In ascolto di Esodo

Folli in Cristo e per Cristo. Le assi portanti la Dimora (seconda parte)

In ascolto di Esodo (Es 26,15-30).

a cura di Francesca Pillon e Piccoli amici di Maria Maddalena – Gruppo Esodo

Vasilij Grigor’evič Perov, Ritratto di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, 1872 (Galleria Tret’jakov, Mosca)

Nel precedente contributo, meditando le istruzioni che Dio dà a Mosè sulle assi portanti della Dimora, partendo dal vocabolo ebraico shittim (acacie), che può significare tendenza ma anche follia, siamo giunti a considerare alcuni esempi di follia in Cristo, fino a quella particolare figura di folle in Cristo tipica del contesto russo ortodosso, lo jurodivyj.
Abbiamo chiesto alla nostra amica Francesca Pillon di preparare un approfondimento su questo tema.

Dostoevskij e la stoltezza in Cristo

 Premessa
La presente ricerca vuole essere un piccolo approfondimento letterario su come lo scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881) inserisce nelle sue opere la figura del “folle in Cristo”, lo jurodivyj.

Dopo una breve rassegna di alcuni suoi importanti romanzi, vedremo come lo stesso autore, nei suoi scritti più intimi, fosse innamorato di Cristo, fino a sembrare uno stolto agli occhi di molti suoi contemporanei.

Tale ricerca non intende essere una trattazione completa, esaustiva, analitica, né pretende di esporre alcuna tesi: è una semplice raccolta di testi che ruotano attorno a Cristo e alla predicazione, come la intendeva il grande scrittore russo. Il tema, infatti, aprirebbe ulteriori approfondimenti e, soprattutto, a un’analisi testuale più dettagliata.

I testi di riferimento sono direttamente i romanzi L’adolescente e I fratelli Karamazov, il racconto breve Il sogno di un uomo ridicolo, la grande raccolta di articoli giornalistici Diario di uno scrittore, e la selezione di materiale epistolare Lettere sulla creatività. Per alcuni spunti della prima parte, ci si è avvalso dell’articolo di T. Gudelyte, Lo JURODIVYJ: da mito popolare a emblema letterario.

Introduzione: il folle in Cristo
«Lo jurodivyj è una figura singolare e controversa del mondo russo, le cui origini risalgono all’antica tradizione spirituale bizantina e il cui pellegrinaggio storico si interseca più volte con il folclore nazionale, per approdare all’arte e, in particolar modo, alla letteratura russa dell’Ottocento.

Inizialmente asceta del deserto o profeta mendicante, il “santo stolto” cambia più volte la sua veste identitaria, mischiandosi tra i buffoni di corte e i clown delle piazze, fingendo, recitando e suscitando “scandalo” (prerogativa cristologica) con gesti folli e spesso osceni, carichi di una forza liberatrice, nonché di un profondo messaggio di pietas umana». (T. Gudelyte).

Fëdor Michajlovič Dostoevskij
Fëdor M. Dostoevskij è tra i più grandi esponenti della letteratura russa. Vissuto durante il XIX secolo (1821-1881), riuscì con i suoi scritti a rappresentare la natura umana in tutta la sua complessità e contraddizione: ombra e luce, terra e spirito, peccato e redenzione, ateismo e fede profondissima. I suoi personaggi incarnano il dramma dell’uomo senza vita, come la sublimità della salvezza quando raggiunti dalla fede.

Seppur pienamente inserito nel contesto culturale del suo tempo e della sua amata patria, riesce a trasmetterci valori universali, come sentimenti, ideali e pensieri di ogni essere umano di ogni epoca e di ogni luogo.

Tale straordinaria capacità gli è stata permessa grazie innanzitutto alla sua esperienza e a una progressiva e costante conoscenza di sé, sia nei momenti più tragici e bassi, sia in quelli di pura redenzione. Le esperienze vissute fin dalla giovinezza emergono nei singoli personaggi, che, come un caleidoscopio, frammentano in affascinante e paurosa bellezza ogni singolo tratto del suo carattere, della sua vita, delle sue relazioni, delle sue contraddizioni, del suo rapporto con Dio, del suo abisso più nero.

Prima di puntare lo sguardo sui suoi scritti più personali, faremo una sosta su alcuni personaggi, che incarnano, in qualche modo, la figura dello jurodivyj.

