strumento di convocazione e di richiamo nasce certamente nel contesto della pastorizia, e da qui passa poi alla vita sociale e alla vita liturgica del popolo.
Con il corno il pastore chiama il suo gregge.
Con il corno viene convocato il popolo.
Ed è il suono del corno che il popolo sentirà sul monte quando Yhwh scende incontro al suo servo Mosè. Yhwh, pastore del suo popolo.

* Il corno di Yhwh
Il corno-luce esprime quindi innanzitutto la divinità e la sua trascendenza. È importante osservare che nella Bibbia, quando nella nostra traduzione italiana troviamo termini come bagliori di folgore, potenza, salvezza potente… il testo originale ha «corno»! Probabilmente il traduttore ha ritenuto che non fosse di immediata comprensione una resa letterale del testo, cercando termini più comprensibili al contesto odierno. Ma conoscere il testo originale ci permette di cogliere la ricchezza di dimensioni che porta in sé la parola qèrèn-corno-raggio di luce.

Così in Abacuc qèrèn è tradotto “bagliori di folgore”:

Il suo splendore è come la luce,
bagliori di folgore (qrn=corni) escono dalle sue mani:
là si cela la sua potenza. [Ab 3,4]

Nel salmo 131(132),17 nella versione italiana leggiamo “Là farò germogliare la potenza di Davide”. Il testo ebraico alla lettera dice “Là farò germogliare-spuntare un corno per Davide”. L’immagine poetica è molto chiara e bella. Il corno spunta, germoglia…

Il Signore ha scelto Sion,
l’ha voluta per sua dimora:
“Questo è il mio riposo per sempre;
qui abiterò, perché l’ho desiderato.
(…)
Là farò germogliare la potenza (qrn=corno) di Davide…

E ancora nel salmo 148 leggiamo “potenza del suo popolo”, che corrisponde all’ebraico “corno del suo popolo” .

Lodino il nome del Signore (YHWH),
perché solo il suo nome è sublime:
la sua maestà sovrasta la terra e i cieli.
Ha accresciuto la potenza (qèrèn=corno) del suo popolo.
Egli è la lode per tutti i suoi fedeli,
per i figli d’Israele, popolo a lui vicino.

Il rapporto tra immagine concreta (corno-raggio) e il suo significato di “salvezza” rimane nel contesto del Nuovo testamento. Nel cantico di Zaccaria, il Benedictus, l’espressione “ha suscitato una salvezza potente” tradotto alla lettera dovrebbe essere “ha suscitato il corno della nostra salvezza” (cfr, VG Et erexit cornu salutis nobis; LXX kai egheiren keras soterias emin)

* le corna di Mosè

Michelangelo Buonarroti, Mosè, 1513-1515 circa e 1542 (Basilica di San Pietro in Vincoli, Roma)

A questo punto ci viene spontaneo pensare al Mosè di Michelangelo, famoso “anche” per le sue corna. Michelangelo ha dato vita nel suo marmo al racconto di Esodo 34,29 secondo a lezione della Vulgata.

La traduzione italiana della Cei è fedele al testo ebraico. Alla lettera “raggiava-splendeva” la pelle del suo volto.

Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui.

Il verbo “raggiava-splendeva-irradiava” è appunto QaRan, dalla cui radice derivano come abbiamo visto i sostantivi “corno” e “raggio”.

Michelangelo aveva sotto gli occhi la lezione latina della Vulgata di Girolamo che recita:

Cumque descenderet Moyses de monte Sinai, tenebat duas tabulas testimonii, et ignorabat quod cornuta esset facies sua ex consortio sermonis Domini.

Cornuta esset facies sua”. Corni-raggi di luce, perché Mosè aveva conversato con Dio.

