In ascolto di Esodo

Abiterò in mezzo a loro – E venne ad abitare in mezzo a noi

In ascolto di Esodo (Es 25,8-9).

a cura di Gianmartino Durighello e del Gruppo Esodo

Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro.
Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi.

Giotto di Bondone, Presepe di Greccio, 1295-1299, Basilica superiore di San Francesco di Assisi, Assisi

Siamo giunti agli ultimi due versetti di questa prima parte del capitolo di Esodo che stiamo meditando.

Due versetti che ci hanno in realtà guidato come un filo conduttore in questi nostri incontri e sui quali oggi ci soffermiamo: Dio ci chiede di costruirgli una dimora e promette di abitare-camminare in mezzo a noi. Egli stesso (in Cristo!) ci dà il modello di come edificare la sua dimora.

* Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro.
Il Santuario, e l’arca nel Santuario, sono così la “dimora” che Dio ci chiede di edificare per abitare-camminare in mezzo a noi. Dalla dimora mobile nel cammino del deserto fino alla dimora stabile, il tempio di Gerusalemme.

Ma… neppure il tempio di Salomone sarà questa dimora stabile, distrutto sotto il fuoco dei nemici di Israele:

Volgi i tuoi passi a queste rovine eterne:
il nemico ha devastato tutto nel santuario.
Ruggirono i tuoi avversari nella tua assemblea,
issarono le loro bandiere come insegna.
Come gente che s’apre un varco verso l’alto
con la scure nel folto della selva,
con l’ascia e con le mazze
frantumavano le sue porte.
Hanno dato alle fiamme il tuo santuario,
hanno profanato e demolito la dimora del tuo nome. (Sal 74, 3-7)

E dopo la ricostruzione, questo tempio verrà definitivamente distrutto come Gesù aveva predetto: Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta (Lc 21,6).

Da allora Israele non ha più un tempio. E l’arca stessa è andata perduta. è la storia allora, il nostro esodo nella storia a divenire un tempio, la dimora di Dio-con-noi.

Fratelli! Siamo tutti in esodo-cammino verso il vero e definitivo tempio, il tempio celeste.

Ancora – come filo conduttore dei nostri ascolti – abbiamo considerato come in questo nostro esodo della storia la vera arca-tempio-dimora sia il cuore di Gesù e il nostro cuore edificato secondo il modello del suo cuore, di cui ogni altro tempio di pietra è segno e sacramento.

Ma pensiamo: anche il cuore di Gesù (come il tempio di Gerusalemme) è un cuore trafitto. E proprio del tempio del suo corpo infatti parlava Gesù quando disse:

distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere (Gv 2,14).

* In mezzo a loro«In» loro.
Osserva Rab Shelah (1565-1630) che il testo non dice che “Dio abiterà in esso”, cioè nel Mishkan-Santuario! Ma che “abiterà in mezzo a loro”, anzi, alla lettera, “in loro” (!). Ossia in ogni uomo. “Poiché ognuno deve fare di se stesso un santuario per Jahweh”.

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
(…)
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi. [Gv 1,1.14]

Anche in questo caso, traducendo alla lettera, dovremmo leggere: “in noi”. Così anche nella lezione latina: Verbum caro factum est, et habitavit in nobis.

Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto: abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. [2 Cor 6,16]

* Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi.
La traduzione italiana modifica di molto la struttura del testo, che alla lettera andrebbe reso così:

Come tutto ciò che io ti mostro/che ti sto mostrando… così farete.

La versione italiana pone all’inizio della frase l’ordine “eseguirete”, seguendo in questo la traduzione greca

Il testo ebraico invece inizia mettendo in rilievo l’azione di Dio (al tempo presente): come tutto ciò che ti sto mostrando.

Viene messo cioè in primo piano non tanto o non solo che siamo chiamati ad eseguire questo comando, ma che siamo chiamati ad eseguirlo in tutto secondo il modello che il Signore ci dà.

Il fatto poi che il verbo in ebraico sia al tempo presente ci impegna in modo molto forte ad accogliere ogni giorno, oggi, questo “mostrare” da parte di Dio.

