Eugenio Costa
Le problematiche su come utilizzare nella preghiera cantata i Salmi, come salmodiare, come cantillare è stata affrontata in modo chiaro ed efficace da padre Eugenio Costa (sj). In un ampio contributo per la rivista “Musica e Assemblea” pubblicato a stralci in più fascicoli dal 1980 al 1981, prende in considerazione tutte le complessità afferenti. Vista la chiarezza e completezza dell’esposizione, abbiamo ritenuto di riproporre questo studio anche per aiutare i salmisti e chi è solito pregare con i salmi, magari suscitando la curiosità e la volontà di iniziare a farlo per chi non ne ha la consuetudine.
All’epoca “Musica e Assemblea” era edito dall’Editrice Queriniana di Brescia.
Per chi ha la fortuna di essere in possesso dei primi numeri della rivista di liturgia e musica, potrà ritrovare il contributo che ripresentiamo nei fascicoli n.35/1980 (da pagina 23 a pagina 27), n.36/1980 (da pagina 23 a pagina 28), n.37/1981 (da pagina 25 a pagina 28), n.38/1981 (da pagina 24 a pagina 26).
La prima parte del contributo pubblicata nel fascicolo n.35/1980 è a firma di Giuseppe Sobrero e Eugenio Costa.
Le cose belle non possono rimanere nascoste – spesso dimenticate – nelle biblioteche, nelle librerie di casa o nelle soffitte.
La Redazione.
Pregare con i salmi è davvero un problema tecnico? La domanda nasce spontanea, quando ci accade di trovare questo argomento in una rubrica di Musica e Assemblea (MeA) che – come dice il suo titolo e come finora è sempre avvenuto – è destinata a chiarire e far superare le difficolta di ordine prettamente tecnico, che l’animatore musicale incontra nel suo servizio liturgico. Non è forse, al contrario, una questione di spirito, di fede, di familiarità con la preghiera biblica?
Nessuno dubita che lo spirito di fede e l’assimilazione del modo di pregare dell’Antico Testamento siano premesse fondamentali per usare bene i salmi (vedi, a questo proposito MeA 22-23, pp. 8-9 dell’inserto speciale). Ma l’esperienza di chi pratica questo tipo di preghiera fa toccare con mano che la forma dei salmi è tutta particolare e che la loro realizzazione in preghiera passa per vie non a tutti conosciute.
Intendiamo parlare del testo dei salmi propriamente detto. Non ci riferiamo, perciò, agli innumerevoli casi di adattamento, che vanno da ritocchi a certa terminologia un po’ ostica, fino al rimaneggiamento completo della loro struttura e di altre loro caratteristiche. Trasporre i salmi in un linguaggio più moderno, metterli in strofe di tipo letterario, eventualmente in versi regolari o addirittura rimati: tutte queste operazioni sono (a certe condizioni) legittime e pastoralmente efficaci.
La tradizione di molte Chiese, orientali e occidentali, antiche e moderne, lo dimostra.
Ma non riusciamo a entrare veramente a fondo nel mondo dei salmi, se non passiamo attraverso la loro caratteristica struttura e le loro peculiari espressioni, cosi come ce le propongono le traduzioni accurate. Nella odierna Liturgia delle Ore troviamo questo tipo di testo. Altre traduzioni (ad esempio il ben noto «Salterio Corale» della LDC[1]) hanno seguito questa stessa fedeltà.
Ci troviamo allora di fronte a poemi di tipo del tutto particolare, che descriviamo riproducendo un testo già riportato in MeA 22-23, p. 16 dell’Inserto speciale:
- “I salmi sono poesie. Hanno un movimento, un ritmo, delle assonanze, delle ripetizioni di parole. Il parallelismo dei membri del versetto è una struttura prosodica, ma insieme una struttura di pensiero – e l’una rafforza l’altra. La successione e il ritorno periodico degli accenti nel verso producono nello stesso tempo un effetto ritmico di senso, che valorizzano le parole essenziali”.
- “Il versetto è l’unità di base della poesia dei salmi. È composto di due – talora tre membri paralleli, “stichi». Se sono due, avremo un dìstico; se tre, un trìstico”.
- “In certi salmi si possono individuare delle strofe partendo da vari aspetti del testo: acròstico alfabetico, ritornelli, parole ricorrenti, simmetrie di struttura e di senso, ecc. Ma, in un numero relativamente alto di casi, la loro esigenza e la loro suddivisione rimane frutto di congetture”.
Come far proprio un salmo? Come trattarlo in modo che diventi veramente la nostra preghiera, di uno e di tutti? Come entrare nel salmo in modo da lasciarsi prendere da lui, fino a «diventare (noi) salmo», ossia
lode, meraviglia, memoria, ringraziamento, supplica, lamento, profezia…? Citiamo ancora una volta da MeA 22-23, p. 16:
- “Salmodiare è dire il salmo seguendo il modello di una formula melodica (il «tono» salmodico) che aderisca alla struttura del salmo (diviso in stichi, versetti e strofe)”.
- “La preghiera dei salmi è un’azione orale. La parola è una manducazione.
Le parole bibliche devono nascere da un respiro profondo, lasciarsi plasmare dai muscoli della bocca, fiorire in suoni, consonanti e vocali” (citazioni da Le Psautier, version oecuménique – texte liturgique, ed. du Cerf, Paris 1977, pp. 355 e 361).
Per entrare in questo modo di vivere i salmi, oggi, allo stato attuale della nostra cultura, disponiamo fondamentalmente di tre tecniche orali:
- la recitazione,
- la cantillazione (o recitativo),
- il canto.
Salmodia Recitata
1. (Recitare un salmo)

Recitare un salmo sembra, a prima vista, la scelta più ovvia. La più facile, perché tutti sanno leggere. La più semplice, perché non richiede, apparentemente, alcuna preparazione né alcun impegno musicale (canto e strumenti). Per questo, nella massima parte dei casi, la recitazione è la soluzione preferita: è normale leggere il salmo; è invece difficile, complicato, accessibile solo ai musicisti, cantare il salmo, in un modo o in un altro – almeno, così si ritiene.
Due osservazioni. La prima: recitare insieme, collettivamente, un testo, è tutt’altro che naturale. Tutt’altro che semplice. Nell’ipotesi, evidentemente, che questa recitazione cerchi di essere un vero atto di preghiera in comune, e non il semplice assolvimento di un dovere o il compimento di un rituale accademico. MeA ha dedicato tutto un dossier a «la parola collettiva dell’assemblea» (n. 33, pp. 8-15). Ne riprenderemo alcuni contributi più sotto. Per ora, ribadiamo semplicemente che il recitare insieme è troppo spesso un accavallarsi confuso di voci, che vanno ciascuna per la propria strada, senza un andamento comune significativo. L’inconveniente non è tanto estetico (un’indecorosa cacofonia), quanto spirituale e celebrativo: l’assemblea riceve di sé un’immagine disarticolata, trascurata e dispersiva; il singolo compie un atto, certo sincero, ma ridotto a gesto informe, per di più con il fastidio di altre voci che non si accordano con la sua. La parola collettiva è anche una tecnica da apprendere alle nostre assemblee.