* Le corna raggi di luce
La simbologia del corno si apre quindi alla dimensione della luce. Il corno è un raggio luminoso. Una luce che germoglia, nasce… come il corno esce dalla pelle.
A questa simbologia si riconducono nel mito non solo biblico ma universale diversi altri elementi.
Pensiamo ad esempio ai capelli di Sansone, segreto della sua forza.
Pensiamo ancora (solo per accenno) alla ciocca dei capelli per i musulmani, al ciuffo delle divinità indù, alla treccia e codino dei cinesi…
Tagliare i capelli assume il significato di una sorta di sottomissione sacrificale. Così Sansone spiega ad esempio la sua forza:

Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un nazireo di Dio dal seno di mia madre; se fossi rasato, la mia forza si ritirerebbe da me, diventerei debole e sarei come un uomo qualunque. [Gdc 16,17]

Come le corna, così i capelli, uscendo dal capo, sono come raggi di luce che mostrano a livello simbolico il legame ontologico tra l’uomo e il cielo, come il cordone ombelicale tra il bambino e la madre.
E insieme indicano appunto l’andare oltre, divenendo simbolo di trascendenza.

* L’unicorno e l’Incarnazione del Verbo

ignoto, Unicorno, V secolo (Chiesa San Giovanni evangelista, Ravenna)

È importante a questo punto citare almeno un’altra figura mitologica, l’unicorno (o liocorno). L’unicorno è piccolo, ma invincibile; umile, ma forte. La sua pelle è bianca ad esprimere la sua purezza. Il suo corno esprime ancora l’innato originale legame dell’uomo con Dio. Per questo nella cristianità il mito dell’unicorno entra anche nella meditazione del mistero di Maria e dell’Incarnazione del Verbo.

* Isacco e l’Agnello. La potenza impigliata.

E qui il mito del corno si intreccia (potremmo dire sorprendentemente) con il mistero di Cristo, Verbo incarnato. Vogliamo contemplare questo aspetto attraverso il racconto del sacrificio di Isacco come figura del sacrificio di Cristo.
Ricordiamo come ad Abramo che aveva accolto il comando di sacrificare il suo unico figlio Dio indica un ariete impigliato con le corna in un cespuglio:

Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. [Gn 22,13]

Permettetemi di riportare qui un estratto da un mio libro, Jehohanan, Si chiamerà Giovanni-Dio è graziai:

La potenza impigliata. Qui la potenza sembra sconfitta. Le corna di un ariete si impigliano in un cespuglio.
Il cespuglio ci fa tornare alla mente il roveto di spine dove Dio rivelerà il suo Nome a Mosé (cf Es 3,1-6). E nella tradizione rabbinica il monte di quel sacrificio è il monte del tempio di Gerusalemme. La fiamma del tempio tiene acceso il fuoco di quel sacrificio, in una «alleanza di fuoco».
I Padri hanno visto nelle spine del roveto la figura delle spine della croce, e nella voce del roveto la voce dell’Agnello. Ancora la tradizione cristiana ha visto nel sacrificio di Isacco la figura del sacrificio di Cristo.
Ma soprattutto, in questo sacrificio, Isacco, oltre e più ancora che figura di Cristo, è figura di ognuno di noi, dell’uomo riscattato da Cristo.
E’ l’ariete ad essere figura di Cristo. Potenza impigliata nel roveto del Nome, Sapienza immolata. Regalità incoronata di spine.
Questo è il corno della salvezza. Questo corno è il Cristo: “(Cristo) era veramente un “corno di salvezza nella casa di Davide”, poiché lo ribadiscono le parole seguenti: “Una vigna fu piantata sul colle a forma di corno” (Is 5,1 LXX). Su quale corno fu piantata? Su Gesù Cristo” [Origene].
Gesù è questo «corno di salvezza»; e Giovanni (il più grande dei profeti, perchè “camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per (…) preparare al Signore un popolo ben disposto” [Lc 1,17]) sarà voce alla Parola, lampada alla Luce (e Zaccaria, come Abramo, tiene acceso il fuoco del sacrificio).

