In ascolto di Esodo

La Solitudine in Dio

In ascolto di Esodo [Es 24-18]. Dentro la nube e sotto il velo

a cura di Gianmartino Durighello e del Gruppo Esodo

Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte.
Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti.

Continuiamo l’ascolto del nostro passo di Esodo contemplando questo rimanere di Mosè, da solo, dentro la nube, dentro l’oscurità.
Certo, il popolo dai piedi del monte vede divampare la luce di un fuoco divorante. Ed è per loro, per il popolo che Mosè è lì, da solo, nell’oscurità, in attesa che Dio gli doni le Parole di vita.
Lontano dal popolo, ma ancora… in attesa di Dio… Mosè è solo!
Pensiamo ancora a Gesù in croce: abbandonato dagli uomini, vive l’esperienza di sentirsi abbandonato anche dal Padre e grida a Lui: Perché mi hai abbandonato?
Oggi vogliamo soffermarci sulla dimensione contemplativa di questo “restare” di Mosè nella nube, fino a sentirsi solo, abbandonato, sospeso tra la terra e il cielo, tra il popolo e Dio. E scoprire quanto questa solitudine sia insieme comunione feconda nella carità.
Lo facciamo con l’aiuto di alcune amiche: Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Teresa di Calcutta.

* fecondità della contemplazione

La prima amica che ci viene incontro è Caterina da Siena. Il cuore di Caterina è come un fuoco acceso in intima unione con il suo Sposo, e nello stesso tempo un cuore fecondo di carità per il mondo, nel desiderio di salvezza per tutte le anime:

Vivere “tra cielo e terra”.
In questa ineffabile esperienza, immersa nel mare pacifico della divina essenza, l’anima sta come Cristo in croce “beata e dolorosa”: partecipa alla sua beatitudine, per l’unione con la divinità, e al suo dolore per il male del mondo; così la fame, cioè il desiderio della salvezza delle anime, diventa un moto incontrollabile, e il dolore, in quanto mezzo di redenzione ed espressione di amore, gioia piena. [A. Belloni, Premessa a Vita di Caterina da Siena di Raimondo da Capua]

* crocifissi tra cielo e terra

Teresa d’Avila nel suo Libro della mia vita bene esprime questo essere come crocifissi tra la terra e il cielo:

Mi sembra che l’anima sia in questo stato, perché non ha conforto dal cielo, non stando in esso, né lo vuole dalla terra, da cui è ormai fuori, ed è come crocifissa fra il cielo e la terra. [Teresa d’Avila]

Nei precedenti incontri ci siamo fermati a considerare alcuni aspetti dell’architettura delle nostre chiese. Noi saliamo i gradini, come Mosè sale il monte. Entriamo poi anche noi nel buio, passando attraverso la bussola, tra il portale e la navata.
E camminiamo quindi nella navata guidati dalla luce oriente dell’abside… Abbiamo anche contemplato il capocielo, il baldacchino a forma di nube che sovrasta il tabernacolo-la tenda dove Gesù è presente nel sacramento eucaristico.
Oggi vogliamo soffermarci a guardare il crocifisso sospeso sopra l’altare (almeno in certe chiese, quelle storiche, ma questo idealmente dovrebbe essere in ogni chiesa).
È immediato il collegamento del crocifisso con l’altare. Il sacrificio della croce è lo stesso identico sacrificio che si perpetua sull’altare.
Ancora, il fatto che il crocifisso sia sospeso (e non “appeso” a una parete) ce lo mostra immediatamente nel suo abbraccio tridimensionale. Abbraccia la totalità dell’universo: in alto, in basso, in avanti, in dietro.
Ma qui vogliamo considerare soprattutto che questo crocifisso è appunto… sospeso. Sospeso tra il cielo e la terra.