Seconda osservazione: il parlare insieme un salmo, quando è ben fatto, costituisce un certo tipo di azione, di gesto, di preghiera, che normalmente acquista un certo significato. Quale? L’assenza di suono e di canto significa, in genere, un atteggiamento sobrio, feriale, dimesso, scarso di emozioni, ma interiore. Recitare insieme un testo di preghiera è segno inoltre di una comunanza di intenti: il testo viene condiviso. Ascoltare insieme un salmo recitato da uno solo manifesta un atteggiamento di accoglienza meditativa. Questi sensi e significati (e altri eventuali) si distinguono nettamente da quelli che l’uso di note, suoni e intervalli (cantillazione, canto) provocano, in genere, in chi li usa: si vedrà nelle prossime puntate quali siano più precisamente.
Da queste due osservazioni concludiamo che la scelta del recitato, piuttosto che di altri modi di pregare i salmi, dovrebbe non limitarsi più a una pura questione pratica: nessuno dei presenti sa cantare, dunque recitiamo! Dovrebbe invece – almeno quando è possibile – diventare una scelta di senso, di significato. Nella Liturgia delle Ore, ad esempio, possono esservi diversi motivi per recitare un salmo:
– il tipo di celebrazione: durante la settimana, di giorno feriale, nel tempo «ordinario»; o, all’interno di una celebrazione, può darsi la convenienza di alternare salmi recitati e altri cantati;
– il tipo di assemblea; ristretta, o formata da persone poco abituate al canto, o stanche (alla fine di una giornata di lavoro);
– il genere del salmo: meditativo, sapienziale; oppure costruito secondo strutture troppo irregolari per poter essere cantillato senza una cura particolare; al limite, anche un salmo innico o acclamatorio, se ci sono buone ragioni per recitarlo;
– altre circostanze: ad esempio veglia attorno a un defunto, o preghiera con un malato, o semplicemente l’esigenza di rispettare la quiete altrui (vicini di casa o di appartamento…).
2. (Due esempi)
Due esempi, che riguardano il sal 109 (Vespri delle 4 domeniche ordinarie) e il sal 113 B (Vespri delle domeniche ordinarie II e IV). La scelta di questi due salmi non significa tuttavia che essi vadano sempre recitati. Li si può anche cantillare o cantare. Così pure, vi sono altri salmi che possono essere, come questi due, recitati.
sal 109
Oltre ai motivi di altro genere, sopra elencati, è chiaro che questo salmo, presente ai Vespri di tutte le domeniche ordinarie e di altre feste, offre una struttura irregolare: strofe a 2, 3, 4 versetti. Anche se il suo carattere di oracolo profetico richiederebbe forse il recitativo cantillato, conviene spesso recitarlo. Lo si può fare secondo modi diversi di attribuzione dei ruoli:
- in modo diretto
solistico: una voce sola, mentre tutti ascoltano. Leggere, mettendo bene in rilievo i blocchi delle singole strofe. Ascolto meditativo; - in modo responsoriale
una voce dice il testo, tutti dicono l’antifona del giorno: all’inizio e alla fine; oppure all’inizio, dopo la terza strofa, dopo la quinta, e dopo il Gloria. Oppure: tutti ripetono l’ultima frase, al termine di strofe a senso compiuto dette da una voce. In pratica: «finché io ponga i tuoi nemici…», «…dal seno dell’aurora…», «…tu sei sacerdote…», «…lungo il cammino…». Partecipazione più diretta e intensa; - in modo alternato
alternare le strofe fra uno solo e tutti, oppure fra due gruppi. Si alterna così l’ascolto con l’appropriazione più personale del testo. Ascoltarsi reciprocamente. Andamento più contemplativo; oppure leggera drammatizzazione.
sal 113B
I tre modi ora esposti valgono anche in questo caso. Fare attenzione alla diversa lunghezza delle strofe (a 2, 3, 4 versi). Oltre a questa, ci sembra utile citare la proposta che L. Della Torre ha fatto nell’inserto «Salmi da celebrare», legato al n. 100 (1980/4) di Rivista di Pastorale Liturgica (ed.Queriniana). Segnaliamo, a proposito, tutto questo stesso n. 100, dedicato al tema «Senso e pratica dei salmi».
La proposta organizza la recita del sal 113B secondo un’alternanza fra guida (della celebrazione), assemblea e lettore (ruolo più specifico). È interessante, perché mette in rilievo non tanto le singole strofe, quanto il susseguirsi di diversi atteggiamenti, stati d’animo, generi letterari: supplica, professione di fede, polemica anti-idolatrica, acclamazioni, benedizione. La preghiera si arricchisce così di nuovi aspetti e penetra più a fondo nel significato del testo salmico. Data la lunghezza del testo, preghiamo i nostri lettori di riportarsi direttamente a quella pubblicazione (richiederla alla nostra editrice).
3. (Per una buona tecnica)

Per una buona tecnica del parlare collettivo, ricordiamo alcuni punti imporranti, già segnalati in MeA 33, pp. 8 ss.
- Il testo dev’essere ben conosciuto. Anzi, assimilate nei suoi contenuti (vedi la necessaria catechesi) e nelle sue strutture. È praticamente indispensabile fare qualche prova: per rompere la routine, ridare senso ai diversi tipi di parole, riscoprire le strutture dei salmi anche più noti, introdurre eventualmente alternanze o altri modi esecutivi. Uscire, cioè, dagli automatismi acquisiti e in genere deteriori. Apprendere una recitazione in comune che sia significativa.
- Le tecniche base, che un buon lettore o cantore conosce bene, sono fondamentalmente le stesse per chi, in gruppo, si esprime con una recitazione parlata: buona respirazione, attenzione al volume di voce, articolazione chiara, senso della punteggiatura, abitudine al fraseggio, conoscenza delle parole-chiave e dei punti più espressivi del discorso, dosaggio delle pause, ritmo e tono modellati sui generi letterari e le situazioni celebrative.
