In ascolto di Esodo

La Gloria, la Nube e il Fuoco divorante (prima parte)

In ascolto di Esodo [Es 24,12-18]. Pasqua 2021

a cura di Gianmartino Durighello e del Gruppo Esodo

A – 12-14: Il Signore disse a Mosè: “Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli”.
Mosè si mosse con Giosuè, suo aiutante, e Mosè salì sul monte di Dio.
Agli anziani aveva detto: “Restate qui ad aspettarci, fin quando torneremo da voi; ecco, avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro”.

B – 15-18: Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte.
La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni.
Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube.
La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna.
Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti.

* salire… rimanere… attendere… per istruirli

Riprendiamo alla luce della Pasqua il nostro cammino in ascolto di Esodo, la nostra… “salita” con Mosè sul monte dell’alleanza.
A un primo ascolto ci potrebbe sembrare di trovarci a ripetere, rivivere quanto già accaduto nella prima parte del capitolo: Dio chiama Mosè a salire e quindi Mosè sale sulla cima del monte.
In realtà notiamo subito delle importanti novità. Le due parti del capitolo si susseguono in una spirale di grande intensità portandoci nel cuore del racconto: dentro la nube, la gloria, il fuoco divorante.
Mosè salirà quindi, portando con sé però soltanto il fedele aiutante Giosuè. Gli anziani lo aspetteranno, facendo riferimento per ogni questione ad Aronne e a Cur. E il popolo – vero destinatario di quanto avviene in questo capitolo – dai piedi del monte vedrà la gloria del Signore apparire a lui come fuoco divorante.
Ma più che il “salire” notiamo qui quanto Mosè sia chiamato a “restare” e ad “attendere”. Il Signore dice a Mosè di “restare lassù” e solo dopo una attesa di 6 giorni finalmente Dio chiamerà Mosè. Mosè entrerà nella nube sulla cima del monte e vi resterà ancora per 40 giorni e 40 notti attendendo che Dio gli dia le tavole della legge. Dono che troveremo soltanto molto più avanti nella narrazione di Esodo, al capitolo 31.

Quando ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le 2 Tavole della Testimonianza, tavole di pietra scritte dal dito di Dio. [Es 31,18]

Ma prima, a partire dal prossimo capitolo, ascolteremo come Dio parlerà a Mosè dandogli le istruzioni sulla costruzione del Santuario e sui ministri del Santuario.

12 Il Signore disse a Mosè: “Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli”. 

* Sali verso di me e rimani lassù.

Sali e rimani! Letteralmente “stai lì”. All’invito a salire si aggiunge ora – come abbiamo visto – quello di “rimanere”, di “stare lì”.
Più volte abbiamo sentito il Signore che a Mosè e a noi dice di “salire” a Lui. Contempliamo ora l’importanza di questo “rimanere” e “attendere”.
Anche se ci potrà sembrare che Dio non ci sia, e non ci parli…

* Io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli.

Anche il racconto parallelo di Deuteronomio sottolinea questo “rimanere” di Mosè con Dio:

Ma tu resta qui con me e io ti detterò tutti i comandi, tutte le leggi e le norme che dovrai insegnare loro, perché le mettano in pratica nella terra che io sto per dare loro in possesso”. [Dt 5,31]

L’espressione “ti detterò” riportata nella lezione italiana del Deuteronomio è fuorviante. Sembrerebbe che Dio si limiti a dettare e che sia Mosè a scrivere. Il testo ebraico è difficile da rendere in italiano. Letteralmente si dovrebbe dire (ma è grammaticalmente scorretto): “parlerò a te tutti i comandi…”, non “detterò”. Sarà infatti – come abbiamo visto – il “dito di Dio” a incidere sulle tavole di pietra le 10 Parole (Es 31,18).
Ritornando al nostro versetto di Esodo, il testo ha dato dei problemi di traduzione per l’uso in ebraico della congiunzione “e” (=eb. waw). Letteralmente dovremmo tradurre: le tavole e la legge e i comandamenti. Cosa significa esattamente questa “e = waw”? È da tradurre come una congiunzione? Oppure con un esplicativo “cioè”? Le tavole cioè la legge…? La traduzione italiana della Cei sostituisce opportunamente la prima “e=waw” con una virgola. In una domanda: cosa scriverà di preciso Dio sulle due tavole di pietra? Solo le 10 parole o anche tutti i precetti?
Probabilmente il redattore finale cerca di fondere la tradizione delle tavole di pietra (Decalogo) con i nuovi insegnamenti (Codice dell’Alleanza).  Ma resta la domanda: cosa scriverà Dio nelle tavole dell’Alleanza?
Una risposta molto bella è quella che ci dà Rashi (1040-1105) dicendo che tutti i 613 precetti sono inclusi nelle 10 parole. Ancora Ramban (1194-1259) osserva che solo le 10 parole furono scritte nelle tavole e gli altri precetti, quali commenti, spiegazioni, applicazioni, furono trasmessi oralmente a Mosè.
L’insegnamento dei padri rabbini è chiaro e molto bello: le 10 parole, incise da Dio nelle tavole di pietra, contengono già, come in germe, ogni precetto o applicazione che sono donati per la vita del popolo, per… istruirli!