 Lo jurodivyj nelle sue creazioni

L’adolescente (1875)
Considerato tra i cinque romanzi più importanti di Dostoevskij (Delitto e castigo, L’idiota, I demoni, L’adolescente, I fratelli Karamazov), il romanzo racconta la storia di una famiglia russa dal punto di vista del figlio adolescente, figlio illegittimo di un proprietario terriero. Il padre adottivo Makàr Ivànovic, marito di sua madre, dopo la nascita del protagonista e di sua sorella, parte come pellegrino religioso, assumendo il ruolo del “santo stolto”.

Di seguito sono riportati la descrizione fisica e interiore, e i dialoghi con il ragazzo, soprattutto legati alla preghiera e al mistero di Dio.

Descrizione:

Makàr Ivànovič scriveva dagli angoli più disparati della Russia, dalle città e dai monasteri dove talvolta soggiornava a lungo. Era divenuto infatti un cosiddetto pellegrino (strannik).
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Là dentro era seduto un vecchio dai capelli bianchissimi, con una gran barba terribilmente bianca, ed era chiaro che era lì da molto tempo. […] Sopra la camicia indossava una lunga pelliccia ricoperta, sulle ginocchia aveva il plaid della mamma e ai piedi portava delle pantofole. Era, a quanto si poteva indovinare, di alta statura, largo di spalle, di aspetto assai vigoroso, nonostante la malattia, sebbene fosse alquanto pallido ed emaciato […].
Dopo avermi per così dire esaminato tutto, fino all’ultimo dettaglio, in quei cinque o dieci secondi di silenzio, egli improvvisamente sorrise e addirittura scoppiò in una quieta e silenziosa risata, e sebbene questa risata si dileguasse rapidamente, tuttavia una gaia e luminosa traccia di essa rimase sul suo viso e, soprattutto, nei suoi occhi molto azzurri, lucenti, grandi, ma con le palpebre appesantite e gonfie per la vecchiaia e circondati da una moltitudine di minuscole rughe. Questo riso mi colpì più di ogni altra cosa. […]
E appunto qualcosa di infantile e di incredibilmente attraente era brillato nel fuggevole riso di quel vecchio. Mi avvicinai immediatamente a lui.
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Ciò che era innanzitutto affascinante in lui, come ho già osservato in precedenza, era la sua straordinaria purezza di cuore e l’assenza del benché minimo amor proprio; si aveva la sensazione di un cuore quasi senza peccato. C’era in lui «letizia», del cuore, e perciò anche «grazia». La parola «letizia» egli l’amava molto e la impiegava spesso. […] Si vedeva che egli aveva molto peregrinato per la Russia, che aveva ascoltato molto, ma, ripeto, più di tutto gli piaceva la commozione e, perciò, tutto quello che poteva suscitarla; lui stesso, inoltre, amava raccontare cose commoventi. In generale gli piaceva molto raccontare. Ho sentito da lui moltissimi racconti, sia sulle sue peregrinazioni, sia sulle varie leggende sulla vita dei più antichi «giusti».

 Preghiera:

«Fai male, amico, a non pregare; pregare è bello e rallegra il cuore prima del sonno, dopo il sonno e risvegliandosi durante la notte. Te lo dico io. […]
È bello il mondo, caro! Se stessi un po’ meglio, questa primavera mi metterei di nuovo in viaggio. E che ciò sia un mistero è persino meglio; esso riempie il cuore di terrore e di meraviglia, e questo terrore rallegra il cuore: “Tutto è in te, Signore, e io stesso sono in te e tu accoglimi!”. Non lamentarti, ragazzo, è ancora più bello che ciò sia un mistero», aggiunse intenerito.
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«Il suicidio è il più grande dei peccati dell’uomo», mi rispose con un sospiro, «ma l’unico giudice qui è il Signore, perché a lui solo è noto tutto, ogni limite e ogni misura. Quanto a noi, dobbiamo immancabilmente pregare per un tale peccatore. Ogni volta che senti parlare di un simile peccato, prima di addormentarti prega commosso per quel peccatore; rivolgi magari anche soltanto un sospiro a Dio per lui, anche se non lo conoscevi affatto, tanto più proficua sarà la tua preghiera per lui».
«Ma gli gioverà la mia preghiera, se egli è già dannato?».
«E tu che ne sai? […] La preghiera di una persona ancora vivente per un dannato in verità gli giova. Cosa ne sarà, dunque, di chi non ha nessuno che preghi per lui? Perciò, quando, prima di addormentarti, ti metterai a pregare, alla fine aggiungi: “Abbi pietà Signore di tutti coloro che non hanno nessuno che preghi per loro“. E anche per tutti i peccatori che ancora sono in vita, prega: “Signore, giudica tu i loro destini e salva tutti coloro che non si sono pentiti” – anche questa è una buona preghiera».