- Queste situazioni celebrative possono essere ricondotte a cinque principali: proclamazione – meditazione – acclamazione – inno – supplica. Per compiere un gesto autentico di preghiera recitata, occorre realizzare questi cinque atteggiamenti fondamentali in maniera corrispondente: una parola calma e solenne – un’assimilazione ritmata – un’affermazione compatta e robusta – un dire chiaro e vigoroso – un’espressione interiore, lenta e cadenzata. Nei salmi, spesso è possibile individuare uno o più atteggiamenti prevalenti, che si inseriscono nello spirito della celebrazione del giorno: ad esempio il sal 62 (meditazione-supplica) e il cantico di Daniele (acclamazione) per la festa domenicale
- Sostegno interessante per la recitazione del salmo (con accentuazione dei suoi valori ritmici o del suo particolare colore espressivo) possono essere inoltre:
- varie forme di scansione ritmica (legata alla parola e al senso della frase), ottenute con percussioni leggere (tamburello, legnetti, triangolo, ecc.): sono utili per precisare e sottolineare attacchi e stacchi, in modo analogo alle antiche intonazioni, flexe e cadenze;
- vari tipi di fondo sonoro, che dànno rilievo e colore al salmodiare: organo, strumenti a lamine (vibrafono, xilofono, ecc.), chitarra, cetra, ecc. Devono ovviamente adottare un impasto armonico e un movimento melodico particolari, del tutto lontani da quelli abituali, troppo attraenti per l’orecchio e perciò distraenti.
4. (Altri salmi)
Anche altri salmi (delle 4 domeniche ordinarie) possono essere, con aderenza al loro genere spirituale e letterario, utilmente recitati. Citiamo fra questi (ma ricordiamo quanto detto sopra, 2):
- il sal 62 (Lodi, I/III settimana): meditazione-supplica. Forma diretta o alternata;
- il sal 111 (Vespri, IV settimana): sapienziale. Forma, di preferenza, alternata;
- il sal 113A (Vespri, I settimana): inno. Forma diretta o alternata;
- il sal 117 (Lodi, II/IV settimana): acclamazione-inno. Forma responsoriale (vari modi di inserzione del ritornello dei primi versetti, oppure di un’antifona).[2]
Salmodia cantillata
Dalla salmodia recitata (cf MeA 35, pp. 24-27) alla salmodia cantillata: cambia la tecnica orale, cambia in parte anche il significato. Quale ne sarà l’influsso sull’atto di preghiera? È quanto intendiamo chiarire in questa seconda puntata su «salmi e salmodie».
Ricordiamo brevemente il progetto di questa nuova serie di «Tecniche per la pratica». Siamo partiti dalla constatazione del carattere del tutto particolare del testo dei salmi, e perciò delle difficolta che si incontrano per realizzarlo adeguatamente nell’atto della preghiera (MeA 35, p. 23). I salmi – dicevamo – hanno una loro caratteristica struttura poetica, che richiede attenzione, intelligenza, forme espressive consone e gesti orali in grado di farle risaltate. Disponiamo attualmente di tre modi di pregare i salmi: recitarli, cantillarli, cantarli.
Gli esempi vengono sempre presi, per maggiore praticità, dai salmi di LODI e VESPRI delle quattro domeniche ordinarie, tenendo presenti anche le varie maniere di distribuire i ruoli nell’atto del salmodiare: salmodia diretta, responsoriale, alternata.
Cantillare è cantare?

Dopo aver illustrate la recita dei salmi, passiamo questa volta a descrivere il secondo modo di pregarli: la cantillazione. È una parola che suona strana: in effetti è un vocabolo tecnico, poco usato nel linguaggio corrente. Ma è interessante utilizzarlo, perché ci permette di identificare meglio questo particolare modo di dire il testo dei salmi. Cantillare non è recitare, e non è neppure cantare:
- non è recitare, perché l’intonazione della voce non è più quella oscillante e personale del parlato, ma si fissa su una o poche note, alle quali tutti si adeguano;
- e non è neppure cantare, perché lo svolgersi del testo sulle note fondamentali della salmodia non segue un ritmo regolare e precostituito: si segue invece il ritmo stesso del testo, come nel parlato. E anche per un altro motivo: la stessa semplicissima formula melodica rimane invariata (a versetti o a strofe) per la durata dell’intero salmo, invece di svilupparsi musicalmente.
In conclusione, “cantillare” è molto vicino a quello che, nel parlare comune, si chiama appunto “salmodiare”, termine però poco preciso. Vedremo più sotto qualche avvertenza tecnica per una buona cantillazione. Ma fin d’ora ci preme sottolineare un punto importante; mentre chiunque è in grado di afferrare immediatamente la differenza fra il parlato (recitato) e il cantillato, è meno facile cogliere la diversità fra il cantillato e il cantato, perché il cantillare è un fatto, da noi, poco corrente. Nella pratica dei salmi spesso la salmodia si trasforma in cantata, degradandosi. Gli inconvenienti non sono pochi: primo fra tutti l’appesantimento della locuzione, sicché il testo del salmo non risalta, non rimane più in primo piano; viene invece coperto da una specie di monodia uniforme e monotona. Mentre si tratterebbe, al contrario, di mantenere una dizione molto scorrevole e un’articolazione che rispetti i versetti o le strofe. Un problema analogo lo si incontra nel recitativo cantato delle preghiere.
Cantillazione: una tecnica da apprendere
Cantillare (o salmodiare) un salmo: che tipo di gesto è? Quale può essere il suo significato?
Il testo rimane in primo piano, vi è, cioè, più parola che musica.
Tuttavia la formula salmodica, con le sue note fisse e ricorrenti, riduce di non poco certi aspetti dell’espressività: le variazioni di tono e di colore, l’appoggio incisivo, l’esclamazione, la sfumatura patetica. Salmodiare un testo, invece di recitarlo, vuol dire, perciò, far passare la parola su un piano diverso: più rispettoso o riverente, più “religioso” se vogliamo. Ma anche, nello stesso tempo, si compie così un primo passo in direzione del canto, del cantato: vuol dire perciò maggiore affettività, maggiore eufonia e gradevolezza, maggiore unanimità (quando si salmodia insieme), maggiore coinvolgimento personale (è necessario un respiro più pieno e controllato).
Dunque, la parola cantillata è più sentita, più profonda, più assimilata, e insieme più contemplativa e distesa, senza fretta e senza variazioni di volume sonoro. Questi sembrano, in definitiva, i valori in gioco, e insieme le ragioni di qualche difficoltà a praticare bene e agevolmente la salmodia.
Per molti, è più “facile” recitare che cantillare un salmo.
Un primo motivo è senza dubbio l’uso, ancora frequente, di formule salmodiche inutilmente complicate, specie all’inizio e al termine dei versi. Quando e così, la salmodia crea un’impressione di difficolta, di complicazione, per lo sforzo costante di far collimare le sillabe e gli accenti con gli ‘incipit’ e le cadenze previste. Invece che optare semplicemente per il recitato, è meglio eliminare piuttosto questa difficolta con una adeguata scelta di “toni” più semplici e lineari.