* per istruirli

Il destinatario di tutto questo racconto è infatti il popolo. Quel popolo che all’inizio di Esodo alzò il suo grido. E Dio sentì il grido del suo popolo…

Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. [Es 2,23-24]

Mosè non sale e non rimane sul monte con Dio per se stesso. Così nella nostra preghiera noi non saliamo, rimaniamo, attendiamo… solo per noi stessi. Nella nostra preghiera portiamo i volti dei nostri cari e della nostra comunità. Non solo: tutto il mondo portiamo con noi nella nostra preghiera.

Il destinatario dell’amore di Dio che si dona ora nelle parole scritte sulle tavole di pietra è tutto il popolo, il popolo di Jaweh. Il popolo che, dai piedi del monte, vedrà la gloria di Dio splendere come fuoco divorante.

13 Mosè si mosse con Giosuè, suo aiutante, e Mosè salì sul monte di Dio. 

Mosè questa volta chiama con sé solo Giosuè. Giosuè (in ebraico Jehoshuà, in greco Iesùs!) sarà colui che alla morte di Mosè condurrà il popolo nella Terra Promessa.
Nella prima parte del capitolo Giosuè non è citato, ma è probabile che egli fosse già nel gruppo che cominciò a salire al monte. Giosuè era infatti sempre con Mosè, quale suo fidato aiutante.

Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico. Poi questi tornava nell’accampamento, mentre il suo inserviente, il giovane Giosuè figlio di Nun, non si allontanava dall’interno della tenda. [Es 33,11]

* Giosuè, servo del servo di Jahweh

All’inizio del libro di Giosuè, egli viene presentato con una bellissima espressione:

Dopo la morte di Mosè, servo (=ebed) del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, aiutante (=mesharèt) di Mosè: “Mosè, mio servo, è morto. Ora, dunque, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo, verso la terra che io do loro, agli Israeliti. [Gs 1,1-2]

Di Mosè si dice che è “servo” di Jaweh. Il termine ebraico “ebed” indica propriamente il servo.
Di Giosuè si dice invece che è l’aiutante. L’ebraico “mesharèt” (impiegato sia nel libro di Giosuè che in Esodo) è più onorifico di “servo”. Indica appunto l’aiutante, l’ausiliare. È un termine impiegato anche nel contesto di funzioni liturgiche e regali.
Ricordiamo l’episodio della guerra contro Amalek. Israele è uscito dall’Egitto, ha passato il Mar Rosso, e nel suo cammino nel deserto dopo aver provato duramente la fame e la sete, trova un’altra grande prova: Amalek venne a combattere contro di lui (Es 17, 8).
Giosuè guiderà gli uomini armati nella valle, mentre Mosè sul colle starà in preghiera. E Aronne e Cur salgono con Mosè e lo sostengono nella sua preghiera fino al tramonto del sole.

Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: “Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio”. Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole.   [Es 17,8-12]

14 Agli anziani aveva detto: “Restate qui ad aspettarci, fin quando torneremo da voi; ecco, avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro”.

 Aronne e gli anziani non continuano a salire con Mosè. Inoltre, gli anziani faranno riferimento ad Aronne e a Cur.
Alcuni osservano una apparente contraddizione con l’istituzione dei giudici narrata al capitolo 18. Probabilmente questo passo testimonia l’acquisizione nel frattempo di un diverso importante ruolo di Aronne, sacerdote, rispetto ai Giudici.
Ma quello che ci sembra più importante e bello sottolineare è che proprio ad Aronne e Cur sia affidata ora la guida degli anziani e del popolo. Ad Aronne e a Cur che avevano fatto quella forte esperienza di preghiera con Mosè sul colle durante la guerra con gli amaleciti.
Mosè “sta” in preghiera.
E Aronne e Cur sostengono le sue mani.
Cosicché la preghiera ininterrottamente sale a Dio, fino al tramonto.

* Cur

Se conosciamo Aronne, sappiamo forse qualcosa in meno di Cur. Secondo Rashi, Cur sarebbe figlio di Myriam, sorella di Mosè e di Aronne, e di Caleb. Caleb, figlio di Iefunnè, è uno degli esploratori della Terra Promessa (Nm 14,6). Uno dei prediletti di Mosè, il solo assieme a Giosuè ad essere sopravvissuto e ad entrare nella Terra Promessa (Nm 14,39.38).

Di Cur la Bibbia ci dice che appartiene alla tribù di Giuda, e che è padre di Urì, padre di Besalèl, costruttore del tempio.

