I Custodi dell’Arca, i Custodi del Cuore
In ascolto di Esodo (Es 25,17-20).
a cura di Gianmartino Durighello e del Gruppo Esodo
All’inizio della Quaresima chiediamo al Signore che crei in noi un cuore puro, che rinnovi il nostro cuore…
Abbiamo contemplato come il Cuore sia la vera arca che il Signore ci chiede di preparare, a modello del Cuore di Gesù.
Oggi nella Parola di Esodo che ascoltiamo il Signore ci dice di porre due cherubini a custodia dell’arca.
Così il nostro Cuore, che si impegna a rinnovarsi, a ricrearsi a immagine del Cuore di Gesù… deve avere i suoi cherubini.
Farai il propiziatorio, d’oro puro; avrà due cubiti e mezzo di lunghezza e un cubito e mezzo di larghezza. Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del propiziatorio. Fa’ un cherubino a una estremità e un cherubino all’altra estremità. Farete i cherubini alle due estremità del propiziatorio. I cherubini avranno le due ali spiegate verso l’alto, proteggendo con le ali il propiziatorio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il propiziatorio.
* Farai il propiziatorio d’oro puro; avrà due cubiti e mezzo di lunghezza e un cubito e mezzo di larghezza.
Il propiziatorio=eb. Kappōret è una lastra d’oro che ricopre l’arca. Il termine ebraico kapporet deriva dal verbo kapar che significa coprire, nel senso letterale ma anche in senso figurato: coprire i peccati, quindi far riparazione, pacificare, espiare, propiziare. La Bibbia greca traduce con ilastèrion (espiatorio, propiziatorio) e la Vulgata con propitiatorium. La Bibbia di Lutero tradurrà in tedesco Gnadenstuhl, da cui l’inglese Mercy Seet, Trono della Grazia. Le due interpretazioni (propiziatorio e trono della Grazia) come vedremo si completano a vicenda.
- Espiatorio-Propiziatorio. La stessa radice verbale kpr unisce ancora Kapporet con Kippur. Il pensiero corre subito al rituale postesilico del rito dell’espiazione, lo Yom Kippur, sul quale ci soffermeremo in modo particolare nel corso della nostra prossima meditazione.
- Trono di Grazia. Jhwh appare sul propiziatorio – come già nella tenda del convegno – e dal propiziatorio viene incontro a Mosè e gli parla (Es 25,22), “seduto sui cherubini”. Così in Cronache il Santo dei Santi sarà detto “luogo del propiziatorio”.
Il Kapporet, o propiziatorio, o trono della Grazia è quindi molto di più di un semplice coperchio. Ed è per questo che dovrà essere costruito interamente in oro: farai il propiziatorio d’oro puro!
* Farai due cherubini d’oro, li farai lavorati a martello sulle due estremità del propiziatorio.
Sopra il propiziatorio sono collocati due cherubini (unica raffigurazione ammessa nel culto della tenda-santuario).
Anche in questo caso viene qui riportata una tradizione posteriore all’esilio. Il termine “cherubini” richiama infatti i karibu (cf anche Lamassu o Aladlammû), i custodi della porta dei templi nell’antico Sumer fino agli Assiro-babilonesi, raffigurati come tori alati con volto d’uomo.
Nella storia di Israele i cherubini appaiono solo a partire dall’episodio di Silo, quando gli Israeliti sconfitti in battaglia dai Filistei si promettono di andare a riprendersi l’arca. Il propiziatorio con i cherubini è descritto appunto come il trono di Jhwh, trono di grazia:
Quando il popolo fu rientrato nell’accampamento, gli anziani d’Israele si chiesero: “Perché ci ha sconfitti oggi il Signore di fronte ai Filistei? Andiamo a prenderci l’arca dell’alleanza del Signore a Silo, perché venga in mezzo a noi e ci liberi dalle mani dei nostri nemici”. Il popolo mandò subito alcuni uomini a Silo, a prelevare l’arca dell’alleanza del Signore degli eserciti, che siede sui cherubini (1 Sam 4,3-4).
Nel racconto che ci dà il primo libro dei Re sulla costruzione del tempio di Salomone, troviamo una bella e importante descrizione dei cherubini che ricoprono con le loro ali tutta la sala del Santo dei Santi, così che le loro ali significano l’ombra, la tenda, la gloria di Jhwh.