Mistero:

«Voi parlate continuamente di “mistero”; che cosa significa “avendo adempiuto il proprio mistero”?» […]
«Che cos’è il mistero? Tutto è mistero, amico, in tutto c’è il mistero di Dio. In ogni albero, in ogni filo d’erba è racchiuso lo stesso mistero. Sia che canti un uccellino, o che una moltitudine di stelle brilli in cielo nella notte, è sempre questo stesso, medesimo mistero. Ma il mistero più grande consiste in ciò che attende l’anima dell’uomo nell’altro mondo. Così stanno le cose, amico!».

Il sogno di un uomo ridicolo (1877)
Breve racconto allegorico, Il sogno di un uomo ridicolo è la presa di coscienza di un uomo senza nome, schiavo dell’indifferenza e di schiacciante nichilismo. Alla decisione di suicidarsi, incontra una povera bimba che gli suscita pietà, ma che respinge con ribrezzo. Nella notte sogna un mondo utopico, un paradiso terrestre, senza peccato e senza morte.

Senza entrare nei dettagli del seguito del sogno, al risveglio il protagonista si converte in umile jurodivyj e decide di predicare la “verità vera” agli uomini che scordarono l’esistenza del Bene.

Vengono qui riportate le ultime parole del racconto, che in germe portano le motivazioni di un pellegrino predicatore:

Io camminerò e parlerò sempre, senza stancarmi, anche perché io ho visto con i miei propri occhi, sebbene io non sia capace di raccontare ciò che ho visto. […] Ciò che conta: ama il tuo prossimo come te stesso, ecco quello che conta; è tutto qui, e non serve nient’altro: troverai immediatamente tutto il resto. E intanto, questa non è altro che una vecchia verità che è stata sempre ripetuta, che è stata letta bilioni di volte, eppure non ha ancora piantato le radici!

I Fratelli Karamazov (1879)
Ultimo grande romanzo di Dostoevskij, I fratelli Karamazov racconta la storia di tre fratelli in relazione con il padre, poi assassinato. Tra gli innumerevoli personaggi che costellano il testo, troviamo lo starec Zosima, un monaco ortodosso mistico, di particolare carisma e seguito.

Zosima, da uomo facoltoso e sprezzante dell’altro, si converte dopo aver sperimentato la misericordia di Dio, divenendo così pellegrino predicatore. Nella storia lo troviamo stabilizzato in un monastero, ricercato da tantissime persone per le sue parole di compassione, di sapienza evangelica, di amore verso l’altro e verso Dio.

Vengono qui riportati alcuni dei suoi numerosi discorsi, divisi per tematica.

Verità:

«La cosa più importante è che non mentiate a voi stesso. Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri. Costui, non avendo rispetto per nessuno, cessa di amare e, incapace di amare, per distrarsi e divertirsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari e nei suoi vizi tocca il fondo della bestialità, e tutto questo a causa dell’incessante menzogna nei confronti degli altri e di se stesso. Colui che mente a se stesso è anche più suscettibile degli altri all’offesa».
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«Il Signore non è nella forza, ma nella verità».
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“Ogni filo d’erba, ogni moscerino, ogni formica e ape dorata, ogni creatura conosce il proprio cammino così bene da lasciar sbalorditi, pur non avendone consapevolezza, essi testimoniano del mistero divino, e lo realizzano incessantemente, […] è tutto bello e magnifico perché tutto è verità. […] Quello che commuove è pensare che essi sono liberi da qualunque peccato, giacché tutto è perfetto, tutto tranne l’uomo, tutto è senza macchia, e Cristo è con quelle creature da più tempo che con noi”.
“Perché”, domandò il giovane, “Cristo è anche con loro?” “E come potrebbe essere diversamente”, risposi io, “giacché il Verbo vale per tutti, e tutta la creazione e tutte le creature, finanche ogni singola fogliolina, aspirano al Verbo, cantano la gloria di Dio, piangono il Cristo”, compiendo inconsapevolmente il mistero della loro vita libera da peccato».