* partecipi di Gesù abbandonato

Incontriamo allora una terza amica, Teresa di Calcutta. Teresa è chiamata a conformarsi a Cristo crocifisso non solo partecipando alle sofferenze e alla morte del suo Sposo, ma al suo essere… «abbandonato».

Se mai sarò una santa, sarò di sicuro una santa dell’oscurità. Sarò continuamente assente dal Paradiso per accendere la luce a coloro che, sulla terra, vivono nell’oscurità. [Teresa di Calcutta]

Qualche anno fa, alla sua uscita, fece scalpore il libro di Brian Kolodiejchuk, Madre Teresa. Sii la mia luce, che raccoglie le lettere e gli scritti più intimi della santa di Calcutta. Lo scalpore fu accompagnato da una lettura e interpretazione spesso frettolosa ed errata (o perlomeno incompleta). Si era diffusa la voce di una crisi di fede di Madre Teresa. Non tutti però avevano compreso invece la bellezza e la grandezza della conformazione a Cristo di questa piccola grande santa della carità.
Nello scorso incontro abbiamo considerato come Gesù, abbandonato e rigettato dagli uomini, abbracci dell’umanità non solo ogni dolore e morte, ma anche ogni più profonda solitudine e abbandono. È questo dolore, questa morte, ma anche e soprattutto questa solitudine e questo abbandono che egli raccoglie nel suo “grande grido” che innalza al Padre, con noi e per tutti noi: Perché!? Perché mi hai abbandonato?
In questo grido nessun uomo è più solo, perché Cristo stesso grida per noi al Padre. E possiamo dire: Dio (!) che in Cristo si è fatto uomo, grida dentro di sé, nel cuore del suo essere trinitario, questo universale umano abbandono. Il nostro grido risuona nel cuore della Trinità, come lo scalciare di un bimbo nel grembo buio e gravido di una madre.
Alla luce di questo mistero occorre leggere il dramma spirituale di Teresa. Chiamata a conformarsi a Cristo, a “bere al suo calice fino all’ultima goccia”, non poteva che essere un tutt’uno nel cuore del suo Sposo nel quale si raccolgono non solo i poveri e i sofferenti, ma soprattutto i più soli e abbandonati.

Gesù la chiama a sé: Vieni, sii la mia luce! e Madre Teresa cercò di essere quella luce dell’amore di Dio nell’esistenza di chi viveva nelle tenebre. Il prezzo paradossale e del tutto inaspettato di questa sua missione fu, tuttavia, quello di vivere a sua volta in una «terribile oscurità». In una lettera destinata a uno dei suoi direttori spirituali scrisse:
Padre, sin dal 1949 o dal 1950 [avverto] questo terribile senso di perdita, questa indicibile oscurità, questa solitudine, questo ardente desiderio di Dio che mi dà quella sofferenza nel più profondo recesso del mio cuore.
L’oscurità è tale che veramente non riesco a vedere, né con la mente, né con la ragione. Il posto di Dio nella mia anima è vuoto: non c’è Dio in me. Quando il dolore [causato] dallo struggente desiderio è così intenso, soltanto anelo e anelo a Dio, e poi è questo che sento: Lui non mi vuole, Lui non è qui. Dio non mi vuole. A volte sento il mio cuore gridare: «Mio Dio», e non riesco nemmeno ad esprimere lo strazio e la sofferenza”.
Era la condivisione della Passione di Cristo sulla Croce, con particolare riguardo alla sete di Gesù come mistero del Suo ardente desiderio di amore e di salvezza per ogni essere umano. Riconobbe in seguito che la sua misteriosa sofferenza era l’impronta della Passione di Cristo sulla sua anima. Stava vivendo il mistero del Calvario: Calvario di Gesù e Calvario dei poveri.
Questa prova fu un aspetto cruciale della sua vocazione, la parte più esigente della sua missione e l’espressione suprema del suo amore per Dio e per i suoi poveri. Oltre a prendersi cura dei derelitti e degli emarginati della società umana, era disposta ad abbracciare la loro sofferenza materiale e spirituale, la loro condizione di essere «non voluti, non amati, non curati»: di non avere nessuno[Brian Kolodiejchuk, Madre Teresa. Sii la mia luce]