Nel sacrario fece due cherubini di legno d’ulivo (…) Pose i cherubini nel mezzo della sala interna. Le ali dei cherubini erano spiegate: l’ala di uno toccava la parete e l’ala dell’altro toccava l’altra parete, mentre le loro ali che erano in mezzo alla sala si toccavano ala contro ala. Ricoprì d’oro anche i cherubini. [1 Re 6,23ss]
I sacerdoti introdussero l’arca dell’alleanza del Signore al suo posto nel sacrario del tempio, nel Santo dei Santi, sotto le ali dei cherubini. Difatti i cherubini stendevano le ali sul luogo dell’arca; i cherubini, cioè, proteggevano l’arca e le sue stanghe dall’alto. [1 Re 8,6-7]
Secondo il Talmud i 2 cherubini avevano il volto di bambini ed erano un maschio e una femmina, l’unità della creatura umana generata da Dio: maschio e femmina li creò, a sua immagine! E ancora il numero dei cherubini indica i due nomi di Dio, Jhwh ed Elohim. Il loro volto era come quello dei bambini. Chi studia la Torah – insegna la tradizione rabbinica – deve accettarne il giogo come un bimbo che ha appena iniziato ad imparare e come un bimbo essere puro dal peccato. Se non ritornerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli (Cf Mt 18,3). Camminiamo verso lo stato di innocenza e di purezza che era prima del peccato di Adamo.
La funzione dei cherubini come custodi della Parola e dell’arca del tempio ci riporta infatti alle nostre origini, all’inizio del cammino di Adamo fuori dell’Eden, quando Dio pose a Oriente del giardino i cherubini a custodire la via dell’albero della vita:
Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita. [Gen 3,23-24]
Ricordiamo che il primo libro della Bibbia è stato redatto successivamente ad Esodo. Anche in questo caso nel racconto si attinge alla mitologia sumerico-accadica. Gli stessi karibu infatti, (dall’accadico benedizione-spirito) prima ancora di assumere la figurazione di tori alati con volto d’uomo, erano appunto spiriti deputati alla custodia dell’albero della vita.
Così la visione di Ezechiele unisce l’immagine del trono con quella dei custodi del tempio:
Io guardavo, ed ecco, sul firmamento che stava sopra il capo dei cherubini, vidi come una pietra di zaffìro e al di sopra appariva qualcosa che aveva la forma di un trono. (…) Ora i cherubini erano fermi alla destra del tempio, quando l’uomo vi andò, e una nube riempiva il cortile interno. La gloria del Signore si alzò sopra il cherubino verso la soglia del tempio e il tempio fu riempito dalla nube e il cortile fu pieno dello splendore della gloria del Signore. Il fragore delle ali dei cherubini giungeva fino al cortile esterno, come la voce di Dio onnipotente quando parla. (…) Ogni cherubino aveva quattro sembianze: la prima quella di cherubino, la seconda quella di uomo, la terza quella di leone e la quarta quella di aquila. [cf. Ez 10]
Nella visione narrata nel primo capitolo troviamo invece i quattro elementi che diverranno tipici del tetramorfo: volto d’uomo, di leone, di toro e d’aquila (cf Ez 1,4ss).
Non a caso la visione di Ezechiele avviene durante la deportazione in Babilonia e molto probabilmente lo stesso Ezechiele attinge ai custodi dei templi assiro-babilonesi.
Il tetramorfo è quindi sempre associato al tempio, al trono di Dio e al Libro, la Parola che Dio consegna perché sia proclamata e messa in pratica. Così in Apocalisse:
Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. (…) Ed ecco, c’era un trono nel cielo, e sul trono Uno stava seduto. (…) In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro.
Il primo vivente era simile a un leone; il secondo vivente era simile a un vitello; il terzo vivente aveva l’aspetto come di uomo; il quarto vivente era simile a un’aquila che vola. [Ap 4,1ss]
* Il Vangelo Tetramorfo.