Pentimento:

«Non temere, non temere mai e non angosciarti. Se il pentimento non si esaurirà in te, Dio ti perdonerà. Perché non esiste e non può esistere peccato su questa terra che il Signore non perdoni a chi si pente sinceramente. E l’uomo non può commettere un peccato tanto grande da esaurire lo sconfinato amore di Dio. Potrebbe mai esistere un peccato tale che superi l’amore divino? Pensa solo al pentimento, all’incessante pentimento, ma scaccia del tutto la paura. Abbi fede, Dio ti ama quanto tu non riesci neanche a immaginare, ti ama malgrado il tuo peccato e ti ama nel tuo peccato. C’è più gioia in cielo per un peccatore pentito che per dieci giusti, è stato detto un tempo. Va’ e non temere. Non provare rancore per gli uomini, non ti adirare per le offese.
[…] Se ti penti, vuol dire che ami. Se amerai, sarai già di Dio… L’amore riscatta tutto, salva tutto. Se persino io, che sono un peccatore come te, ho provato per te una tenera commozione e ho avuto pietà di te, tanto più lo farà Dio. L’amore è un tesoro così inestimabile che con esso puoi redimere tutto il mondo e riscattare non solo i tuoi peccati ma anche i peccati degli altri. Va’ e non temere».

Umile amore:

 «Fratelli, non abbiate paura del peccato degli uomini, amate l’uomo anche nel suo peccato, giacché proprio questa è l’immagine dell’amore divino ed è la forma suprema dell’amore sulla terra. Amate tutte le creature divine, l’intera creazione come ciascun granello di sabbia. […] Se amerete ogni cosa, in ogni cosa coglierete il mistero di Dio. E una volta che lo avrete colto, lo comprenderete ogni giorno di più, giorno dopo giorno. Arriverete, finalmente, ad amare tutto il mondo di un amore onnicomprensivo, universale.
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«“Bisogna ricorrere alla forza o all’umile amore?” Decidi sempre per l’umile amore. Se deciderai per quello una volta per tutte, potrai conquistare il mondo intero. L’umiltà amorevole è una forza terribile, la più potente di tutte, non c’è niente che le stia alla pari».
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«[…] Giacché sappiate, cari, che ciascuno di noi è senza dubbio colpevole per tutti e per tutto ciò che accade sulla terra, non solo per la comune colpa del genere umano, ma ciascuno personalmente è colpevole per tutta l’umanità e per ogni altro singolo uomo sulla terra. Questa consapevolezza è il coronamento del cammino del monaco, così come di ciascun uomo sulla terra. […] Solo in questa consapevolezza il nostro cuore si intenerirà di un amore sconfinato, universale, inesauribile. Allora ciascuno di voi avrà la forza di conquistare tutto il mondo con l’amore e di lavare con le proprie lacrime i peccati del mondo…»

Dagli scritti di Dostoevskij: la sua stoltezza in Cristo

Ciò che abbiamo letto nelle parole dei personaggi creati da Dostoevskij è quanto lui stesso professava e credeva, anche se spesso dovette lottare con la parte più oscura del suo intimo.

Qui di seguito vengono riportati stralci di lettere dove compare il suo amore e la sua follia per Cristo, in un autentico cammino di fede.

Lettera al fratello 16/8/1839

L’uomo è un mistero. Un mistero che bisogna risolvere, e se trascorrerai tutta la vita cercando di risolverlo, non dire che hai perso tempo; io studio questo mistero perché voglio essere un uomo.

Lettera al fratello 22/12/1849

Per motivi politici, D. viene incarcerato e condannato a morte dallo zar. Il giorno stesso dell’esecuzione scrive questa lettera al fratello. Al momento della fucilazione, la pena verrà tramutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia.

 La vita è vita dappertutto; la vita è dentro noi stessi, e non in ciò che ci circonda all’esterno. Intorno a me ci saranno sempre degli uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e rimanerlo per sempre, in qualsiasi sventura, non abbattersi e non perdersi d’animo, ecco in che cosa sta la vita, e in che cosa consiste il suo compito.
[…] La vita è un dono, la vita è felicità, ogni istante potrebbe essere un secolo di felicità.

Lettera a Fonvizina 20/2/1854

Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più forti mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! Ciononostante Iddio mi manda talora degl’istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegl’istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri, e appunto in quegl’istanti io ho concepito un simbolo della fede, un Credo, in cui tutto per me è chiaro e santo. Questo Credo è molto semplice, e suona così: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, più disponibile, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c’è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità.

Lettera a Majkov 20/2/1864

Dio mio, il deismo ci ha dato Cristo, e cioè una così sublime immagine dell’uomo che non la si può concepire senza un sentimento di venerazione e senza credere che essa costituisca un ideale eterno per l’umanità!