Il Signore parlò a Mosè e gli disse: “Vedi, ho chiamato per nome Besalèl, figlio di Urì, figlio di Cur, della tribù di Giuda. L’ho riempito dello spirito di Dio, perché abbia saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro, per ideare progetti da realizzare in oro, argento e bronzo, per intagliare le pietre da incastonare, per scolpire il legno ed eseguire ogni sorta di lavoro. Ed ecco, gli ho dato per compagno Ooliàb, figlio di Achisamàc, della tribù di Dan. Inoltre nel cuore di ogni artista ho infuso saggezza, perché possano eseguire quanto ti ho comandato:  la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza, il propiziatorio sopra di essa e tutti gli accessori della tenda; la tavola con i suoi accessori, il candelabro puro con i suoi accessori, l’altare dell’incenso e l’altare degli olocausti con tutti i suoi accessori, il bacino con il suo piedistallo; le vesti ornamentali, le vesti sacre del sacerdote Aronne e le vesti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio; l’olio dell’unzione e l’incenso aromatico per il santuario. Essi eseguiranno quanto ti ho ordinato”. [Es 31,1-11]

È importante questo riferimento al tempio perché – ricordiamo – nel prossimo capitolo, prima di scrivere le tavole della Legge (!), Dio darà a Mosè le istruzioni per la costruzione del tempio.

Per la nostra Preghiera

Sali… rimani… attendi… per istruirli.
La Parola che oggi ci è donata si offre quasi come una piccola scuola di preghiera. Ci aiuta a pregare.

All’invito “sali” si accompagna quindi quello di “rimanere”, di restare con il Signore e… “attendere”. E il sapere che non siamo lì solo per noi… Ci sono gli altri con noi, nel nostro cuore, nella nostra preghiera.

Ricordiamo un episodio narrato nella vita del curato d’Ars.

Un contadino ogni giorno, alla stessa ora, era solito entrare in chiesa (sali!) e sedersi nell’ultimo banco (rimani!). Era analfabeta e, non sapendo leggere, non aveva libri per la preghiera e non teneva tra le mani neppure la corona del rosario. Soltanto guardava fisso il Tabernacolo. Il curato d’Ars, incuriosito, dopo averlo osservato per giorni e giorni, gli chiese: “buon uomo… vi ho osservato, ho visto che ogni giorno venite qui, alla stessa ora e allo stesso posto. Vi sedete e rimanete lì. Ma ditemi: cosa fate?”. E il povero contadino rispose: “Niente, signor parroco… io guardo Lui e Lui guarda me”.

Io guardo Lui e Lui guarda me.
Anche se ci sembra di non aver niente da dirGli e anche se ci sembra che Lui non ci dica niente, questo è importante. E, come abbiamo contemplato nei precedenti nostri incontri… ci trasfigura!
Quello che possiamo portare agli altri, prima e più che le parole, è il nostro cuore e il nostro volto fatto luce, specchio della Sua luce.


L’icona di Aronne e Cur ci invita a sostenerci a vicenda e a sostenere le braccia di Mosè, di colui che è chiamato da Dio come nostra guida nel cammino dell’esodo. In una preghiera continua, fino al tramonto.

Contempliamo poi l’icona di Giosuè, «servo del servo» di Jaweh. Giosuè accompagna sempre Mosè, ma sarà colui che avrà anche il compito pratico, dell’azione, di lottare nella valle.

E ancora chi di noi ha ricevuto il carisma dell’artista, contempli l’icona di Besalèl, figlio di Cur, e consideri ancora il servizio al quale è chiamato.

E Mosè, lo contempleremo la prossima volta, entrerà nella nube. Dopo tanta attesa Dio lo chiama ed egli entrerà nel buio della nube.

Ci viene in mente la bussola che troviamo dopo la porta di entrata di una chiesa, prima di accedere alla navata. Anche se oggi spesso è illuminata e vi troviamo appesi avvisi e notizie varie, all’origine questo dovrebbe essere un passaggio buio. Come buio è il grembo di una vita che nasce.

Mosè entra quindi nella nube. Non dobbiamo temere di entrare nella nube, anche se questo significasse passare per il buio.

Contempliamo Gesù avvolto dalla nube nell’ora della croce…

Ogni volta che entriamo in chiesa, proviamo a porre mente a tutto questo, quando passiamo per la bussola buia. Entriamo nella nube…

Per noi e per tutto il popolo.

Signore,
donaci di salire a Te,
e di restare con Te:
noi guardiamo Te
e Tu guardi noi.
Questo ci basta,
e attendiamo.

Non importa se a volte
sembra quasi che Tu non ci sia
o che non ci parli.
Noi guardiamo Te e Tu guardi noi.

E mentre guardiamo Te,
ci sosteniamo a vicenda,
fino al tramonto,
come Aronne e Cur
sostenevano le braccia di Mosè.

Concedici anche Signore
di essere forti come Giosuè
nella valle del nostro esodo.

Insegnaci a divenire Tuoi servi,
servi del Servo di Jahwè,
pronti, quando ci chiami,
a seguire la Tua voce,
anche nel buio della Tua nube,
nel tramonto della Tua croce,
per la salvezza nostra
e di tutti i nostri fratelli,
così che il mondo veda la Tua luce,
il Tuo amore ardere come fuoco divorante,
colonna di fuoco
che splende nella notte.
Ed è Pasqua di luce.

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