In ascolto di Esodo

Mosè incaricò alcuni giovani…

In ascolto di Esodo [Es 24,5]. Mosè incaricò alcuni giovani…

5 (Mosè) incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.
6Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare.
7Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto”.
8Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!”.

Dopo aver «riferito» e «scritto» tutte le Parole di Jhwh, e dopo che il popolo si è impegnato all’unanimità ad ascoltarle e a metterle in pratica, Mosè innalza quindi un altare ai piedi del monte. Ora su questo altare si celebra il rituale dell’alleanza: mistero di comunione tra Dio e il suo popolo.

Ci soffermiamo oggi sul versetto 5: Mosè incarica alcuni giovani ad offrire olocausti e sacrifici di comunione.


* Alcuni giovani figli d’Israele
Secondo la tradizione rabbinica si tratta dei «primogeniti». Ogni primogenito sia degli uomini, sia del bestiame, come anche ogni primizia dei frutti del suolo, è consacrato a Dio.

Mio è ogni primogenito fra gli Israeliti, sia degli uomini sia del bestiame: io me li sono consacrati il giorno in cui percossi tutti i primogeniti in terra d’Egitto. [Nm 8,17]

I primogeniti ebbero anche la funzione di offrire sacrifici prima della istituzione levitica, secondo la tradizione fino al fatto idolatrico del vitello d’oro.

Ho scelto i leviti al posto di ogni primogenito fra gli Israeliti. [Nm 8,18]

I primogeniti quindi offrono (lett. fanno salire) ‘olot (olocausti) e sacrificano dei torelli in sacrificio di comunione, zevachìm shelamìm (lett. sacrifici di pace).

* Sacrifici di comunione, di pace
Zevachìm shelamìm significa propriamente “sacrifici di pace, pacifici”. La Vulgata traduce victimas pacificas. La Bibbia greca dei LXX va ancora oltre leggendo sacrifici di salvezza (soterìou), espressione che sottolinea un carattere eucaristico, di ringraziamento.

Ancora una volta le diverse sfumature che ci donano le varie tradizioni anziché contraddirsi si arricchiscono. Shalôm, che noi traduciamo con “pace” è una dimensione che va ben oltre la pace intesa come assenza di conflitti, di guerra, di divisione. Shalôm significa invece pace in senso positivo, dinamico, come presenza attiva e costruttiva di armonia e comunione. Gesù stesso chiama beati gli operatori di pace (Mt 5,9).

Shalôm o «pace» è la più alta aspirazione dell’ebraismo per il mondo in cui viviamo. è un valore posto al di sopra di tutti gli altri. L’insegnamento rabbinico lo descrive come il solo «canale» attraverso il quale la benedizione divina può scorrere in questo mondo.
(…) Il contrario di shalôm, nell’ebraico classico, solitamente non è milchamàh (=guerra), ma machlòket, che significa divisione o contrasto. [A. Green, Queste sono le parole]

Nella Liturgia del Natale cantiamo a Dio che si fa uomo acclamandolo Rex Pacificus, Principe della Pace. Il sacrificio di pace o di comunione è mosso allora dal profondo anelito ad accogliere il dono questa pace, a  partecipare dell’armonia divina, così che cielo e terra siano abbracciati in questa comunione: gloria in cielo e pace in terra.
Ecco come il libro del Levitico prescrive lo svolgersi degli Zevachìm shelamìm. La funzione sacerdotale è affidata ai “figli di Aronne”:

Nel caso che la sua offerta sia un sacrificio di comunione, se offre un capo di bestiame grosso, maschio o femmina, lo presenterà senza difetto davanti al Signore, poserà la sua mano sulla testa della vittima e la scannerà all’ingresso della tenda del convegno, e i figli di Aronne, i sacerdoti, spargeranno il sangue attorno all’altare.  Di questo sacrificio di comunione offrirà, come sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore, sia il grasso che avvolge le viscere sia tutto quello che vi è sopra, i due reni con il loro grasso e il grasso attorno ai lombi e al lobo del fegato, che distaccherà insieme ai reni.  I figli di Aronne faranno bruciare tutto questo sull’altare, in aggiunta all’olocausto, posto sulla legna che è sul fuoco: è un sacrificio consumato dal fuoco, profumo gradito in onore del Signore. (…)
Ogni parte grassa appartiene al Signore.  È una prescrizione rituale perenne di generazione in generazione, dovunque abiterete: non dovrete mangiare né grasso né sangue”. [Lv 3,1-17]

