In ascolto di Esodo

La Menorah – Il candelabro a 7 braccia (prima parte)

In ascolto di Esodo (Es 25,31-40).

a cura di Gianmartino Durighello e del Gruppo Esodo

Farai anche un candelabro d’oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo. Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall’altro lato.
Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla, e così anche sull’altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro.
Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle: un bulbo sotto i due bracci che si dipartono da esso e un bulbo sotto i due bracci seguenti e un bulbo sotto gli ultimi due bracci che si dipartono da esso; così per tutti i sei bracci che escono dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d’oro puro lavorata a martello.
Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio davanti ad esso.
I suoi smoccolatoi e i suoi portacenere saranno d’oro puro. Lo si farà con un talento di oro puro, esso con tutti i suoi accessori. Guarda ed esegui secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.

Il saccheggio del Tempio dopo il trionfo di Tito con la conquista di Gerusalemme (particolare, 90 dC)

Il nostro cammino in ascolto di Esodo riprende con la descrizione degli arredi del Santuario secondo il comando e il modello che Dio dà a Mosè. Dopo la tavola dei pani della presenza ecco ora il candelabro a sette braccia, la menorah.

Una delle immagini più celebri della menorah è quella dell’arco di Tito, che raffigura il trafugamento del candelabro dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 dC.

Alcuni però sostengono che tale raffigurazione non può essere reale, perché i Figli di Israele prima dell’arrivo dei Romani avrebbero nascosto e posto al sicuro il candelabro.

La menorah descritta in Esodo è costituita da un tronco centrale dal quale escono 6 braccia, tre per lato, ognuna con il suo calice e la sua lampada, così da portare 7 lumi, che dovranno far luce verso la parte anteriore del candelabro stesso.

Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne dicendogli: “Quando collocherai le lampade, le sette lampade dovranno far luce verso la parte anteriore del candelabro”. Aronne fece così: collocò le lampade in modo che facessero luce verso la parte anteriore del candelabro, come il Signore aveva ordinato a Mosè. E questa era la struttura del candelabro: era d’oro lavorato a martello, dal suo fusto alle sue corolle era un solo lavoro a martello. Mosè aveva fatto il candelabro secondo la visione che il Signore gli aveva mostrato. [Nm 8,1-4]

* la collocazione della menorah nella prima tenda del Santuario, il Santo
La menorah è collocata dentro la prima tenda, il Santo, fuori del velo del Santo dei Santi. Rabbenu Bekhayé (1260ca-1340) commenta che era posta nella prima tenda, la stanza esterna, perché tutti potessero vederla ed esserne ispirati.

Allo stesso tempo è posta fuori del Santo dei Santi perché l’arca e le tavole della legge in essa contenute non hanno bisogno di luce. La Parola stessa è luce!

* la funzione della menorah
La funzione della menorah, che splende perennemente davanti al Signore, è allora quella di irradiare luce dal Tabernacolo sul mondo intero, come le finestre del tempio
Le finestre del tempio, infatti – commenta l’haggadah – non hanno tanto la funzione di far entrare luce nel tempio, bensì quella di permettere alla luce della Torah di uscire dal tempio e irradiare il mondo.

* Una fiamma perenne
Il Signore parlò a Mosè e disse: “Ordina agli Israeliti che ti portino olio puro di olive schiacciate per l’illuminazione, per tenere perennemente accesa la lampada. Aronne la disporrà nella tenda del convegno, fuori del velo che sta davanti alla Testimonianza, perché arda dalla sera al mattino davanti al Signore, sempre. Sarà per voi una legge perenne, di generazione in generazione. Egli disporrà le lampade sul candelabro d’oro puro, perché ardano sempre davanti al Signore. [Lv 24,1-4]

La sua fiamma deve essere perenne. I sacerdoti, di generazione in generazione, alimenteranno la fiamma della menorah.

* Un unico blocco d’oro puro lavorato a martello
Sarà lavorato martello… Il testo non dice “lo lavorerai a martello”, ma “sarà lavorato…”. Da questo particolare nasce un midrash:

L’impresa di costruire la menorah secondo il modello dato si rivelò subito molto difficile per Mosè. Dio venne in soccorso a Mosè mostrandogli una menorah di fuoco.
Ma Mosè continuava a dubitare: «Come riuscire a realizzare la menorah secondo il modello che Dio mi ha mostrato?».
Allora Dio ordinò al suo servo Mosè di gettare tutto intero il blocco d’oro nel fuoco e dal fuoco sarebbe uscita la menorah.