Tutto ciò che io ti mostro…” è il cuore del Suo figlio, ma – come abbiamo visto – un cuore, un tempio trafitto. Vogliamo allora anche noi conformarci a questo modello, essere un cuore… aperto.

Apri, Signore, il nostro cuore e accoglieremo le parole del Figlio tuo. [dalla Liturgia, cfr. At 16,14]

* Mosè, Giosuè, Davide e Salomone
Nel suo discorso al sinedrio, Stefano, il primo martire cristiano, ripercorre in sintesi il “cammino” della dimora, della tenda della testimonianza, dal deserto fino alla città santa di Gerusalemme.

– a Mosè Dio comandò di costruirla secondo il modello dato;
– ma fu Giosuè a portarla nella Terra promessa;
– qui Davide domandò di poter realizzare una dimora stabile per il Dio del suo popolo;
– ma fu Salomone a costruire il tempio.

Tuttavia, conclude Stefano citando il profeta Isaia (Is 66,1-2), il Dio Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo!

Nel deserto i nostri padri avevano la tenda della testimonianza, come colui che parlava a Mosè aveva ordinato di costruirla secondo il modello che aveva visto. E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè la portarono con sé nel territorio delle nazioni che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide. Costui trovò grazia dinanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per la casa di Giacobbe; ma fu Salomone che gli costruì una casa. L’Altissimo tuttavia non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il profeta:
Il cielo è il mio trono
e la terra sgabello dei miei piedi.
Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore,
o quale sarà il luogo del mio riposo?
Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose?

 Penso che ognuno di noi possa ritrovarsi in una di queste situazioni. Proviamo a chiederci: io sono chiamato ad essere più Mosè o Giosuè? Più Davide o Salomone?

Sono chiamato come Mosè a salire il monte per il mio popolo e ricevere il modello e costruire la tenda?

O sono chiamato come Giosuè a difendere questa tenda, a custodirla dai nemici (insieme ai suoi sacerdoti e ministri, e a tutto il popolo), e a portarla nella Terra Promessa?

Sono chiamato come Davide ancora a difendere questa tenda ed arca dai filistei e a chiedere la grazia di costruire una dimora stabile?

O sono chiamato come Salomone…?

Forse, pensando al tempio del nostro cuore, ognuno di noi è chiamato ad essere prima (o insieme) Mosè, poi Giosuè, poi Davide e infine Salomone.

Guardiamo al modello, che è il cuore aperto di Gesù, e indichiamolo ai fratelli, come nuovi Mosè, così da formare il nostro cuore secondo il suo cuore.

Conduciamo il nostro cuore nella lotta dell’esodo e del deserto, come Giosuè, custodendolo dai nemici e portandolo alla nostra terra promessa.

Chiediamo a Dio come Davide la grazia che il nostro cuore sia questa stabile dimora.

E infine, come Salomone, chiediamo la sapienza, per poter essere costruttori della sua dimora nella città che il Signore ci ha donato.

Come Mosè, come Giosuè, come Davide, come Salomone.

Sapendo che noi non possiamo costruire una casa al nostro Signore, se non accogliendo l’opera delle sue mani. Il creato e il nostro corpo e cuore.

Cosa significa allora davvero custodire il creato!? E custodire il nostro corpo!? E custodire il nostro cuore!? Un cuore secondo il suo modello, un cuore immolato, aperto, trafitto.

* Il Vangelo stretto al petto
Permettetemi di proporvi, e chiederlo a tutti, un piccolo gesto di affetto. Chissà quante volte già lo facciamo e magari non ne siamo neppure pienamente coscienti.

Prendiamo con tutte e due le braccia il Vangelo (o la Bibbia, o il Breviario) e teniamolo abbracciato stretto al petto, magari col capo chino, e il mento a toccarlo quasi.

Restiamo così… e sentiamo come cresce in noi tenerezza e amore.

Poi… alziamo gli occhi e guardiamo gli altri nostri fratelli che tengono anch’essi il Vangelo nel petto… E riconosciamo il cuore di Gesù nel cuore del fratello.

Ora… guardiamo gli altri fratelli sparsi nel mondo, e che magari apertamente rifiutano Gesù e il suo Vangelo, o che inconsapevolmente ne sono ignari. E pensiamo che Gesù si è fatto la loro stessa carne, che Gesù è dentro il loro cuore.

