Tutto quello che aveva
In ascolto di Esodo (Es 25,1-3) – Santo Natale 2021.
a cura di Gianmartino Durighello e del Gruppo Esodo
Verbum caro factum est, et habitavit in nobis!
Il Verbo si è fatto carne, e venne ad abitare in noi!
Nella mangiatoia di Betlemme è la Parola che ci è donata, è il Verbo eterno che si è fatto la stessa nostra carne. Nel suo Figlio, Parola vivente, Dio ci ha donato… davvero tutto.
Accogliamo allora la nostra Parola mensile di Esodo alla luce del mistero del Natale: la Parola viene ad abitare in noi! E a noi il Padre chiede di prepararle di cuore una degna dimora. Riprendiamo versetto per versetto il capitolo che stiamo meditando:
Il Signore parlò a Mosè dicendo: “Ordina agli Israeliti che raccolgano per me un contributo. Lo raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore.
* Il cuore
Nel precedente ascolto abbiamo contemplato come Dio (dopo che Mosè più volte è salito e sceso dal monte, e dopo una attesa di 40 giorni e 40 notti) quando “finalmente” comincia a parlare a Mosè, non gli dà ancora le tavole della Legge, ma prima gli chiede di preparare una degna dimora per accoglierle e custodirle: l’arca e il santuario. Così l’arca e il santuario saranno la dimora di Dio che cammina con il suo popolo, Emmanuele, Dio-con-noi. Abbiamo poi contemplato come il cuore di Gesù – e il nostro cuore conformato al suo cuore – sia il vero santuario, la vera arca.
Anche in questa meditazione, come nella precedente, l’accento ricade allora sul cuore. Come prima cosa infatti Dio chiede che gli sia portato un contributo (terumah) che viene… dal cuore.
* Terumah – il contributo
La parola terumah significa contributo, nel senso di una offerta volontaria destinata al culto sacro. L’entità dell’offerta non viene quantificata, ma lasciata alla generosità e alla possibilità di ognuno.
Osserva rab Hirsh (1808-1888) che la radice verbale rûm indica l’azione dell’elevare. Terumah è un contributo che viene offerto-elevato. L’elevazione indica l’atto del presentare l’offerta a qualcuno che sta in alto rispetto a noi che l’offriamo, ma anche – come osserva il Rebbe di Lubavitch (1902-1994) – il nostro impegno a elevare alla dimensione di spirito la materia che Dio ci ha affidato.
In generale la Terumah può essere costituita da una raccolta di frutti della terra (per questo la Vulgata latina traduce “primizie”), come da una colletta in denaro, e ancora può darsi anche in forma di sacrifici. Nel nostro caso Dio comanda una offerta in materie prime, come sarà precisato nel prossimo versetto.
* generoso di cuore
La traduzione italiana cerca di rendere la caratteristica della terumah il cui ammontare – come abbiamo detto – non è prefissato, ma lasciato alla generosità e possibilità di ognuno. L’espressione ebraica, impossibile da rendere in italiano, include l’idea di un cuore che viene mosso, scosso dall’interno. Letteralmente: da ogni uomo che muova il suo cuore. La Vulgata latina sottolinea il carattere di spontaneità: di propria volontà, spontaneamente.
Possiamo contemplare l’invito che ci fa Dio facendoci aiutare dalle parole di Paolo ai Corinzi:
Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. [2 Cor 9,7]
* L’obolo della vedova
Ascoltando questa Parola nell’ultimo incontro del nostro Gruppo Esodo un amico, Luis, ci ha richiamato l’episodio evangelico della povera vedova che offrì nel tesoro del tempio le sole due monetine che aveva. Ella offrì non il superfluo, ma «tutto quello che aveva» per vivere.
Alzàti gli occhi, [Gesù] vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: “In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere”. [Lc 21,2-4]
Un cuore che offre con gioia, quindi. Fino a donare tutto quello che abbiamo, tutto quello che siamo, a Colui che ci ha dato tutto.
Ci riscopriamo allora senz’altro anche «primizie». Il chicco di grano seminato nella primavera della Pasqua (cf Gv 12,24-26) raccoglie il suo frutto, la sua primizia nell’estate della Pentecoste (ricordiamo infatti che il dono della Parola sul Sinai – l’evento che stiamo meditando nell’ascolto di Esodo – avviene a 50 giorni dall’uscita dall’Egitto).