Questa espressione verbale – osserva Ibn Ezrà (1092-1167) – ci dice che la menorah fu creata da Dio senza l’intervento dell’uomo. Allo stesso tempo però Dio chiede che l’uomo collabori alla sua costruzione. Mosè doveva pure avere iniziato a costruirla, commenta Judah Loew ben Bezalel (XVI sec). Altrimenti perché Dio avrebbe dato un comando al suo servo Mosè? Ed è proprio così infatti che Dio compie le sue meraviglie. L’uomo dapprima è chiamato a rispondere all’invito di Dio mettendoci tutto se stesso, secondo le sue possibilità. Allora Dio gli viene in aiuto e lo soccorre nella sua debolezza e nei suoi limiti. Perché Dio solo opera prodigi, ma egli vuole anche che sia l’uomo a darvi inizio (cf Esodo, edizioni Mamash).

Dal fuoco sarebbe uscita la menorah… questa azione di Dio, ci suggerisce l’amica Lucia, ci fa pensare al roveto ardente. Ritorneremo alla fine della nostra meditazione su questo parallelo: roveto ardente e menorah.

 * La decorazione floreale: i fiori di mandorlo
Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo.
Ecco allora il candelabro, con il suo fusto, i suoi bracci, i calici, i bulbi, le corolle.
Il termine mandorli (shuqqadîm) richiama per allitterazione il tema della vigilanza (shaqed=mandorlo, shōqed=io vigilo). Le consonanti sono le stesse: שקד. Il mandorlo è infatti il primo albero a fiorire in primavera. Attende-vigila in attesa della primavera. Diventa quindi simbolo della rinascita e segno dell’attesa, emblema della vigilanza. Shuqqadîm (=mandorli) sono allora coloro che vigilano, che sono nella veglia.
Il primo “vigilante” è Dio stesso, che sempre veglia per far fiorire la sua Parola.

Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo (שקד shaqed)”. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo (שקד shoqed) sulla mia parola per realizzarla”. [Ger 1,11-12]

Così noi – osserva l’amico Luis – siamo chiamati a vigilare in attesa dello Sposo come le vergini prudenti della parabola:

Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! [Mt 25,1-6]

Il tema dell’olio e dello sposo, osserva ancora Luis, ci richiama il prologo del Cantico dei Cantici:

Aroma che si spande è il tuo nome. [Ct 1,3]

Più che aroma sarebbe bene tradurre profumo, balsamo. Si tratta di un olio, un unguento che va spalmato, non spruzzato come i nostri profumi di oggi. Il testo del Cantico è bellissimo nell’affiancare ancora per allitterazione questi due termini: nome (shem – שם) e olio (shemen – שםן).
Il nome dello Sposo è come olio profumato che si espande. Ci viene in mente il salmo:

Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!
È come olio prezioso versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste. [Sal 133,1-2]

Dalla parola “olio”, come sappiamo, deriva anche la parola “Messia”. Ecco allora l’invito ad essere vigilanti in questa notte, ad esserlo insieme, come fratelli: il Messia, lo Sposo ci viene incontro!

 * La luce delle 7 lampade
– gli occhi di Dio. Nella visione di Zaccaria – osserva la nostra amica Fernanda – le sette lampade del candelabro rappresentano prima di tutto gli occhi del Signore che scruta la terra:

L’angelo che mi parlava venne a destarmi, come si desta uno dal sonno, e mi disse: “Che cosa vedi?”. Risposi: “Vedo un candelabro tutto d’oro; in cima ha una coppa con sette lucerne e sette beccucci per ognuna delle lucerne. (…) Allora domandai all’angelo che mi parlava: “Che cosa significano, mio signore, queste cose?”. Egli mi rispose: “(…) Le sette lucerne rappresentano gli occhi del Signore che scrutano tutta la terra”. [cf Zc 4]

– gli occhi dell’uomo. Le 7 lampade rappresentano anche gli occhi dell’uomo, in quanto chiamato ad essere una menorah per il mondo. Secondo Obadja Sforno (XV-XVI sec) le tre fiamme di destra simboleggiano le idee dell’intelletto e le tre fiamme di sinistra il pensiero applicato alla vita quotidiana. Ma “tutto deve essere guidato e diretto dalla centralità della luce della Torah”, come simboleggiato dalla fiamma del fusto.

Come nel cuore del tempio la lampada perenne irradia sul mondo la luce divina, così il nostro corpo… Il nostro corpo che è vero tempio deve irradiare questa luce. E nel tempio del nostro corpo questa lampada e finestra è l’occhio. Da qui l’importanza di custodire la purezza dei nostri occhi:

La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra! [Mt 6,22ss]

Così con il salmo preghiamo: conserva la luce ai miei occhi (Sal 12,4).

