Liturgia&Musica

II Domenica del Tempo Ordinario/A

di Massimo Palombella

Tiziano Vecellio, San Giovanni Battista, 1540 circa (Gallerie dell’Accademia, Venezia)

Il Vangelo di oggi (Gv 1, 29-34), narrando l’incontro tra Gesù e Giovanni il Battista si concentra sull’identità di Gesù, come accadrà sostanzialmente in questo segmento di “tempo ordinario” che ci condurrà fino all’inizio della Quaresima.

L’identità di Gesù è il punto focale per la definizione del Dio “cristiano” ed insieme per tracciare una visione dell’uomo e una modalità di vivere la stessa relazione con Dio.

Riconoscere l’identità di Gesù, affermare che Dio si è fatto uomo, è dire che la storia, la cultura hanno un valore per il fatto che sono state “assunte” da Dio. Il valutare con obiettività la vicenda storica di Gesù di Nazaret – il suo essere nato da una donna, cresciuto in una precisa cultura, l’essere sottoposto alle leggi della crescita umana, il suo soffrire, morire, risorgere ed essere assunto in cielo – ci porta necessariamente a superare una visione platonica o neoplatonica della realtà dove esiste la storia come istanza da cui lentamente liberarsi, riscattarsi, per accedere ad una situazione “pura” ormai svincolati dal peso e dalla “sporcizia” dello spazio e del tempo.

L’Incarnazione, “Dio fatto uomo” – lo specifico del Cristianesimo – pone allora una assoluta continuità tra storia e metastoria, tra tempo ed eternità. Questo semplice, quanto rivoluzionario dato lo ritroviamo quando affermiamo di credere nella Risurrezione (e nel rito cristiano delle esequie si incensa il corpo defunto perché quel “corpo” lo ritroveremo – con le caratteristiche proprie di una dimensione senza spazio e tempo – nell’eternità) e quando valutiamo con intelligenza, ad esempio, l’esperienza del monachesimo cristiano che non si pone, a differenza delle altre forme di monachesimo, come una “fuga dal mondo”, dalla storia, ma come una forma diversa – e forse più intensa – di presenza attiva nella storia attraverso la preghiera e l’offerta totale di se stessi a Dio.

In sostanza nel Cristianesimo la storia, la cultura, l’umano… Tutto questo è stato “redento”, “sanato” perché tutto è stato assunto da un “Dio fatto uomo” rompendo definitivamente l’arcaica – e quanto mai ricorrente – distinzione tra “sacro” e “profano”. Nella visione della realtà conseguente non esistono quindi cose che sono intrinsecamente “sacre” o “profane” ma solo la modalità d’uso delle medesime e il contesto storico culturale vengono a codificare istanze con contenuti morali.

In quest’ottica possiamo comprendere rettamente la Liturgia Cristiana fatta di semplici e ordinari segni come pane, vino, acqua, olio… Tutti sottoposti al deterioramento, e dunque alla storia, segni che nell’azione liturgica divengono il luogo dove incontrare, attraverso i sensi, l’umanità di Gesù. Ma anche una Liturgia che si è arricchita storicamente del meglio di ogni cultura dove il cristianesimo è fiorito rinunciando da sempre ad una monolitica e “sacra” forma intoccabile. In questa Liturgia possiamo collocare, tra i tanti segni, anche quello “sonoro”, e dunque la musica, rintracciando proprio in questa Liturgia, l’origine della musica colta occidentale.

L’antifona di Comunione della Celebrazione odierna è tratta dal Salmo 19 (Sal 19,6) con il seguente testo:
“Laetabimur in salutari tuo:
et in nomine Domini Dei nostri magnificabimur.”

(Ci allieteremo per la tua salvezza
e ci glorieremo nel nome del Signore nostro Dio).

La musica allegata, in Canto Gregoriano, è tratta dal Graduale Triplex pubblicato a Solesmes nel 1979. L’interpretazione, dal vivo, è della Schola Cantorum della Co-Cathedral of the Sacred Heart, Houston, Texas nel Gennaio 2020.

Buona Domenica e un caro salute.

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