* i tre pilastri dell’arca-cuore
Come primo atto, quindi, per la costruzione di questa arca-cuore che dovrà contenere le Parole, Dio ci chiede di elevare a lui un contributo libero, che parta dal cuore, nella gioia.
Se l’arca che contiene le Parole deve essere il nostro cuore, è questo stesso nostro cuore che si deve offrire, elevare… Non solo il tempio, non solo le sinagoghe, non solo le chiese, ma ogni nostro cuore.
Ogni ebreo ha infatti il dovere di fare della propria casa e della propria stanza un piccolo santuario, una casa in cui cioè splendano la luce della Torah, della preghiera e della tzedakah. [Rebbe di Lubavitch]
Osserva il Rebbe di Lubavitch (1902-1994) che questi infatti erano i 3 pilastri sui quali si fondava il Santuario:
– la Torah (la Parola),
– la tefillah (la preghiera)
– e la tzedakah (la giustizia nella carità).
La tzedaqah è una dimensione ampia, difficile da tradurre con una sola parola. È legata alla rettitudine, alla giustizia, ma nel senso della generosità d’animo. Praticare la tzedaqah significa mettere a disposizione della comunità, soprattutto dei più bisognosi, i propri averi, ma anche la propria persona. Coloro che fanno opera di tzedaqah sono tzedaquìm, i giusti. La vera giustizia viene a coincidere con l’amore verso Dio e verso il prossimo, con la misericordia.
È quel praticare la giustizia che chiede Gesù ai suoi discepoli nel Vangelo che ascoltiamo il Mercoledì delle Ceneri:
State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente (…)
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. (…)
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. [Mt 6,1-6ss]
Nella casa di ogni ebreo c’è una stanza con un cofanetto per la tzedakah, contenente l’offerta per i poveri. I poveri vi attingono quindi, senza conoscere l’identità del donatore. Una casa eretta sulla Torah, sulla tefillah e sulla tzedakah (sulla Parola, sulla preghiera e sulla carità) è una casa nella quale Dio ama porre la sua dimora.
Così facendo – continua il Rebbe – “riusciremo a condurre il mondo alla sua completezza, giungendo alla costruzione del Terzo e ultimo Santuario e alla rivelazione del Messia”.
L’ultimo Tempio è il Tempio celeste. Il Messia entrerà e vi condurrà il suo popolo. Anche i Cristiani come i fratelli ebrei sanno di non avere un tempio stabile qui in terra. Ricordiamolo bene: i cristiani non hanno un tempio come avevano gli ebrei in Gerusalemme. La stessa… basilica di san Pietro in Roma (perdoniamoci l’esempio) non ha questa funzione! Ogni chiesa, ogni casa, ogni cuore, ogni luogo è tempio. Ricordiamo ancora le parole di Gesù alla samaritana, che spesso ritornano nelle nostre riflessioni a ricordarci questa verità: viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. (…) Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. (Gv 4,21-23).
E già ora – contempliamo di nuovo – il Cristo dona il proprio cuore come arca, come dimora che cammina con noi, in mezzo a noi nell’esodo della storia. E anche a noi chiede – sul modello del suo cuore – di preparargli il nostro cuore come arca e degna dimora. Così il salmo dice del giusto: La legge di Dio è nel suo cuore (Sal 36,31).
A te verrà Gesù Cristo per farti sentire le sue consolazioni, se gli avrai apparecchiata dentro di te una degna abitazione. (…)
Orsù dunque, anima fedele, prepara a questo Sposo il tuo cuore affinché si degni di venire a te e abitare in te. Poiché così egli dice: Se qualcuno mi ama, osserverà le mie parole, e mio Padre lo amerà; e noi verremo a lui, e presso di lui faremo dimora (Gv 14,23). [Della Imitazione di Cristo]Ed ecco che cosa raccoglierete da loro come contributo:
Alla lettera: E questa è la terumah che raccoglierete da loro.
L’azione della terumah si realizza in due momenti, l’offerta e la raccolta ed elevazione:
– con l’offerta prima di tutto noi ci priviamo del possesso di un oggetto;
– con la raccolta dell’offerta, l’offerta stessa è elevata spiritualmente.
La materia che offriamo si eleva spiritualmente per divenire Dimora del suo e nostro creatore. Per costruire la dimora del nostro cuore occorre quindi innanzitutto liberare questo nostro cuore, privarci del suo possesso e poi elevarlo spiritualmente a Colui che lo ha creato.