Un secondo motivo, per alcuni che si considerano “stonati”, è la difficolta di cogliere esattamente le note del tono salmodico, in modo da rimanere all’unisono con gli altri. È possibile attenuarla, anzi superarla del tutto, mediante uno sforzo costante di attenzione, di ascolto degli altri, di emissione vocale controllata e infine di pratica prolungata. Occorrerà poi, in concreto, scegliere delle tonalità di salmodia che stiano nel registro vocale medio, e non vadano nell’acuto (il che aumenterebbe la difficolta).
Un altro motivo ancora potrebbe essere una ritrosia a quel tanto di emozionale che si verifica anche in un uso così ridotto delle note cantate, come pure una velata pigrizia (oppure stanchezza) di fronte al fiato, al respiro, alla generosità di soffio che la salmodia (tanto più poi il canto vero e proprio) esige da chi prega in questo modo. Bisogna riconoscere che il salmodiare mette in atto una partecipazione più intera, più corporea, non a fior di labbra. Bisogna anche dire, pero, che si dovrebbe sempre salmodiare a mezza voce, senza forzare il volume, in maniera interiore e composta, senza gridare. Certo, il cantillare i salmi non è cosa di tutto riposo; ma è anche un modo estremamente efficace di entrare nel salmo, perché il salmo entri dentro di noi.
In quali situazioni?
A quali situazioni è adatta, nella pratica, la cantillazione?
- Anzitutto ai salmi di struttura assai regolare, sia quando sono articolati per versetti (due, talora tre versi), sia quando è possibile individuare, nel testo, delle vere e proprie strofe (4, 5, 6 versi).
- Inoltre, è chiaro che i salmi meditativi, sapienziali, narrativi, quelli di lamentazione e di supplica, sono fra i più adatti a essere salmodiati. Essi costituiscono d’altronde una gran parte del salterio.
- La celebrazione acquista, con la cantillazione, un certo fervore e una certa distensiva bellezza, una contenuta festosità: anche questa è un motivo per sceglierla, nei momenti opportuni.
- Occorre pure che i partecipanti abbiano un minimo di familiarità con la tecnica necessaria (per ulteriori specificazioni, vedi sotto), in modo da usarla senza particolare sforzo.
- Naturalmente, non è detto che, ad esempio nella stessa Ora dell’ufficio, si debba decidere di cantillare tutti i salmi – o nessuno. Sarà bene invece variare opportunamente il recitato e il salmodiato – eventualmente il cantato. Ci si può utilmente riportare a quanto già detto sul recitato.
Due esempi
Prendiamo due esempi concreti: il salmo 62 (Lodi della I domenica ordinaria) e il cantico di Maria (Magnificat: Vespri). Si prestano bene a essere cantillati, anche se, beninteso, rimane sempre possibile e opportuno recitarli o cantarli, a ragion veduta.
Salmo 62
È una supplica piena di fiducia, che esprime il desiderio profondo della ricerca di Dio. Fra i molti toni salmodici oggi in circolazione, scegliamo quello proposto da “Cantiamo il Signore” (edizione AISC/LDC), p. 19:


O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, * di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne,* come terra deserta, arida, senz’acqua.
È una salmodia a versetti, ossia con una nota (LA) per ii primo verso, con un’altra (FA) per il secondo. Esse rimangono identiche fino al termine del salmo. Sono esse che «portano» il salmodiare. Su di esse il testo va pronunciato con scorrevolezza, come parlando. Ogni verso si conclude con una facile cadenza. (SOL-FA-SOL e MI-RE-MI), che rende la dizione leggermente più varia. (Si potrebbe semplificare ancora, limitando la prima cadenza all’ultimo SOL, e la seconda all’ultimo MI). Il modo in cui è stampato il testo – sillaba o di «aurora» in corsivo, e la sillaba e di «cerco» in neretto – aiuta a far coincidere facilmente il corsivo con il primo SOL e il neretto con l’ultimo SOL, nel primo verso, e così di seguito per il secondo.
La salmodia che ne risulta è di ambito contenuto e di stile molto interiore: si adatta bene allo spirito di questo salmo.
Come si è già detto per il parlato, possiamo cantillare il testo:
– in modo diretto
- solistico: una voce sola, e tutti ascoltano, meditando.
- collettivo: tutti cantano il salmo per intero. Meno adatto, ma talvolta interessante se si fa una giusta pausa tra la fine del secondo verso e l’inizio del successivo.
- in modo responsoriale
- una voce salmodia tutto il gesto, gli altri intercalano più volte l’antifona del giorno. Modo insieme meditativo e partecipativo.
- in modo alternato
- il testo viene alternato, a versetti, fra uno solo e tutti, oppure fra i due gruppi. Ascolto reciproco.
Cantico di Maria
È una sorta di salmo del Nuovo Testamento. Costituisce il vertice, la punta più intensa della celebrazione dei Vespri. Lo proponiamo secondo la formula pubblicata in «Nella casa del Padre» (LDC), n. 205[3] (vedi anche in «Preghiera della settimana», ed. LDC, pp. 216-217).

Qui la salmodia è a strofe di 4 versi. Le note «portanti» perciò sono quattro: SOL, LA, SI, SOL.
Ogni verso ha una finale semplicissima: LA, SI, RE, SI, che non presenta difficoltà perché coincide sempre con l’ultimo accento tonico del verso stesso. Il fatto di salmodiare a strofe conferisce senza dubbio maggiore ampiezza, tensione lirica e solennità al cantico. Esige anche maggiore impegno vocale.
Non è indispensabile cantare a più voci: un buon unisono è largamente sufficiente. Ma può essere interessante, in certe circostanze, aggiungere questo nuovo elemento vocale, che aumenta lo spessore sonoro, dilata lo spazio musicale, rende «magnifica» la proclamazione del testo.
C’è però un rischio: la tendenza cioè a scadere dalla salmodia al canto, con tutte le conseguenze: rallentamento dell’elocuzione, allungamento delle finali, sottile compiacimento nella corposità dell’armonia. È una tendenza che qui viene moltiplicata per tre o per quattro, quante sono le voci (pari o dispari). Occorrerà perciò, se si esegue a più voci, un notevole esercizio da parte anzitutto di ciascuna voce, e poi di tutti insieme, per mantenere intatti lo spirito e lo stile della salmodia.
Un altro vantaggio della salmodia a più voci e che ciascuno può scegliere la voce che meglio si adatta alla propria tessitura vocale, senza necessariamente seguire la parte più acuta.