Nel suo Trattato contro le Eresie, difendendo la canonicità dei quattro Vangeli nei quali “soffia un unico spirito”, Ireneo di Lione parla di un unico Vangelo tetramorfo e attribuisce al Cristo i quattro volti tradizionali. Il leone rappresenta la regalità di Cristo; il vitello – che era offerto dal sommo sacerdote nello Yom Kippur – il suo essere sacerdote e vittima nel nuovo sacrificio della croce-altare; volto d’uomo perché nato da donna è vero uomo; e infine aquila perché vero Dio dal cielo dona alla Chiesa il suo Spirito. Successivamente Girolamo rielaborerà l’abbinamento nel tetramorfo ai quattro evangelisti nella forma che conosciamo: Matteo l’angelo, Marco il leone, Luca il bue, Giovanni l’aquila.
* Il Tetramorfo nell’architettura cristiana.
Il tetramorfo, l’essere dal volto di cherubino, di bambino, di leone e di aquila è il custode del tempio, del trono e del Libro. Così nella sua evoluzione è ereditata dall’iconografia e nella architettura cristiana. Pensiamo semplicemente al tetramorfo nei portali delle cattedrali romanico-gotiche soprattutto oltralpe. Raffigurati spesso con espressione minacciosa svolgono la loro funzione di custodi del tempio.
E ricordiamo ancora come entrare in una chiesa sia far memoria dell’esodo. Già in altre occasioni abbiamo avuto modo di contemplare questa bellezza. Ma credo importante richiamarne in sintesi alcuni aspetti principali.
Saliamo i gradini della santa montagna dopo esserci purificati con l’acqua e tra il portale e la navata passiamo per la soglia buia… Come Mosè entriamo nella nube. La navata poi è ancora questo nostro cammino nell’esodo pasquale illuminati dalla luce che viene da oriente, dall’abside, dal cero pasquale-colonna di fuoco e dalla Parola dell’ambone, luce che illumina i nostri passi. Ancora i gradini ci portano al santuario/presbiterio ove è l’altare e il tabernacolo, la tenda. Ai lati del tabernacolo i cherubini. E sopra il tabernacolo la nube, il capocielo. Ma le quattro colonne o lesene che si innalzano dal presbiterio alla cupola culminano nelle quattro vele nelle quali spesso sono raffigurati o scolpiti i quattro evangelisti con i rispettivi simboli tetramorfi.
Ciò che all’entrata ci appariva come spaventoso, ora si rivela luminoso. È la stessa Parola che si eleva e ci eleva in alto, attraverso le quattro colonne del Vangelo, verso la luce che viene dal cielo attraverso la lanterna della cupola sferica.
* Fa’ un cherubino a una estremità e un cherubino all’altra estremità. Farete i cherubini alle due estremità del propiziatorio. I cherubini avranno le due ali spiegate verso l’alto, proteggendo con le ali il propiziatorio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il propiziatorio.
Le ali di ognuno dei due cherubini sono rivolte verso l’alto e nello stesso tempo in fronte all’altro cherubino. Verso l’alto e verso l’altro. Questo ci ricorda quanto abbiamo meditato la scorsa volta sui portatori dell’arca che dovevano camminare guardando l’arca e quindi due di fronte agli altri due.
Questo ci insegna – secondo la tradizione dei padri rabbini – che ogni uomo deve camminare guardando Dio e guardando i fratelli; che ogni uomo deve avere le ali verso l’alto (ossia osservare le leggi di Dio) e verso il prossimo. È il grande comandamento che Gesù ci ricorda rispondendo a un dottore della Legge che lo interrogava:
Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti (Mt 22,37-40).
* Angelo di Dio che sei il mio custode.
Quante volte nei precedenti incontri abbiamo contemplato che il nostro cuore è chiamato ad essere arca, formandosi a modello del Cuore-arca di Cristo. Il pensiero va spontaneamente (non senza una certa commozione) alla preghiera che le nostre mamme ci hanno insegnato prima di coricarci, l’Angelo di Dio.
Pensiamo: se il nostro cuore è arca e tempio, anche noi abbiamo bisogno dei nostri custodi alati, che ci guidino a volare verso Dio e verso il prossimo:
Angelo di Dio,
che sei il mio custode,
illumina, custodisci,
reggi e governa me
che ti fui affidato
dalla Pietà Celeste.
Amen.