Il Mishkan (la dimora) – seconda parte. Che santità possono avere queste pietre?
In ascolto di Esodo (Es 26,1-14).
a cura di Gianmartino Durighello e Piccoli amici di Maria Maddalena del Gruppo Esodo
Carissimi, continuiamo la nostra meditazione sul Mishkan, la dimora portatile per il trasporto dell’arca nel cammino nel deserto. Nella prima parte, dopo un iniziale smarrimento di fronte alla minuziosa e particolareggiata descrizione del modello, abbiamo cercato di cogliere la nostalgia e l’amore del redattore biblico, nel suo esilio, nel ricordo e desiderio del tempio. Un amore appunto fino “al dettaglio”. Abbiamo poi cercato – con l’aiuto dei Padri della tradizione ebraica e cristiana – di cogliere il significato mistico-simbolico del racconto giungendo a considerare anche il mondo delle sefiròt e soprattutto la bellezza nascosta nel vocabolo bait=casa. Cf. in Psallite .
Continuiamo allora la nostra meditazione. Cinque teli – dice il testo – saranno uniti l’uno all’altro e anche gli cinque cinque teli saranno uniti l’ uno all’altro. I teli saranno uniti con cinquanta fibbie d’oro, in modo che la Dimora formi «un tutto unico».
* Cinque teli saranno uniti l’uno all’altro e anche gli altri cinque saranno uniti l’uno all’altro.
I dieci teli ci richiamano le dicei Parole.
Le dieci parole possono essere articolate in 3 + 7. Ed è questa l’immagine classica che abbiamo delle due tavole dell’Alleanza. Le prime tre parole riguardano il rapporto dell’uomo con Dio e le restanti sette il rapporto dell’uomo con il suo fratello.
Ma nello stesso tempo le prime cinque parole sono speculari alle seconde cinque. Riportiamo anche in questo contesto la tabella che avevamo elaborato in occasione di una Lectio divina sui dieci comandamenti. I brevi commenti sono presi dalla tradizione rabbinica.
I- Io sono il Signore tuo Dio VI- Non uccidere
perché l’assassino distrugge l’immagine di Dio che è in ogni uomo
II- Non avrai altri dei oltre a me VII- Non commettere adulterio
perché l’infedeltà coniugale è come commettere idolatria, essendo il matrimonio il sacramento dell’unità sponsale dell’uomo con Dio
III- Non nominare il Nome di Dio invano VIII- Non rubare
perché il furto conduce a giurare il falso
IV- Ricordati del Sabato… IX- Non dire il falso …
perché chi dice il falso contro il prossimo è come lo facesse contro il Signore, sostenendo che non ha creato il mondo in 6 giorni e che il 7° non si è riposato…
V- Onora tuo padre e tua madre X- Non desiderare la donna…
perché i figli di un adulterio quale padre onoreranno?
Farai cinquanta fibbie d’oro e unirai i teli l’uno all’altro mediante le fibbie, così la Dimora formerà un tutto unico.
I dieci teli, di quattro tessuti, saranno quindi uniti come un solo telo. Il testo ebraico ha una espressione molto bella che, resa alla lettera, sarebbe: “saranno uniti donna a sua sorella”. A rendere la profonda unità di questi dieci teli, come fossero un solo telo.
Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. [Cfr Gv 17,21-23]
Questa vocazione ad essere una cosa sola, perfetti nell’unità, come il Padre e il Figlio nello Spirito, ritorna come una spirale nella Scrittura. Paolo parlando dell’unità nella ricchezza dei carismi usa la celebre metafora del corpo umano:
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. (…) Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. (…) Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. [Cfr 1 Cor 12ss]
E ritorna forte l’identità tra tempio e corpo umano. Non solo e non tanto singolarmente, ma «insieme» veniamo edificati in Cristo come suo corpo e tempio:
In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito. [Ef 2,21-22]
Il “filo” che unisce i teli di questo tempio che siamo noi, corpo di Cristo, è la carità:
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione (…)
Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità. [Cfr Ef 4,1ss](…) intimamente uniti nell’amore [Col 2,2]
L’origine di questo tempio non è quindi invenzione degli uomini, ma viene da Dio stesso. Vi vediamo le anime dei santi, adornate di ogni virtù, che insieme compongono un solo tempio di Dio. Pietro nella sua seconda lettera parla del suo corpo nell’esodo passeggero di questa vita come di una tenda:
Io credo giusto, finché vivo in questa tenda, di tenervi desti con le mie esortazioni, sapendo che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come mi ha fatto intendere anche il Signore nostro Gesù Cristo. [2Pt 1,14]
Siamo in esodo, in cammino verso la Patria celeste. E pensiamo allora: questo nostro corpo è la vera tenda, il santuario mobile nel quale Dio viene, è presente, e ci accompagna nel nostro cammino. E queste coperture avevano una notevole larghezza, così come deve essere la carità, che trasforma la via stretta in una via ampia, spaziosa
Lo Spirito Santo, che sparge ne’ cuori nostri l’impressione della sua grazia multiforme, per usare la frase di s. Pietro (1Pt 4,10), genera in essi per sì fatto le principali virtù, la carità, l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza, che l’uno di questi doni nell’uno maggiormente risplende, e l’altro nell’altro: ma che nel tempo stesso ispira a tutti loro, come lo scopo principale di tutta quanta la Religione cristiana, un amore sincero della pace e della fraterna benevolenza affinché cospirino insieme per non esser tutti che una cosa medesima, secondo la preghiera da Gesù Cristo indirizzata al Padre suo (Gv 17,11): ut sint Unum sicut et nos. [L.I. Lemaistre de Sacy]
Così le fibbie d’oro che uniscono i teli in modo da formare un tutto unico sono il vincolo santo della carità, affinché tutti siamo un solo corpo e un solo spirito, una sola tenda, il corpo e tempio di Cristo.
Conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. [1Pt 4,8]
Ritorna l’immagine che abbiamo considerato nella prima parte di questa nostra meditazione: l’immagine della carità come un abito, un mantello, come una tenda. Allora queste cortine ricamate e ornate (che sono quindi le nostre anime) si alzano fino alla sommità della Dimora formando così la prima copertura:
I fedeli, che riconoscono di essere nei loro corpi come in una tenda, e sopra la terra come in un luogo di esilio, debbano innalzarli di continuo verso Dio co’ gemiti di una incessante orazione, e coll’ardore de’ santi loro desideri. [L.I. Lemaistre de Sacy]
* le coperture superiori
Se la prima copertura, sulla quale ci siamo finora soffermati, ha la funzione di contenere l’arca con le tavole della testimonianza e deve quindi essere bella, ornata con ricami d’artista, le tre coperture superiori hanno invece la principale funzione di proteggere questa dimora dalle intemperie. Ma non sono però prive di un significato spirituale. La copertura del tabernacolo rappresenta infatti la Gloria di YHWH, che protegge il popolo nel suo cammino di giorno come una nube e di notte come una colonna di fuoco:
Creerà il Signore su ogni punto del monte Sion e su tutti i luoghi delle sue assemblee una nube di fumo durante il giorno e un bagliore di fuoco fiammeggiante durante la notte, perché la gloria del Signore sarà sopra ogni cosa come protezione, come una tenda sarà ombra contro il caldo di giorno e rifugio e riparo contro la bufera e contro la pioggia. [Is 4,5-6]
La tenda significa – rende quindi visibile e presente – la nube e il fuoco, la Gloria di Jaweh.
Nella seconda copertura, di pelli di capra, alcuni Padri vedono la necessità di praticare mortificazione e penitenza.
Nella terza copertura, di peli di montone tinte di rosso, Cristo, l’agnello immolato tinto del sangue della sua Passione, ma anche i santi martiri che lo hanno seguito sulla via della croce.
Nella quarta copertura eretta con pelli di tasso, pelli conciate, tinte di turchino, ci è mostrata la speranza dei beni del Cielo.
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Contempliamo quindi la dimora, come il dono che il Signore ci fa di una nuova creazione, di una nuova primavera, luogo della sua Presenza e dell’Incontro perenne con noi, in noi e attraverso noi.
* La dimora, il tempio, ci ricorda innanzitutto il paradiso dell’Eden, il giardino dell’incontro, della comunione originaria tra Dio e l’uomo. Dopo la caduta (che rompe questo originario «essere-con») Adamo è in cammino su questa terra cercando di rispondere alle due domande che Dio ha rivolto a lui e al suo figlio Caino: Dove sei? Dov’è tuo fratello?
* Nell’incontro del Roveto e del Sinai Dio stesso ci risponde. Ci rivela il suo Nome come Io-sono-con-Te. Egli è un Dio che si lascia incontrare nella nostra storia, un Dio perennemente presente nella nostra Storia, un Dio che abita in una tenda, la nostra tenda: dalla Beth alla Tau. Cf in Psallite: https://psallite.net/wp/2023/01/31/il-mishkan-la-dimora-prima-parte/
* Ed ecco la dimora portatile, che ci accompagna nel cammino dell’esodo e ci mostra che Dio è Dio-con-noi, Dio dell’Incontro e Dio della Presenza. Ecco perché a Davide che voleva costruirGli una casa, Dio risponde che la tenda è la sua casa. Che egli ci accompagna sempre. Anzi: sarà egli stesso a costruirci una Casa, una generazione di pietre vive, stabile per sempre.
* Il tempio, allora, il tempio eretto da Salomone in Gerusalemme, non è opera dell’uomo, ma dono di Dio. E non è eretto tanto come tempio stabile, quanto immagine del cielo e immagine dell’uomo. Perché il cosmo e l’uomo sono il vero tempio. E il tempio di pietre è relativo, instabile, come una tenda nel deserto del tempo.
* Ed ecco che Gesù nell’incontro con la Samaritana ci chiama a un culto in spirito e verità e ci rivela che il suo corpo è il vero tempio e che noi siamo chiamati ad essere nell’unità di questo suo corpo, questo tempio di pietre vive.
