In ascolto di Esodo

Essi videro Dio (prima parte)

In ascolto di Esodo [Es 24,6-8].

Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele.
Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro, limpido come il cielo.
Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero. (Es 24,9-11)

Ildegarda scorge la Trinità (visione)

* Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele
All’inizio del capitolo Dio aveva ordinato a Mosè:

Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e settanta anziani d’Israele (Es 24,1).

Ora, come a incorniciare e sigillare il racconto della conclusione dell’Alleanza, questo invito viene eseguito. Mosè sale quindi, con Aronne, Nadab, Abiu e i 70 anziani e avviene qualcosa di straordinario: essi… videro Dio!

Poi – dice il testo – mangiarono e bevvero. Abbiamo qui la seconda delle due tradizioni che confluiscono nel rito della celebrazione dell’Alleanza. Dopo l’olocausto con l’aspersione del sangue, ecco ora il banchetto sacrificale.

* Essi videro il Dio d’Israele
Due volte (al v.10 e al v.11) si sottolinea che essi «videro» Dio. L’ebraico usa nei due casi due verbi diversi: jire’û e jechezû che potremmo anche tradurre rispettivamente con “videro” e “contemplarono”. Questa seconda espressione verbale diventerà tipica della visione profetica.

La Bibbia greca dei LXX sembra voler attenuare (ma vedremo che non è così) la portata di questa visione traducendo il v.11 “furono visti nel luogo di Dio”, anziché “contemplarono Dio”.

La domanda che ci poniamo è: cosa videro realmente Mosè e i suoi compagni? Cosa significa che… videro Dio? E ancora: cosa significa secondo la Bibbia greca che essi furono visti nel luogo di Dio?

La tradizione ebraico-cristiana ha spesso interpretato questa visione non nel senso di una esperienza dei sensi, fisica, ma di una visione dell’intelletto, mistica. Come anche in altri luoghi della Bibbia, infatti, non troviamo una… descrizione dell’aspetto di Dio.

Isaia descrive il trono e i lembi del mantello che riempiono il tempio:

Io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. [Is 6,1]

Ezechiele invece parla anche di una figura dalla sembianze umane:

(…) apparve qualcosa come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane. (…) Così percepii in visione la gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava. [Ez 1,25-28]

La visione di Ezechiele di una figura dalle sembianze umane mi ha portato col pensiero alle prime due visioni e miniature del Liber divinarum operum di Ildegarda di Bingen (1098-1179).

Ildegarda e lo Spirito Creatore (visione)

Nella prima visione Ildegarda scorge la Trinità che si dona come una “bella e meravigliosa immagine” in forma umana. Perché? Innanzitutto perché Dio ha creato l’uomo… a sua immagine e somiglianza! In secondo luogo perché egli stesso per la nostra salvezza nella sua Carità si è fatto uomo nel Verbo suo Figlio. L’immagine dello Spirito creatore appare quindi in una mirabile immagine in forma umana (…). Sopra il suo capo una testa canuta, il Padre. Portato sulle mani dallo Spirito, quasi fulcro e chiave di volta al centro della figura, il Figlio, fattosi piccolo e Agnello.

La seconda visione è straordinaria: lo Spirito creatore allarga le braccia e mostra nel suo petto (ove era, anzi ove «è» l’Agnello!) un sistema di cerchi concentrici di sette cieli al cui centro, come pupilla dell’occhio, sta la terra e il microcosmos uomo. L’Agnello non scompare nella seconda visione: l’uomo e il creato sono, in Cristo, il corpo dell’Agnello.

Ritorniamo ora alla traduzione greca dei LXX, che a una prima lettura sembrava voler diminuire la portata di questa visione: furono visti nel luogo di Dio. L’espressione può essere meglio compresa nel contesto del pensiero come si è sviluppato nella tradizione greco-ortodossa e in particolare nella teologia apofatica (o negativa).

Proviamo a considerarne alcuni aspetti:

* Essi furono visti nel luogo di Dio
1. il “totalmente Altro”. “Noi possiamo raggiungere Dio non in ciò che egli è, ma in ciò che egli non è”. (Clemente Alessandrino). L’uomo non può limitare Dio con definizioni umane.