* Sacrifici di comunione e Alleanza
Alleanza in ebraico è berît, una parola di grande portata simbolica.  Berît inizia con la lettera Beth ( ב) che, dopo la Alef che non è un vero suono, ma un respiro, è di fatto la prima lettera dell’alfabeto ebraico. E l’ultima lettera di Berît è l’ultima lettera dell’alfabeto (la Tau – ת). Tra Beth e Tau la parola Berît abbraccia idealmente tutte le lettere, tutte le parole: tutte le Parole che il Signore ha dato!

Guardiamo ora le prime due lettere: BR, Beth e Resh (ricordiamo che l’alfabeto ebraico è composto di consonanti; le vocali saranno aggiunte in epoca molto tarda, tra il VI-VII sec dopo Cristo, per fissare la tradizione della lettura del testo biblico). Queste due lettere ci richiamano immediatamente altre parole, tutte legate al mistero dell’origine, della creazione:

* BeReshit, In principio. Prima parola della Bibbia e della Creazione;
* BaRah, creare;
* BeRakah, benedizione;
oltre che:
DaBaR, Parola.

Entrambi queste lettere hanno un valore numerico legato al “2”. La Beth indica il “2” e la Resh il “200”. Il valore binario portato al livello delle centinaia.
Ma soprattutto queste due lettere da sole significano «Figlio» (Bôr). Il Figlio, 2a persona della Trinità. Berît è quindi Beth e Resh (Figlio) incontro alla Tau (la croce): un «Figlio» verso la croce. Senza fare della cabala e senza cadere in giochetti aridi e fini a se stessi, vogliamo invece contemplare come nella parola ebraica Berît ci sia tutto il dono stupendo del Creatore per la sua creatura. L’Uno si apre al due. Il Creatore si apre alla creazione nella benedizione. E si offre Parola. Nelle tavole del Sinai e in pienezza sulla tavola della croce. Si offre Figlio, Parola vivente.

Davìd Drach (1791-1865), divenuto Paul-Louis-Bernard Drach dopo la conversione al Cristianesimo e il Battesimo, all’inizio del suo trattato Dell’armonia tra la chiesa e la sinagoga, si chiede proprio: cosa/chi c’è al principio? E osserva che nel primo versetto della Bibbia (Bereshît) c’è… il Figlio (Br). è quello che l’apostolo Giovanni nel suo Vangelo svelerà, come un midrash del libro di Genesi: In principio era il Verbo (Gv 1,1).

* Gesù, primogenito del Padre
Mosè, quindi, incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti per offrire olocausti e sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione.  Vogliamo fermarci e contemplare Gesù, il Verbo. Gesù che sale come primogenito del Padre e insieme come vittima del sacrificio sulla croce, altare di una nuova alleanza: Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione [Col 1,15].
Contemplare Gesù, primogenito del Padre, che sale sull’altare-croce, significa anche guardare a noi che lo seguiamo “giovani del nuovo Israele” su questo altare. Egli infatti è “primogenito… tra molti fratelli”, primogenito dei figli di una nuova creazione, capo di un corpo e tempio di pietre vive che siamo noi.

Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli [Rm 8,29]. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. [Col 1,18]

E’ Pentecoste, quando i primogeniti incaricati da Mosè salgono all’altare che egli aveva innalzato ai piedi del monte. è ora la nostra Pentecoste! nella quale ci riconosciamo frutto di quel seme che è la nostra primizia, Gesù, primogenito di molti fratelli. Noi siamo il suo frutto, la sua primizia, il suo corpo, i suoi fratelli… Abitati dal suo Spirito siamo chiamati a seguirlo sull’altare per un sacrifico di Shalôm, di Pace.

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