* Dal tempio alla chiesa. Il luogo dove i Cristiani sono convocati alla presenza e all’incontro con Dio prende allora nome dall’essere popolo, assemblea (in greco ecclesia): non si chiama più tempio, ma chiesa. E anche nei confronti della nostra chiesa di pietre coltiviamo questo duplice sentimento di abitarla come segno di ciò che noi siamo (chiesa di pietre vive in esodo verso la tenda stabile) e insieme nostalgia-amore per la città celeste. Nel nostro incontro del Gruppo Esodo alcuni amici, che vivono l’esperienza di un continuo spostarsi di casa, confidano che quando giungono in un nuovo paese… cercano una chiesa. Nella chiesa trovano una casa, un punto di riferimento: la certezza di essere accompagnati e nello stesso tempo la fede e la speranza di una Patria.
Che davvero nelle nostre chiese tutti possano trovare una casa. E penso anche e in particolar modo agli esuli, ai migranti…
E la carità! La carità di Cristo è la cupola, il mantello, la tenda, il filo dorato, il vincolo di questa santa unità il cui nome è Pace, Shalom. Ricoperti, rivestiti di Carità – ci dice Margherita – possiamo davvero essere testimoni dell’amore del Signore che si manifesta in noi e attraverso di noi.
Guardiamo allora a Maria, arca della Nuova alleanza, tenda dell’incontro, nostra madre e immagine e modello. Perché tutto sia Carità.
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Negli stessi giorni nei quali con gli amici del Gruppo Esodo ci trovavamo a meditare questa Parola, il Signore mi ha fatto la grazia di condividere con una cara comunità di sorelle trappiste la festa della dedicazione della loro chiesa. Da questa esperienza di amicizia fraterna e di grazia che il Signore mi ha donato vorrei estrarre e condividere come perla preziosa le parole che san Bernardo rivolge ai confratelli in un sermone appunto per la festa della Dedicazione di una chiesa. Che santità possono avere queste pietre – chiede san Bernardo – perché noi celebriamo la loro solennità?
Vogliamo concludere allora questa nostra meditazione contemplando come rivolte a noi queste stupende parole dell’abate di Chiaravalle:
La festa di oggi, fratelli, deve esserci tanto più cara quanto più è propria della nostra famiglia. (…) È nostra perché riguarda la nostra chiesa, ma è ancora più nostra perché riguarda noi stessi. (…)
Che santità possono avere queste pietre, perché noi celebriamo la loro solennità?
Sono sì sante, ma a causa dei vostri corpi. E non c’è dubbio che i vostri corpi sono santi, perché sono tempio dello Spirito Santo.
Bernardo continua rivolgendosi direttamente ai monaci invitandoli a considerare l’esodo che ognuno ha fatto (e fa sta facendo), utilizzando immagine proprie del racconto di Esodo:
Volete forse qualche prova della santità di cui parliamo, e desiderate vedere i miracoli di questi santi? (…)
Quale miracolo più grande (…) Voi stessi, credo, vedete quanti miracoli potremmo trovare se fosse possibile indagare uno alla volta l’ESODO di ciascuno dall’Egitto, e il cammino nel deserto, cioè la rinuncia al mondo, l’entrata in monastero, e la vita che qui conducete.
Cosa sono veramente queste cose, se non la prova evidente che lo Spirito Santo abita in voi?
Vedete, dunque, se non abbiamo ragione di far diventare una festa il giorno in cui lui ci ha preso come sua proprietà, e si è servito dei suoi servi e dei suoi rappresentanti per compiere ciò che aveva promesso un tempo, dicendo: Io sarò in mezzo a loro, e sarò il loro Dio (…)
È necessario dunque che si compia spiritualmente in noi ciò che è stato compiuto prima visibilmente sulle pareti.
E qui Bernardo ricorda i cinque momenti del rito della dedicazione aiutandoci a comprendere e gustare come essi vengono operati sulle pareti come segno, e sui in nostri corpi come realtà.
L’aspersione, con l’acqua “sgorgata dalla sorgente della sua misericordia, cioè dal Suo costato”.
L’iscrizione, “con il dito di Dio non sulla pietra, ma sulle tavole dei nostri cuori” (il vescovo tracciava con il pastorale sulla sabbia o sulla cenere posta sul pavimento una croce formata un braccio dalle lettere dell’alfabeto greco e l’altro braccio dalle lettere dell’alfabeto latino).
L’unzione, della grazia, che addolcisce “le croci delle osservanze e delle penitenze”.
L’illuminazione. Cristo pone la sua luce (che siamo noi!) sul candelabro perché “è tempo che la luce risplenda davanti agli uomini e vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre”.
La benedizione. Questo gesto, nella sua realtà più vera, aspettiamola alla fine – ci dice Bernardo. “Nella benedizione arriva a compimento l’intera grazia della santificazione, quando ormai passeremo nella casa non costruita da mano di uomo, eterna nei cieli. Essa è quella che viene costruita con pietre vive, cioè con gli angeli e gli uomini”.
Quelle pietre dunque aderiscono l’una all’altra
grazie a un duplice cemento,
d’una piena conoscenza e di un amore perfetto.
Perché tanto più sono unite le une alle altre da un amore reciproco,
quanto sono più vicine alla carità stessa che è Dio. [Bernardo di Chiaravalle]