Comprendiamo allora il bambino in fasce nella mangiatoia di Betlemme.

Comprendiamo Gesù sulla mangiatoia della croce che abbraccia il mondo come il suo stesso cuore, anche se essi non lo sanno ancora.

Comprendiamo Gesù nella patena sull’altare…

Il nostro cuore nel Suo e il Suo cuore nel nostro cuore. Nessuno escluso.

 Apri, Signore, il nostro cuore e accoglieremo le parole del Figlio tuo.

Antoniazzo Romano, Morte di Santa Francesca Romana, 1468, particolare di angelo con salterio, Monastero delle Oblate di Tor de’ Specchi (Roma)

Ci viene in mente un particolare tipo di strumento musicale medioevale, un salterio chiamato, per la sua forma trapezoidale, “a muso di porco”. In realtà la forma è intenzionalmente quella di una croce. Cosicché la monaca per suonarlo deve tenerlo in braccio, appoggiato stretto al petto.

Questo gesto – ci suggerisce l’amico Fabio – ci riporta alla mente l’episodio di san Francesco e del Presepio di Greccio nel Natale del 1223, quando – secondo l’agiografia – durante la santa Messa apparve sulla culla il bambino in carne ed ossa. E Francesco con serafica tenerezza prese il bambino dalla culla (come da un’arca) e lo strinse al petto.

Facciamo nostra questa tenerezza e abbracciamo il bambino. Lasciamo che il suo abitare e camminare in mezzo a noi sia davvero un abitare e un camminare “in” noi. Così da muovere il nostro cuore, come abbiamo meditato nel precedente incontro.

A riguardo, l’amica Sibylle, ritornando allo specifico comando che ha fatto Dio di raccogliere materiali per la costruzione dell’arca e del santuario, osserva che questa richiesta che Dio fa di una offerta, mettendo al centro il cuore di chi dona la libera disponibilità più che la somma delle cose offerte, alla fine sembra quasi finalizzata più a ciò che il gesto del donare opera nel cuore, nell’anima di chi offre, che non a reperire il materiale per la costruzione.

Stringiamo allora il bambino al petto e insieme lasciamoci stringere da lui nel suo abbraccio.

Ci soccorrono alcune icone: Maria, che abbraccia e allatta il bambino stretto al suo petto; l’anziano Simeone al tempio e ancora l’apostolo Giovanni che nell’ultima cena si chinò sul petto di Gesù.

È quello scambio di tenerezza e amore che viene cantato nel Cantico dei Cantici:

La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia. [Ct 8,3]

Offriamo allora, ma per essere trasformati.

Stringiamo il bambino al petto, ma per essere da Lui trasformati. “Secondo il modello”!

Ed ecco che se l’arca (e l’arca del cuore) ci è chiesta per custodire le sue Parole, i suoi Comandamenti, Gesù stesso, – il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo (in!) noi – ci dà un Comandamento nuovo e un modello nuovo:

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. [Gv 13,34]

Questo è il comandamento, questa la parola che deve abitare e trasformare il nostro cuore. E questo il modello: “come (!) io ho amato voi”!


Concludiamo il nostro ascolto e la nostra meditazione con un momento di contemplazione che ci ha preparato la nostra amica Francesca: 

Nel deserto,
nell’esodo verso la Tua promessa,
nella precarietà delle nostre scelte,
ci chiedi di costruire la Tua dimora, Dio Padre,
non la mia, la nostra, casa nel nulla,
sulla sabbia.

Ci indichi il modello, il Figlio Amato,
perché Tu possa abitare in noi,
noi vagabondi senza te,
forestieri, spaesati, disancorati.
Affonda il piede stanco nella sabbia.

Un sussurro… fragranza leggera,
lo Spirito che sfiora il cuore…

E aver la certezza di dimorare nel cuore degli altri,
aver la certezza di essere nella Tua dimora,
aver la certezza di dimorare nel Tuo riposo.
Sulla roccia.

Da erranti a pellegrini, in Te, in noi.
[Francesca Pillon]

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