Quanto ai diversi modi di ripartire o suddividere i versetti o le strofe, i più adatti sembrano essere quello responsoriale e quello alternato (vedi sopra).
Alcune avvertenze pratiche
- Dove trovare oggi del materiale utile e interessante per la cantillazione?
Premesso che questi primi anni di salmodia in lingua italiana hanno visto nascere molti tentativi, ma ancora di troppo breve durata per convalidare appieno una esperienza così giovane, segnaliamo:
- alcuni repertori regionali o diocesani, come «Nella casa del Padre» (Piemonte), «I canti della fede» (Lombardia-Lazio), «Libro della preghiera» (Triveneto), «Lodate Dio» (Lugano), che contengono numerosi toni salmodici sia a versetti che a strofe;
- pubblicazioni espressamente destinate al canto della liturgia delle Ore, come «Canto della liturgia delle Ore», «Preghiera della settimana», «Preghiera del giorno» (tutte edizioni LDC); «Cantiamo al Signore», «Canto della liturgia delle Ore» (ed. AISC/LDC). Tutte queste pubblicazioni comportano un abbondante repertorio di salmodie di vario tipo, per le settimane ordinarie e le feste principali;
- altre raccolte che testimoniano la ricerca di singoli autori o gruppi o monasteri, come:
D. Machetta, «Salmi e cantici spirituali» (LDC), «Canti salmodici di Camaldoli» (Rugginenti ed.), il fascicolo annesso al disco «Vitorchiano» (Jaca Record), il volume contenente Vespri e Compieta del salterio monastico (abbazia S. Giustina, Padova) … Saremmo grati ai lettori che volessero contribuire ad allungare questa prima lista provvisoria.
- Come imparare praticamente – e come insegnare – la non facile arte della cantillazione, individuale (specie per il salmo responsoriale nella liturgia della Parola) e collettiva? Non è certo possibile esaurire il tema in poche righe. E poi, un’arte si impara soprattutto con la pratica, e non tanto con la grammatica. Tuttavia può essere utile tener presenti alcuni dati di esperienza:
- il punto di partenza sta nella recitazione ben fatta del testo salmico. Per questo rimandiamo a quanto scritto in precedenza. Quando un singolo o un gruppo hanno ben assimilate l’andamento regolare e ritmico del testo, raggiungendo una dizione chiara e un tono interiore, si può allora passare al cantillato.
- Cominciare con le note «portanti», di cui abbiamo parlato sopra a proposito dei due esempi musicali. Invitare perciò a recitare il salmo, ma tenendo stavolta la voce all’unisono sulla, o sulle note previste. Badare che questo non alteri la naturalezza della locuzione, non provochi rallentamenti, e compiacenze vocali fuori luogo.
- Non preoccuparsi delle cadenze finali: si può salmodiare bene anche soltanto con le note portanti. Ma, in un secondo tempo, apprendere anche le finali di verso: sono come una specie di punteggiatura. Alcune volte, se il verso è lungo, lo si articola con una leggera inflessione – chiamata «flexa» – in genere indicata nel testo con qualche segno caratteristico.
- Rimane comunque difficile, per chi avesse nell’orecchio la pratica una volta corrente della salmodia latina, «liberarsi dal pesante isosillabismo [= compitare meccanicamente le sillabe delle parole] per acquistare scioltezza e chiarezza» (L. Migliavacca in «Cantiamo al Signore», cit., p.49, nota 1). Per questo rimane indispensabile un esercizio paziente di recitazione:
- che dia rilievo agli accenti, non tanto quelli delle singole parole, quanto quelli forti o principali all’interno della frase, della “sequenza parlata”: «L’anima mia magnifica il Signore»;
- che, in particolare, non renda enfatiche, trascinandole, le finali di verso, quando dal parlato si passa al cantillato; ma che, nello stesso tempo, non elimini la sillaba atona dopo l’accento tonico: «mio salvato – (?)», il che troncherebbe indebitamente la parola;
- che, inoltre, realizzi quelle fusioni di sillabe, simili ai dittonghi, molto caratteristiche della nostra lingua: «magnifica-il Signore», «santo-è-il suo nome», ecc., che rendono la dizione scorrevole e non infantile;
- che, infine, trovi un andamento regolare, una pulsazione tranquilla del versetto, con una pausa fra i due versi (o stichi) che sia naturale e non forzata (praticamente il tempo di riprendere fiato senza fretta).
- Pur senza esclusiva – ricordiamo ancora una volta che i salmi possono essere anche recitati o cantati – vi sono parecchi altri salmi e cantici delle 4 domeniche ordinarie, oltre ai due citati sopra, come pure degli altri giorni della settimana, che possono venir salmodiati in cantillazione. Citiamo di preferenza, fra quelli di Lodi e Vespri delle sopraddette domeniche:
- i salmi 62, 149, 150
- i cantici Dan 3,52 ss e Dan 3,57 ss
- il Benedictus (in modo analogo al Magnificat, cf sopra).
Cantare i salmi
Supponiamo già conosciuta la precedente trattazione sulla cantillazione dei salmi. L’espressione «cantare i salmi» ha un suo significato ristretto e preciso se messa in confronto con la cantillazione: non significa semplicemente «pregare i salmi in canto», invece – poniamo – di recitarli. Significa invece: usare per il testo dei salmi delle vere e proprie melodie, ritmicamente misurate. Non siamo più nella salmodia propriamente detta. Siamo nel canto vero e proprio.
Che cosa cambia, passando dalla cantillazione al canto?
Cambia anzitutto il rapporto fra il testo e la musica. Se nella cantillazione vi è “più parola che musica», nel canto la musica acquista un peso molto maggiore. Anche se, in genere, il testo è trattato sillabicamente (cioè, a ogni sillaba una nota), la melodia ha però un suo disegno proprio e, in certo senso, autonomo. Il ritmo poi è in genere di tipo misurato, con valori regolari, che di per sé sono indipendenti dal ritmo della parola parlata. Il testo del salmo si trova perciò “a pari grado» rispetto ai valori musicali della melodia. Con quali conseguenze?
La prima è che il testo non è più in primo piano, come nella cantillazione (ben fatta). Interviene un fattore ritmo-melodico. Il canto richiede inoltre, da parte di chi canta, una maggiore capacità musicale (intonazione, senso del ritmo misurato). Implica pure una più grande partecipazione della persona: respiro più ampio, durata più distesa, espressività più intensa, richiami e rievocazioni inevitabilmente suscitati dalla forma musicale, e sentiti profondamente anche se spesso inconsciamente. Mentre una cantillazione (ben fatta) lascia emergere tutta la forza del testo, il canto opera sul testo: può rafforzarlo o ridurlo, piegarlo in altro senso, frazionarlo, sommergerlo, deformarlo, amplificarlo… Di fronte a un salmo «in canto» dovremo chiederci, perciò, quale significato viene ad assumere questa nuova composizione: va nel senso del testo o se ne allontana? Lo mette in valore oppure lo trasforma in un mottetto o in una romanza?