Gesù in croce non solo condivide dell’uomo la sofferenza e la morte… ma anche e soprattutto la solitudine e l’abbandono.
Vuoi bere il mio calice fino all’ultima goccia? – chiede Gesù a Teresa quando era ancora bambina. E lei volle essere tutta per Gesù, conformandosi al suo Sposo, legandosi a Lui con un voto privato: Dargli qualunque cosa Egli possa chiedermi (…) non rifiutarGli nulla.
E così, conformandosi pienamente al suo Sposo immolato sulla croce, Teresa giungerà a chiamare le tenebre sue compagne, facendo proprie le parole del salmo:

Mi sono compagne solo le tenebre. [Sal 87,19b]

* I nomadi di Dio

Potremmo chiedere l’aiuto di altri amici che ci testimonierebbero anch’essi questo mistero grande di… entrare nella nube oscura. Pensiamo a Giovanni della Croce e alla sua Notte oscura, e ancora a tanti altri che si sono conformati allo Sposo crocifisso e abbandonato. Fino all’amica o all’amico più nascosto, di cui neppure conosciamo il nome.
Raccogliamo tutti questi volti nella tenda e nube del nostro cuore… Lo facciamo ascoltando un passo da un libro, forse non molto noto, ma che tutti, a mio avviso, dovrebbero conoscere, leggere, fare proprio: I nomadi di Dio di Louis-Albert Lassus.
Permettetemi che condivida con voi come sono venuto a conoscenza di questo libro, mio tesoro prezioso. Un amico – che lo aveva avuto apparentemente per caso – me lo prestò. E questo libro restò per parecchi anni, almeno una decina, sulla mia scrivania in attesa di essere letto. Tante letture per un motivo o per l’altro prendevano sempre la precedenza. Finché, un paio d’anni fa, approfittando di uno dei miei viaggi in aereo per la Calabria, lo portai con me. Lo lessi di un fiato. Ne trascrissi in un quadernetto le frasi più belle. Ma non bastava. Dovevo rileggerlo e sottolinearlo come sono solito fare di fronte a un amico prezioso. Ma non potevo sottolineare un libro avuto in prestito. Era però introvabile… Ne trovai una copia in internet tra i libri usati. E qui la sorpresa…
Devo premettere che una data particolarmente importante per me è – per una serie di motivi – il 23 aprile. Data nella quale ho fatto una personale promessa umilmente anch’io al mio e nostro Sposo. Ebbene, aperto il volume, trovai al suo interno qualcosa che doveva appartenere al suo primo proprietario. È strano che una rivenditoria di libri usati si lasci scappare all’interno qualcosa del primo proprietario… Come segnalibro c’era infatti un biglietto di un viaggio aereo da Torino a Lisbona con nome del proprietario e la data: 23 aprile 1992.
Non voglio dare a questo fatto un significato più grande di quello che ha. Ma, pur accogliendolo con semplicità, non ho potuto non commuovermi. Ho conservato quel biglietto di aereo (di un “amico” di cui conosco solo il nome) incollato all’interno della copertina e considero – come ho detto – questo libro come un dono prezioso. Da questo prezioso scrigno allora voglio prendere una perla e condividerla con voi chiedendo perdono per questa digressione personale.