* Chiamati ad essere candelabro vivente
Dio è luce. Presso di Lui abita la luce (Dn 2,22). E la sua Parola è luce. Lampada ai miei passi, luce sul mio camino (cf Sal 118,105).

Gesù è luce. Luce venuta nel mondo.

Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
[Cf Prologo vangelo di Gv 1]

Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. [Gv 8,12]

L’uomo è chiamato ad essere luce.

Menorah, Joel Arthur Rosentha, Museo Ebraico di Roma.

Nella Liturgia, culmine e fonte della nostra vita, celebriamo e ci formiamo ad essere candelabro vivente. Pensiamo alla processione di ingresso di una liturgia eucaristica solenne. Davanti il turiferario con l’incenso. Il turibolo significa l’umanità di Cristo e il fuoco la sua divinità. E noi diventiamo profumo di Cristo, offerta vivente che come incenso sale a Dio. Ed ecco i ceri accesi e in mezzo la croce.

Noi seguiamo la croce, colonna di fuoco del nostro esodo. Con i candelieri rappresentiamo tutti noi chiamati nel suo corpo ad essere luce del mondo.

Io sono la luce del mondo (Gv 8,12)

Voi siete la luce del mondo (Mt 5,14)

Il libro della Rivelazione o Apocalisse, inizia proprio con la visione di 7 candelabri d’oro, che sono le 7 Chiese. In mezzo il Figlio dell’uomo:

Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba (…) Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. [Ap 1,12ss]

E la Gerusalemme nuova non avrà più bisogno di tempio perché l’Agnello è il vero tempio. Non avrà più bisogno di luce, né di sole né di lampada, perché la lampada sarà l’Agnello:

E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:

“Ecco la tenda di Dio con gli uomini!” (…)
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello. [Cf Ap 21]
Non vi sarà più notte,
e non avranno più bisogno
di luce di lampada né di luce di sole,
perché il Signore Dio li illuminerà.
E regneranno nei secoli dei secoli. [Ap 22,5]

L’amica Sibylle ci propone una riflessione sull’Eucaristia. Come Gesù è luce e noi siamo chiamati ad essere luce… Così noi che ci cibiamo del Pane… diventiamo quel pane, come bene sintetizza Leone Magno in una sua omelia:  noi diventiamo ciò che mangiamo.

La Parola è luce. La Parola si è fatta carne immolata sulla croce e nel pane dell’altare.

Partecipiamo alla comunione di questa Luce e di questo Pane. Diventiamo anche noi questa Parola, diventiamo anche noi questa Luce che si espande, questo Pane che si spezza in tante parti quanti sono i fratelli…

* Il roveto ardente e la menorah
Ci aiuta una particolare rappresentazione artistica della menorah, alla contemplazione della quale ci invita Stefania. Si tratta di un’opera realizzata da Joel Arthur Rosenthal in occasione della mostra “Menorah: culto, storia e mito” nel 2017 e donata poi dall’artista al Museo Ebraico di Roma.

L’artista realizza la menorah come un cespuglio di mandorlo, con il suo fusto centrale e i sei rami, tre per parte. Questa realizzazione non può non ricondurci a un altro cespuglio, il roveto ardente e alla rivelazione del Nome santo di Jhwh a Mosè nel fuoco che non consuma. Ripensiamo al midrash nel quale Dio stesso getta il blocco di oro nel fuoco, e dal fuoco uscirà quindi la menorah del tempio, luce perenne, che mai si spegne.

Più volte abbiamo considerato come Mosè vive nella propria storia personale quanto sarà poi chiamato a vivere a guida del suo popolo. Così egli è chiamato sull’Oreb a fare esperienza nel fuoco del roveto del Nome santo di Dio.

E ognuno di noi nella preghiera del tempio è chiamato a vivere questo incontro: a fare cioè esperienza della Presenza e del Nome santo di Dio, olio profumato, alla luce e al fuoco del roveto-menorah, alla luce e al fuoco della liturgia.

E divenire noi stessi questa luce e questo fuoco.

L’amico Riccardo sottolinea l’importanza della Bellezza come via di annuncio. Pensiamo alla vocazione dell’arte… E freniamo di fronte al creato la nostra urgenza di catturare quasi la sua bellezza. Elena osserva come oggi – telefonino in mano – di fronte a una bellezza improvvisa il primo istinto è quello di fare subito una foto. Che magari resta lì, nella cartella del download. Non siamo più capaci invece di fermarci e contemplare la bellezza. Come il mandorlo che vigila, che attende lo sbocciare della Primavera, e con i suoi fiori illumina tutto il giardino.

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