Altra conseguenza è che la forma dei salmi rimane modificata. I salmi hanno, nel testo originale ebraico, una loro struttura caratteristica: in genere a versetti (due versi in parallelismo), spesso anche a strofe, talora a responsorio, Una salmodia cantillata segue da vicino queste strutture. Il canto melodico invece fa intervenire sovente una sua propria struttura: nella produzione oggi corrente, è una struttura per lo più a strofe, che apparenta il salmo cantato all’inno. Se vi è un ritornello (o responsorio), in genere è anch’esso melodico e misurato.
La strofa amplifica e quasi “rallenta» il salmo, lo dipana e lo distende con maggiore ampiezza: perciò molti autori scelgono soltanto alcuni versetti, e non prendono il resto salmico per intero. Altri operano sul testo originale e gli danno forme regolari, con versi accentuativi, secondo i nostri modelli letterari. Sono tutti procedimenti legittimi e interessanti. Occorre sapere, però, che si introducono così nei salmi degli elementi nuovi.
Si tende ad allontanarsi, anche sotto questo aspetto, dall’andamento e dal clima del testo salmico propriamente detto.
Queste osservazioni non sono una condanna del canto dei salmi! Ma è necessario avervi riflettuto quanto basta prima di adottare questo modo di pregarli. Riservandoci ulteriori chiarimenti, conviene ora descrivere le principali pubblicazioni odierne di questo genere.
I repertori odierni
NB. Consideriamo salmi cantati anche quelli di tipo responsoriale, quando il ritornello è di ritmo-melodico, benché i versetti siano cantillati. Il ritornello introduce infatti un disegno melodico e una quadratura ritmica, che danno all’insieme i caratteri di un canto vero e proprio.
- Alcuni repertori regionali
«Lodate Dio» (Lugano), “Nella casa del Padre» (Piemonte/Emilia-Romagna), «I canti della fede» (Lombardia/Lazio), pubblicano un certo numero di salmi in canto. Alcuni sono responsoriali (ad esempio il sal 135: CP 14; oppure il sal 28: LD 209), altri di tipo corale con testo ritmato (ad esempio il sal 5 o il sal 6: CP 155 e 156), altri ancora con un recitativo melodico (tutta la serie «Gelineau»). Il cantico di Daniele e il Magnificat sono più volte pubblicati in forma ritmo-melodica. - Alcuni autori recenti
Citiamo particolarmente tre autori che hanno recentemente lavorato in modo originale con moduli melodici per i salmi:- D. Machetta, Salmi e cantici spirituali (LDC, 1977): alterna forme inniche e responsoriali con notevole inventiva. Raramente pubblica il testo del salmo o del Cantico per intero; spesso propone anche dei “centoni» o mosaici di versetti da vari salmi.
- P. Comi, nelle sue varie raccolte (da Il mio Dio sei tu a Preghiera di un povero, EP, 1977-1980), mette in musica anche qualche salmo utilizzando un recitativo assai vicino alla canzone corrente, con cadenze armoniche molto semplici, e spesso con possibilità di intervento per l’assemblea (incisi o ritornelli).
- D.Turoldo – I Passoni – B.De Marzi, Salmi e cantici, 2 voll. (Carrara, 1973/1976): l’autore dei testi ha riscritto i salmi seguendo un modulo strofico e ritmico regolare e imprimendovi uno stile personale. La melodia tiene conto dello stile del testo: ariosa e con cadenze facilmente intuibili. L’armonizzazione ricalca i modi del canto popolare alpino. Si tratta, in sostanza, di inni di ispirazione salmica.
- Fra le raccolte meno recenti possiamo ancora citare i canti di L. Deiss (Un solo Signore, EP; Viva il Signor, EP; Tu amerai, EP) e quelli dei Martiri Canadesi (La gioia di cantarti, EP): contengono un certo numero di salmi in canto. Occorrerebbe infine citare una buona parte delle altre produzioni recenti (partiture, dischi, cassette): i salmi continuano a ispirare i testi; sovente sono solo parti di salmi (in genere, una scelta di versetti) che vengono messi in musica.
In pratica
Scegliendo fra i salmi e i cantici delle quattro domeniche ordinarie, a Lodi e a Vespri, proponiamo tre esempi concreti:
- il salmo 148
- il cantico di Dan 3, 57-88.56
- il cantico di Maria (Lc 1,46-55)
(questi tre canti si trovano in “Nella casa del Padre” ai nn. 202,114 e 113[4]; di ciascuno riproduciamo soltanto il primo rigo, sufficiente a dare una prima idea).
Il salmo 148 (Lodi III domenica)
Il testo è in realtà una scelta di alcuni versetti (1, 3, 7, 9, 11-13) di questo bel salmo laudativo. L’autore lo ha trasformato in salmo alleluiatico, inserendo, alla fine del primo e poi del secondo verso, l’acclamazione Alleluia. Si possono certamente aggiungere anche i versetti tralasciati, a condizione di riuscire ad adattare il testo alla quadratura della melodia. La forza di questo canto sta tutta nell’alternanza fra il solista e tutti. Il solo deve mantenere un ritmo impeccabile, pur declamando in modo spiccato i versi. L’assemblea deve agganciare il suo Alleluia con la massima prontezza, quasi mordendo l’ultima sillaba (sempre àtona) del solista. L’accompagnamento, specie se si è in gruppo ristretto, è reso bene da una o più chitarre.

Il canto di Dan 3, 57-88.56(Lodi, I e III domenica)
È una melodia ormai molto nota, che permette al solista, in tre tappe, di disegnare una linea di ricca semplicità, a tutto vantaggio del testo. Questi, se lo si confronta con l’originale, ha subito qualche taglio e qualche spostamento di versetti, per non allungare eccessivamente il canto e per rendere più agevole l’uso di una melodia misurata. La risposta dell’assemblea, anche qui, è costitutiva, fa parte cioè dell’intelaiatura del canto. Il “botta-e-risposta” diventa così un elemento di grande dinamismo, crea un clima di lode gioiosa. Mantenere un andamento deciso, senza il minimo rallentando.