Là farò germogliare la potenza (lett. corno) di Davide,
preparerò una lampada al mio consacrato. [Sal 131,17]

Giovanni dona con la testa il suo corno all’Agnello.
Giovanni è la lampada per la Luce che viene nel mondo.

* Gesù “corno di salvezza”

“Il Cristo cornuto”, chiave di volta dell’archivolto presente nel Chiostro della Cattedrale Notre-Dame-de-Nazareth de Vaison la Romaine (Vaucluse, France)

Gesù Cristo – ci dice Origene – è veramente il corno di salvezza. Alla luce di questa riflessione possiamo non scandalizzarci e comprendere perché troviamo anche raffigurazioni di Cristo… con le corna.

L’immagine che proponiamo proviene dalla basilica di Vaison-la-Romaine, sopra Avignone.

Ci può essere utile anche la stessa immagine stilizzata che abbiamo trovato nel bellissimo libro di Annick de Souzenelle Il simbolismo del corpo umanoii:

Nella lettura mistico simbolica che Agostino d’Ippona fa dello shofar, il corno dell’acclamazione che rappresenta la voce stessa di Dio (come il suono del corno nella teofania del Sinai), il corno è segno di «trascendenza» in quanto osso che esce, emerge dalla carne.

E quindi del Cristo e della sua risurrezione:

Ascolta le trombe di corno! Se siete risuscitati con Cristo, dice l’Apostolo, cercate le cose di lassù (…). (Il corno) sta unito alla carne, ma si spinge oltre la carne; e sebbene spunti sulla carne, la oltrepassa. [Agostino]

* Le corna dell’angelo di luce
Molti potranno rimanere sorpresi e sconcertati nel sentir parlare in questo modo. Le corna infatti, nell’immaginario comune, ci richiamano non certo Dio, o Cristo, bensì l’angelo decaduto, il Divisore.

La domanda allora viene spontanea: perché il diavolo è raffigurato con le corna?
Anche se dei riferimenti biblici si possono trovare, il tema iconografico del diavolo con le corna risale al medioevo cristiano (dal X secolo) e attinge indubbiamente al mito universale. Sono frequenti infatti nel mito figure e divinità dotate di corna (pensiamo ad esempio al dio Pan) e correlate a un animale, il capro.

Ci viene in mente la scena del giudizio finale narrata nel Vangelo di Matteo:

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. [Mt 25,31ss]

Ma soprattutto la tradizione cristiana attinge l’immagine dalla visione narrata del capitolo 13 di Apocalisse di una bestia con due corna, simili a quelle di un agnello (!) ma con la voce di un drago:

E vidi salire dalla terra un’altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. [Ap 13,11]

E lo stesso principe dei demoni, Lucifero, reca un nome che significa “portatore di luce” (come peraltro la stella del mattino che nella mistica cristiana rappresenta invece il Cristo).
Il discorso è ampio e ci porterebbe un po’ lontano dal nostro argomento. Qui ci interessa osservare come ancora si intrecciano, anche nella figura del Nemico, i temi delle corna e della luce. Esso infatti nella sua astuzia appare agli uomini come angelo di luce.

Ciò non fa meraviglia, perché anche Satana si maschera da angelo di luce. [1 Cor 11,14]

Ma ritorniamo al cuore della nostra meditazione. Aggrappiamoci allora ai corni e alla luce del nostro altare. Aggrappiamoci con tutto noi stessi, rifugiamoci in questo altare che è il Cristo! Come i condannati che sfuggono la morte troviamo qui il vero rifugio, la vera vita. In questo altare e corno di salvezza che è trascendenza di luce, luce feconda e che dà la vita: il Cristo!


i G. Durighello, Jehohanan. Si chiamerà Giovanni – Dio è grazia. Il cantico di Zaccaria. Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 2012 pgg. 42-43

ii2 A. de Souzenelle, Il simbolismo del corpo umano, Edizioni Servitium, 1999, pag. 351

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