L’episodio evangelico dell’obolo della vedova muove il nostro cuore ad offrire non il superfluo, ma tutto quanto abbiamo per vivere, tutto quanto riusciamo ad offrire di noi stessi. È la logica dell’amore – ci ricorda ancora un altro amico, Riccardo, – Gesù ha donato tutto se stesso. Dio è esigente: ci chiede tutto! Ma Egli ha già pagato per noi! Cosa ci resta allora da offrire se non il nostro cuore, la nostra vita, secondo quanto ci mostrerà, secondo il suo modello, in perfetta misericordia, tutto quello che siamo?
Chi è stato fatto degno dei Comandamenti dà non solo le sue cose, ma perfino la sua vita per il prossimo.
Questa infatti è la perfetta misericordia, come quella del Cristo che per noi ha sopportato la morte, ponendosi come modello e tipo per tutti, affinché moriamo gli uni per gli altri. (Pietro Damasceno in Filocalia)Oro, argento e bronzo, tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia, olio per l’illuminazione, balsami per l’olio dell’unzione e per l’incenso aromatico, pietre di ònice e pietre da incastonare nell’efod e nel pettorale.
Il racconto continua con l’elenco delle materie necessarie alla costruzione della dimora:
- oro
- argento
- bronzo (una lega di rame)
- tessuti di porpora viola
- tessuti di porpora rossa
- tessuti di scarlatto
- tessuti di bisso
- pelle di capra
- pelle di montone tinta di rosso
- pelle di tasso
- legno di acacia
- olio, balsami e incenso
- pietre di onice
Per ognuno dei 13 elementi comandati da Dio la tradizione ha individuato un valore simbolico. Così ad esempio l’oro sarà comandato anche per rimediare a quello impiegato per la costruzione del vitello d’oro; l’argento come espiazione del peccato dei fratelli di Giuseppe che lo vendettero per 20 monete d’argento. Ma insieme all’oro e all’argento è comandato anche il rame, metallo meno prezioso:
Hashèm (Jhwh) comandò di costruire il Mishkàn (il Santuario-la Dimora) non solo con metalli preziosi come l’oro e l’argento, ma anche con il rame.
Ciò viene a insegnarci che anche colui che è erudito, pio e studioso della Torah non ha diritto di allontanarsi dalle persone semplici, poiché senza di esse, senza il rame, non sarebbe possibile costruire il Mishkàn.
D’altro canto, la persona semplice e poco erudita non deve percepire la Torah e la santità come inavvicinabili; anche il rame costituiva, infatti, parte integrante del Mishkàn (cf. Rebbe di Lubavitch).
Qui vogliamo soffermarci su un materiale in particolare, il bisso (lino raffinato).
La parola ebraica shesh è di origine egiziana. Quando Giuseppe, il figlio di Giacobbe venduto dai fratelli come schiavo e condotto in Egitto, trovò grazia agli occhi del Faraone, il Faraone lo fece capo di tutto il paese, secondo a lui solo, e lo fece vestire di bisso, di lino prezioso:
Il faraone si tolse di mano l’anello e lo pose sulla mano di Giuseppe; lo rivestì di abiti di lino finissimo e gli pose al collo un monile d’oro. [Gen 41,42]
Di questo tessuto prezioso dovrà essere anche il vestiario dei sacerdoti (cf Es 28,6).
Nella visione di Ezechiele Dio raccoglie Gerusalemme come una fanciulla e la riveste di bisso e di abiti preziosi, stringendo alleanza con lei, fino a farne una regina:
Passai vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l’età dell’amore. Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità. Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te – oracolo del Signore Dio – e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio. Ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii di stoffa preziosa. Ti adornai di gioielli. Ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. Così fosti adorna d’oro e d’argento. Le tue vesti erano di bisso, di stoffa preziosa e ricami. Fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo. Divenisti sempre più bella e giungesti fino ad essere regina. [Ez 16,8-13]
E di bisso sarà rivestita la nuova Gerusalemme, la Chiesa, la Sposa dell’Agnello:
Udii poi come una voce di una folla immensa, simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano:
“Alleluia!
Ha preso possesso del suo regno il Signore,
il nostro Dio, l’Onnipotente.
Rallegriamoci ed esultiamo,
rendiamo a lui gloria,
perché sono giunte le nozze dell’Agnello;
la sua sposa è pronta:
le fu data una veste
di lino puro e splendente“.