Il cantico di Maria Lc 1,46-55 (Vespri)
Riproduciamo, questa volta, l’inizio del primo versetto e tutto il secondo, perché appaia chiaramente l’intreccio dei due modi: il cantato e il salmodiato. L’interesse di questa formula sta tutto in questa alternanza: i versetti cantati sono ampi e robusti, quelli cantillati più raccolti, di stile tradizionale. L’armonizzazione a tre voci pari conferisce maggior colore: ma è possibile cantare anche solo la prima voce. Così pure (cd volume degli accompagnamenti di “Nella casa del Padre”) si può cantare la stessa salmodia a quattro voci dispari. Tutto il cantico, come del resto è tradizione secolare, può diventare un vertice, una punta lirica e musicale della celebrazione dei Vespri, pur senza presentare difficoltà speciali, dando anzi ampio spazio al canto dell’assemblea alternata con il coro (con possibilità di affidare al coro le parti a più voci: a scelta il cantato o il salmodiato).

Per celebrare
Che dire, indefinitiva, dei salmi e cantici cantati, in questi o in altri modi, nella celebrazione delle Lodi e dei Vespri (o anche in altri tipi di preghiera)? Occorre valutare in concreto alcuni punti:
- la prima condizione evidente, per poterli utilizzare con frutto, è che siano, non dico conosciuti, ma veramente assimilati dal gruppo o dall’assemblea. Cantare non è né più facile né più difficile che salmodiare: è un’altra cosa. Vi siamo però più abituati. Si tratterà di curare molto la scioltezza dell’andamento, la precisione nelle alternanze, per non trasformare i salmi o i cantici in un pesante mottetto.
- Quello che, in certune delle realizzazioni oggi reperibili, si perde in completezza di testo, lo si ricupera in ampiezza di espressione e in intensità di partecipazione.
- Mentre la salmodia propriamente detta può anche fare a meno di un sostegno strumentale, il canto dei salmi ha normalmente bisogno di un buon accompagnamento, come ogni altro tipo di canto.
- Nella celebrazione delle Ore, il canto vero e proprio crea, rispetto alla salmodia usuale, un effetto di contrasto. Bisognerà perciò usare questo modo in circostanze caratterizzate: ad esempio nelle domeniche (altri giorni) segnate da una festa, o da altro di particolare. Notiamo infine che non appare nessun inconveniente ad alternare, nello stesso ufficio, salmi recitati, cantillati e cantati. Ma su questo ritorneremo.
Le antifone
Come dice una non mai abbastanza letta e meditata introduzione al libro della liturgia delle Ore (“Principi e
norme», che abbrevieremo: PN), al n. 110, “tre elementi, nella tradizione latina, hanno contribuito molto a
far comprendere i salmi e a trasformarli in preghiera cristiana: i titoli, le orazioni dopo i salmi e soprattutto le antifone».
La tradizione della nostra Chiesa latina reca dunque le tracce di una duplice difficoltà:
- come comprendere i salmi, non tanto nel loro senso letterale, quanto nella loro portata spirituale per il giorno d’oggi?
- Come far sì che testi così lontani da noi, e soprattutto anteriori alla rivelazione portata da Cristo, diventino assimilabili nella preghiera di un cristiano?
Nello stesso tempo, la tradizione ci offre alcuni elementi di soluzione. I due primi sono molto interessanti: il titolo dato a ogni salmo, allo scopo di offrire a chi prega uno spunto “sul suo significato e la sua importanza per la vita umana del credente» (P N, 111). Li troviamo, nell’attuale edizione della liturgia delle Ore, alla sezione intitolata “Salterio», dove sono raggruppati i salmi delle quattro settimane. Ad es., ai primi Vespri della I domenica leggiamo:
- per il salmo 140: “Preghiera nel pericolo»
- per il salmo 141: “Sei tu il mio rifugio»
- per il cantico (Fil 1): “Cristo, servo di Dio».
Dopo il titolo, troviamo nel testo anche una breve sentenza, tratta dal Nuovo Testamento o dai Padri della Chiesa, “per alimentare la preghiera alla luce della rivelazione nuova» (PN, 111). Ritorneremo su queste sentenze.
Quanto alle orazioni dopo i salmi, dobbiamo aspettare un promesso (P N, 112) Supplemento al libro della liturgia delle Ore. Alcune edizioni private (Salterio corale, LDC; Salterio monastico, Marietti) ne danno però una buona scelta. Ma sono soprattutto le antifone che cercano di rispondere alle nostre esigenze. La citata introduzione (P N, 113) indica le varie funzioni delle antifone salmiche cosi:
- «aiutano a illustrare il genere letterario del salmo». Ad esempio il sal 20 (Vespri, martedì I settimana), che è un inno di vittoria per il Messia, ha come antifona: «Cantiamo e inneggiamo / alla tua potenza, Signore». Ne ricaviamo subito che anche la melodia dell’antifona, come pure il tipo di preghiera salmodica (recitata, salmodiata, cantata), dovranno tener conto di questo preciso genere letterario.
- «trasformano il salmo in preghiera personale», col mettere in luce «una frase degna di attenzione, che altrimenti potrebbe sfuggire». Prendiamo il sal 52 (Ora media, martedì II settimana): un salmo drammatico e apparentemente pessimista. L’antifona dice: «Il Signore farà tornare il suo popolo / e vivremo nella gioia». Essa riprende sostanzialmente la finale del salmo, ne illumina e ne orienta fin dall’inizio la preghiera, permette di vivere dall’interno il dramma dell’ateismo con una prospettiva di speranza.
- «danno un certo tono particolare a qualche salmo, a seconda delle circostanze». È il caso particolarmente delle antifone proprie, caratteristiche della celebrazione dei misteri del Signore e di altre feste. Così i salmi dell’Antico Testamento vengono cantati per Natale, Pasqua, Pentecoste, ecc.: basta scorrere le antifone di queste grandi solennità, e vedremo come esse aiutino a interpretare i salmi in maniera «tipologica», ossia come preannuncio di Cristo. Questo è il modo ecclesiale di pregare con i salmi.
- Infine, «possono rendere piacevole e varia la recita dei salmi». Sarà vero soprattutto se le antifone vengono cantate! Esse diventano come la cornice che mette in valore il quadro, non solo come contenuto, ma anche come gesto di preghiera comunitaria.
In pratica
Per chi non ha molta pratica del binomio antifona + salmo, l’antifona rischia di sembrare qualcosa di posticcio e di poco interessante. Per chi invece pratica la liturgia delle Ore da tempo, c’è il rischio opposto, di adottare cioè uno e un solo modo di usare le antifone: dirle prima e dopo il salmo, come si è «sempre» fatto, punto e basta.