* La monaca e l’Agnello

(…) mi sono trovato bruscamente in presenza dell’Agnello di Dio, sgozzato per la salvezza del mondo. Ho visto Gesù senza bellezza (…)
Ritirarsi nel deserto non è altro per i cristiani che unirsi più profondamente alla Passione di Cristo e partecipare in modo singolare al suo mistero pasquale (…)
(…) calarsi giorno per giorno nella carne della solitudine, per conoscerla, per divenire solitudine, cioè capacità di Dio e presenza di Dio; senza di che il deserto diventa intollerabile (…)
(…) salite il monte e vedrete che l’eremo (…) si situa proprio nel cuore del mondo. In realtà non si tratta soltanto della montagna, del bosco, della clausura, bensì del deserto dell’Agnello, di quella difficile solitudine a cui Gesù stesso ha aderito per realizzare il suo ritorno al Padre, per entrare nella Festa e far entrare il mondo al suo seguito. (…)
Il deserto viene ad essere allora abitato interiormente dal dramma spirituale dell’uomo, dai volti dei non credenti e dei peccatori e dei santi.
(…) la monaca è la “donna spinta nel deserto” dell’Apocalisse (Ap 12,1), che porta nelle sue viscere il mondo dilaniato, il suo figlio deiforme che ella genererà al mondo di Dio, che ella trasfigurerà attraverso la propria solitudine, la propria sofferenza, la propria abiezione d’amore. (…)
La monaca è dunque questa donna che se ne è andata portando nel proprio ventre l’umanità e la creazione tutta (…)
È per loro, cioè al posto loro e in loro favore, che la monaca continua la lotta di Cristo (…)
È per loro che è un’esiliata, una straniera che giorno dopo giorno lascia il mondo e va al Padre portandoli nel proprio respiro e nella propria libertà, lei che non ha sguardi che per il cielo. (…)
Se ne va nel deserto per partorire al mondo di Dio, “fuori delle porte della città”, l’universo intero di cui, in Gesù Cristo, è diventata la regina, il sacerdote e la madre. [Louis Albert Lassus, I nomadi di Dio]

* la Consolazione

A questo punto una parola sorge spontanea: «consolazione».
Salire, attendere e rimanere «soli col Solo» deve farci capaci di «con-solazione». Perché nessuno sia solo…
Non è forse questa la vita di comunione nello Spirito che il Risorto ci dona come Paraclito, Consolatore?
L’impegno che ci diamo allora è quello di salire, di attendere, di rimanere col Solo. Di fare esperienza in Lui di solitudine e anche di abbandono. Di ospitare in noi la solitudine del mondo e, abitati dallo Spirito, coltivare in noi il germe di questa parola: consolazione. E davvero il mondo intero ai piedi del monte possa vedere il fuoco in noi, fuoco d’amore e di consolazione. Ognuno secondo il suo stato, la sua vocazione, il suo carisma… dal velo di una monaca al velo di due sposi… ognuno di noi deve essere questo fuoco divorante. E il nostro cuore nube e velo e tempio e grembo… Perché nessuno sia solo.

Dolcissimo Signore Gesù Cristo,
fratello nostro,
ci abbandoniamo a Te.

Facci entrare nel Tuo cuore
dentro la nube e sotto il velo
e divenire il tuo corpo, il tuo tempio.

Dacci la forza e la fede di restare, di attendere…
E scoprire quanto è feconda questa attesa.
Buio e silenzio
sono il buio e il silenzio di un grembo
che porta vita nuova.

Come una città non può restare nascosta
se costruita sopra un monte,
così vediamo che il tuo cuore è abitato
dal mondo intero.

Trasformaci nel fuoco vivo del Tuo amore:
e tutto il mondo veda
lo splendore della tua gloria.

Donaci la forza di restare,
crocifissi in Te,
sospesi tra la terra e il cielo,
e far nostro l’abbandono e il grido
di ogni uomo …

E abitando il buio ed il silenzio
del tuo cuore fatto grembo e velo e nube e tempio,
donaci di essere la Tua luce
fino al più oscuro e abbandonato cuore della terra.

Nel tuo cuore aperto nessuno è solo.
Consolatore, fratello,
Ostia infuocata. Amore.
Sia il nostro cuore nel tuo cuore.

× How can I help you?