La veste di lino sono le opere giuste dei santi. [Ap 28,6-8]
Le vesti di bisso/lino quindi sono le opere giuste, la tzedakah! Il nostro cuore fatto dimora di Dio nella carità.
Riprendiamo l’episodio evangelico della vedova che getta le sue due monetine come offerta per il tempio, e ascoltiamo come prosegue:
Ella – dice Gesù – ha gettato tutto quello che aveva per vivere”.
Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, disse: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. [Lc 21,1-6]
È agghiacciante. Di questo tempio, che dovrebbe essere la dimora stabile di Dio con noi, non resta che pietra su pietra… Ecco allora che Gesù parla ancora al nostro cuore, vero tempio, vera arca. E ci dice in modo forte quale è la giustizia che egli chiede: avete inteso che fu detto… ma io vi dico…
Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. (…) Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. [Mt 5,17ss]
L’offerta del nostro cuore passa per la comunione piena con il nostro fratello. Non esiste un’offerta personale (pensiamo a Caino!). Ogni offerta è segno di comunione con il nostro fratello.
E Gesù continua, comandamento per comandamento, a bussare al nostro cuore: avete inteso che fu detto… ma io vi dico…
* Il cuore di Gesù e il cuore di Maria
Il cuore quindi. Come mi piace fare spesso, voglio farmi aiutare da un’amica. Questa volta Gertrude. Gertrude (1256-1302) – qualche secolo prima dell’istituzione della festa del sacro cuore di Gesù – possiamo dire che anticipò tutti i tratti fondamentali di questa devozione. Pensiamo, anche di questa grande santa del Cuore di Gesù, la Liturgia canta Gertrudis arca (!) Numinis. Le antifone dell’Ufficio sono bellissime: Mi troverete nel cuore di Gertrude – dice Gesù. Un’altra antifona: Bella e leggiadra sei Gertrude: in te Dio si è preparata una degna dimora (…). E ancora: Cristo parlava a Gertrude faccia a faccia…
Faccia a faccia. Come Dio con Mosè nella tenda dell’incontro.
Facciamo nostro allora questo desiderio. Il desiderio di divenire noi stessi dimora ed arca della presenza di Dio con noi, nella carità.
Con una mirabile visione, al canto dell’Ave Maria, Gertrude vide una mistica effusione dal cuore della Trinità nel cuore di Maria.
Guardiamo allora anche noi a Maria. A ragione la Liturgia dell’Immacolata prega così: Verbo eterno, che hai scelto Maria come arca santa per la tua dimora fra noi…
(Maria) custodiva tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,51).
Letteralmente dovremmo tradurre:
(Maria) custodiva tutte queste parole (!) nel suo cuore (Lc 2,51).
… conservabat omnia verba in corde suo.
Con l’esempio e l’aiuto di Maria, madre del Verbo, possa davvero il nostro cuore elevarsi come offerta gradita, e sia reso degno di essere arca e dimora di Gesù in mezzo a noi.
Credo sia bello e urgente ridare nuovo impulso e diffondere la devozione del sacro Cuore di Gesù e la devozione del Sacro Cuore di Maria Immacolata.
Ci lasciamo con l’impegno di ripetere e far nostri durante il giorno alcuni versetti del Salterio. Ne scegliamo solo 2, due come le monetine della nostra povera vedova. Guardando il cuore di Gesù. Guardando il cuore di Maria. Recitiamoli, facciamoli nostri. Chiediamo la grazia di un cuore degno di custodire come un’arca il Verbo che viene, nella accoglienza della Parola, nella preghiera, nella carità.
Custodirò la tua legge per sempre (Sal 118, Wau).
Mio Dio, questo io desidero,
la tua legge è nel profondo del mio cuore (Sal 39).O Padre,
nel Tuo figlio
sulla mangiatoia della grotta del Natale
Tu ci hai dato Tutto.
Nel Tuo figlio
Sulla mangiatoia e altare e patena della Croce
Tu ci hai dato Tutto.
Ora chiedi a noi
Di preparare un’arca
Per accogliere il Tuo Figlio,
Tua Parola vivente.
Eccomi, Signore,
Ti offro le due monetine
Del mio povero cuore.
Tutto quello che ho,
A Te che nel Tuo Figlio…
Mi hai dato Tutto.
Fammi degno
Di divenire tua umile dimora.
Vieni, Signore Gesù.
Vieni, Signore Gesù.
Vieni, Signore Gesù.