Con le osservazioni precedenti confidiamo di aver dato elementi sufficienti a invogliare chi prega con i salmi all’uso di queste “chiavi” per salmodiare bene. A chi invece fosse bloccato in un unico modo di fare, considerato tradizionale, un po’ stanco e standardizzato, vorremmo ricordare che vi è modo e modo di collocare le antifone, specie nella liturgia delle Ore. Come dice ancora la citata introduzione (PN 279), «quel che conta più di tutto è che la celebrazione non si leghi a schemi rigidi e artificiosi, non obbedisca solo a norme puramente formali, ma risponda allo spirito autentico dell’azione che si compie». In questo spirito, vediamo vari modi di pregare con le antifone, per una migliore preghiera salmica.
A. Recita dell’antifona
La forma letteraria dell’antifona, concisa e svelta, è di per sé stessa orientata più al canto che alla recita (cf PN. 277). Ma non è escluso che essa venga anche recitata:
- da tutti, come spesso avviene, ma con difficoltà il testo è sovente così breve, che non si riesce a darne una recitazione unanime; quando il testo è più lungo, certamente è bene dirlo insieme, sottolineando cosi l’aspetto della preghiera personale;
- meglio da uno solo che potrebbe poi – dopo una pausa – dare l’avvio alle recite del salmo, qualunque sia la forma scelta. È un valorizzare la funzione introduttiva, iniziatoria, dell’antifona. In questo senso è bene utilizzare anche il suggerimento di PN, 111, che propone di leggere, invece dell’antifona, la “sentenza» biblica o patristica di cui si è detto sopra. È ovvio che tale sentenza non va letta da tutti, ma da uno solo che tutti ascoltano. B. Canto dell’antifona Cantare l’antifona è più che semplicemente introdurre al salmo: è cominciare a pregare il salmo. Questo
sarà vero se:
- melodia dell’antifona e tono salmodico sono musicalmente in perfetta corrispondenza;
- l’esecuzione non stacca l’antifona dal salmo, ma invece lo “aggancia» con prontezza e con continuità.
Chi canta l’antifona? Distinguiamo due casi:
- se l’antifona non è troppo breve, un solista può cantare un primo inciso melodico, e tutti continuano insieme;
- se l’antifona è molto corta, è preferibile che il solo la canti per intero una volta, e tutti la ripetano per intero.
Quando cantare l’antifona?
- sempre all’inizio del salmo (PN 113);
- se è il caso (ossia: se non appesantisce troppo, se non appare come una ripetizione superflua), anche alla fine (PN 123).
Vi sono però altre soluzioni interessanti:
- quando il salmo è disposto a strofe, e non a versetti, si può ripetere più volte l’antifona (PN 115), rendendo così più vivi l’alternanza dei cantori e il gioco dei significati. Si potrebbe riprenderla, ad es.:
- dopo ogni strofa, a condizione che il salmo non sia troppo lungo, e che le strofe siano consistenti (almeno di 4 versi);
- a metà salmo, e già prima del Gloria finale, a condizione che l’antifona non sia troppo breve, quindi sproporzionata.
- Quanto detto vale sia quando il salmo viene salmodiato, sia quando è recitato. Ma in quest’ultimo caso, occorrerà badare alla precisione dell’attacco cantato (vedi qui sopra). Nel caso di salmi propriamente cantati, il problema è diverso: in genere essi hanno già una consistenza, una dimensione notevole, che sconsiglia di aggiungervi un’antifona cantata.
- Tenuto conto delle alternanze possibili, già presentate negli articoli precedenti, fra solo-tutti e fra cori alterni, come pure dell’ascolto di uno solo che proclama (recitando o cantillando) tutto il salmo, si può facilmente immaginare quante interessanti e incisive strutture si possano trovare, in modo da rendere il salmo veramente vivo. Alcuni esempi:
- antifona recitata da un solo+ salmo salmodiato a cori alterni
- antifona cantata da tutti + salmo detto / cantillato da un solo, con antifona eventualmente ripresa più volte
- salmo recitato alternatamente fra solo e tutti, con antifona ripetutamente cantata
- salmo salmodiato da tutti, con antifona prima e dopo
- ecc.
È naturale che non si tratta di sbizzarrirsi in soluzioni funamboliche, ma di far lavorare una fantasia imbevuta di seria conoscenza di tutti gli elementi che devono entrare in gioco: genere del salmo, tipo di antifona, materiali musicali a disposizione, carattere della celebrazione, composizione e capacità dell’assemblea…
Alcune attenzioni
Per quanto riguarda le raccolte oggi più facilmente reperibili, alla data odierna, segnaliamo:
- Centro Catechistico Salesiano, Preghiera del giorno, LDC, Leumann (TO), 1977
- Associazione Italiana S. Cecilia, Canto della liturgia delle ore, id. 1980
Allo stato attuale della ricerca e delle esperienze di celebrazione, il materiale per le antifone da un lato non è completo (in particolare per quanto riguarda il ciclo festivo), dall’altro lato è tutto allo stadio della proposta mancando ancora – ed è inevitabile – il vaglio di una pratica abbastanza prolungata. Ma vi è già di che operare correttamente. Sarebbe bene, in particolare, tentare di mantenere come caratteristiche delle maggiori solennità delle antifone “proprie», quasi un incisivo segnale di festa. Per i due cantici del Nuovo Testamento (Benedetto e canto di Maria), sarebbe augurabile che si scegliessero antifone ampie e sviluppate, tali da rendere, per loro parte, tali cantici un vertice dell’Ufficio cantato.
Quanto all’accompagnamento strumentale, in genere, quando esiste, si usa indiscriminatamente l’organo. È utile, ma non indispensabile, se lo si usa, badare a non adottare un’armonia estranea all’impianto armonico, spesso modale, delle antifone. Lo strumento è indispensabile per ‘prendere la nota’, ma il vigore del canto puro, specie se seguito dalla salmodia può essere di maggiore efficacia.
Può riuscire utile anche l’uso di strumenti più leggeri, discreti e che ‘impastano’ di meno, come la chitarra, la cetra, il metallofono, il flauto.
E infine, un particolare: se si ritiene opportune ricordare all’assemblea le note della salmodia, è bene che lo strumento le dia prima del canto dell’antifona, e non dopo, evitando cioè di spezzare la continuità di senso e di avvio musicale fra antifona e salmo.
NOTE
[1] NdR: Centro catechistico salesiano, Salterio corale: traduzione ritmica dall’ebraico per il canto e la preghiera, ElleDiCi, Torino-Leumann 1962
[2] NdR: termina qui la parte di contributo scritto da Eugenio Costa insieme a Giuseppe Sobrero.
[3] NdR: oggi è rinvenibile al n.61 della V edizione del 1997 (6a ristampa settembre 2010)
[4] Ndr: oggi sono rinvenibili ai nn.145, 155 della V edizione del 1997 (6a ristampa settembre 2010)