 Lettera a Ivanova 1/1/1868

Al mondo c’è stato soltanto un personaggio bello e positivo, Cristo, tantoché l’apparizione di questo personaggio smisuratamente, incommensurabilmente bello costituisce naturalmente un miracolo senza fine (tutto il Vangelo di Giovanni è concepito in questo senso: egli trova tutto il miracolo nella sola incarnazione, nella sola apparizione del bello).

 Diario di uno scrittore, febbraio 1877

Il Diario di uno scrittore, pubblicazione mensile redatta interamente da D., raccoglie le sue riflessioni sulla politica del suo tempo, su problematiche di attualità, su fatti di cronaca, incastonando talvolta piccoli racconti fantastici.

 Nell’attuale ordinamento del mondo si vede la libertà nella sfrenatezza, mentre la vera libertà è soltanto nel superamento di se stessi e della propria volontà, per potere alla fine raggiungere un tale stato morale, da essere sempre in qualsiasi momento padroni di se stessi. La sfrenatezza dei desideri vi porterà solo alla schiavitù. […] La più alta libertà non consiste nell’accumulare e nell’assicurarsi l’esistenza col denaro, ma “dividere fra tutti quello che hai e andare a servir tutti”. Se l’uomo è capace di ciò, se è capace di dominar se stesso a tal punto, non è forse libero? Questa è la più alta manifestazione di volontà!
E poi, che cos’è, nell’attuale mondo colto, l’eguaglianza? La gelosa sorveglianza di uno sull’altro, la boria, l’invidia: “Egli è intelligente, è uno Shakespeare, si pavoneggia col suo ingegno; bisogna umiliarlo, distruggerlo”. La vera eguaglianza invece dice: “Che me ne importa che tu sia più intelligente di me, abbia più ingegno di me, sia più bello di me? Al contrario, io me ne rallegro perché ti amo. Ma sebbene valga meno di te, io mi rispetto come uomo, e tu lo sai e tu stesso mi rispetti e io sono felice del tuo rispetto. Se tu, con le tue qualità, sei a me e a tutti cento volte più utile che non io a te, io per questo ti benedico, ti ammiro e ti ringrazio e non considero una vergogna la mia ammirazione per te; al contrario, sono felice di esserti grato e se lavoro per te e per tutti, nella misura delle mie deboli capacità, non è perché io voglia pagare a te il mio debito, ma perché vi amo tutti”.
[…] Ai puri di cuore io do un consiglio: autodominio e autosuperamento prima di qualsiasi primo passo. Agisci tu stesso prima di far agire gli altri: ecco tutto il segreto del primo passo.

 Diario di uno scrittore, dicembre 1877

Non c’è felicità più alta che il convincersi della clemenza degli uomini e del loro reciproco amore. Questa è fede, una fede totale per tutta la vita! E quale felicità più alta della fede?

Diario di uno scrittore, agosto 1880

Discorso pronunciato l’8 giugno in ricordo dello scrittore russo A. S. Puškin. Fecero molto scalpore le seguenti parole:

 La verità non è al di fuori di te, ma in te stesso, ritrova te in te stesso, sottometti te a te stesso, diventa padrone di te, e vedrai la verità. Questa verità non è nelle cose, non è fuori di te e non al di là di qualche mare, ma prima di tutto nel tuo proprio lavoro su te stesso. Se ti vincerai e ti umilierai, diventerai libero, come non hai mai immaginato che si possa essere, e inizierai la grande opera di dare la libertà agli altri, e conoscerai la felicità, perché la tua vita si riempirà e tu comprenderai finalmente il tuo popolo e la tua santa verità.

Conclusione

Spero che la condivisione di tali testi abbia suscitato curiosità e desiderio di ulteriore lettura dei grandi lavori di F. M. Dostoevskij, oltre a far crescere un po’ di pazzia in più per Cristo e per il santo Vangelo.


FONTI

 Dostoevskij,
Diario di uno scrittore, Bompiani, Milano 2007.
I fratelli Karamazov, Rusconi libri, Rimini 2004.
L’adolescente, Einaudi, Torino 2008.
Le notti bianche, la mite, il sogno di un uomo ridicolo, Biblioteca Economica Newton, Roma 2007.
Lettere sulla creatività, Feltrinelli, Milano 2005.

T.Gudelyte, Lo JURODIVYJ: da mito popolare a emblema letterariohttp://www.lcm.unige.it/ricerca/pub/23/7192_Gudelyte_2009.pdf

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