2. la grazia e la deificazione. Ci soccorre allora il dono dell’Incarnazione e la grazia del Battesimo nella Pasqua del Figlio, che ristabilisce la nostra originaria “identità con la luce celeste del nostro archetipo incorruttibile” (Macario l’Egiziano). La visione allora è possibile non in forza delle facoltà umane, ma perché “il Dio personale, e proprio perché personale, Creatore dell’uomo a sua immagine, non assorbe e non sminuisce l’anima, ma la deifica con la sua presenza” (P. Evdokimov).

3. il luogo di Dio. Non è quindi l’uomo che sale a Dio con le proprie forze (torre di Babele), ma è Dio che scende all’uomo con la sua grazia e lo chiama a partecipare alla sua vita divina. L’uomo così, elevato a questa beatitudine, diventa irradiato di quella luce e tutti in lui possono riconoscere (Pentecoste) il «luogo di Dio».

L’intelletto associato al cuore e reso alla sua nudità preconcettuale supera la ragione discorsiva, abbandona le armonie di giudizio (metodo scolastico) e postula l’elevazione a livelli sempre più profondi del suo essere, fino a divenire «luogo di Dio». Ogni acquisizione non è tanto l’atto dell’intelligenza che afferra l’oggetto, quanto l’atto di Dio che afferra l’intelligenza e la rende deiforme… [P. Evdokimov]

Noi quindi non possiamo da soli salire alla visione di Dio, né cercare di definire Dio. Ma Dio che ci ha creato a sua immagine è presente in ognuno di noi. La grazia del Battesimo ci permette allora di scendere nel profondo del nostro essere, nel… luogo di Dio. Salire sul monte, scendere nel nostro cuore… è un po’ quello che accadrà agli apostoli nella Trasfigurazione. è Gesù che si trasfigura o sono loro che – inabitati dalla grazia – hanno vissuto un’esperienza di purificazione tale da essere loro trasformati e capaci di vedere ciò che hanno visto?

La Bibbia greca dei LXX traducendo “furono visti nel luogo di Dio” non intendeva quindi sminuire la portata della visione, ma cercare invece di coglierne le dinamiche più profonde, l’itinerario negativo-discendente che porta Dio nel cuore dell’uomo e l’uomo nel cuore di Dio, fino a scoprirci raccolti in unità nel corpo dell’Agnello.

Ritorniamo a Mosè, Aronne, Nadab, Abiu e i 70 anziani. La Bibbia ci dice quindi che essi “videro Dio”! Ci rimane la domanda: cosa hanno visto? in cosa consiste la loro visione? E non riusciamo a definirlo in termini umani, fisici, sensoriali. Rispetto alle visione dei profeti il racconto di Esodo è estremamente sintetico, essenziale. Solo si dice che “sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro, limpido come il cielo” (e cercheremo più avanti di contemplare questo aspetto). Pero ora ascoltiamo questa parola scarna ed essenziale: essi… videro Dio!

Quello che già ora ci è chiaro è questa partecipazione di luce, questa chiamata alla comunione, all’alleanza, berît, che abbiamo già contemplato come «partecipazione di vita». Non cosa vediamo, ma come questa partecipazione ci trasfigura! Di come irradia di luce il nostro volto, così che tutti possano vedere in noi… il luogo di Dio!

Per ora noi ci fermiamo qui, come il popolo, ai piedi del monte. Guardando da lontano, come le donne e i discepoli che avevano seguito Gesù fin sul Calvario. Gesù!

Gesù! immagine e irradiazione della gloria del Padre,
chi vede te vede il Padre.
E noi vediamo te, carne della nostra carne,
sangue del nostro sangue…
Oh, mio Dio!
Ci hai creati a tua immagine e somiglianza,
e noi abbiamo tradito e deturpato
questa tua immagine santa.
Donaci, Signore, un cuore puro.
Donaci di accogliere il tuo Figlio,
e il soffio del tuo Spirito.
Gesù! Raccoglici nell’unità del tuo corpo immolato,
rinnova con il soffio del tuo Spirito
il nostro cuore, secondo il tuo cuore,
così che diveniamo in te
corpo dell’Agnello,
immagine redenta nella carità,
«luogo di Dio».

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