Dio tocca e sana le ferite

Stefano di Tondo


La cura degli infermi nella Chiesa ha una origine antica. Lungi dall’essere soltanto una lodevole prassi da svolgere per il beneficio dei malati; essa trae il senso profondo dal servizio prestato a Cristo presente nei sofferenti. Seguendo l’esempio del Signore, che «passò beneficando e sanando tutti»[1], la Chiesa conferma, in primo luogo, l’obbedienza al Suo comando di aver cura dei malati[2] attraverso la visita periodica, e dimostra, in secondo luogo, la sollecitudine alle sofferenze degli infermi confortandoli con le preghiere e con i sacramenti dell’Unzione e dell’Eucaristia durante la malattia, in pericolo di morte e, specialmente, negli ultimi istanti della loro vita. La sacra Unzione degli infermi, pertanto, come professa e insegna la Chiesa cattolica, è uno dei sette sacramenti del Nuovo Testamento, istituito da Cristo Signore. Seguendo le testimonianze tratte dalla Scrittura sappiamo, infatti, che tale sacramento è adombrato nel Vangelo di Marco[3], raccomandato ai fedeli e promulgato dall’apostolo Giacomo, il quale afferma: «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel nome del Signore; e la preghiera fatta con fede salverà il malato, il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati»[4]. Giacomo, in questo caso, fa riferimento ad una speciale urgenza: una situazione di malattia piuttosto seria, nella quale non è sufficiente la preghiera personale, bensì richiede l’intercessione della comunità attraverso il beneficio dei presbiteri.

Le testimonianze della tradizione della Chiesa, relative all’unzione degli infermi, provengono in Oriente e Occidente dall’ambito liturgico. In questo breve excursus mi limiterò a ripercorrere le tappe essenziali dello sviluppo in ambito dottrinale e liturgico. Dobbiamo ricordare certamente la lettera del pontefice Innocenzo I (402-414 d.C.) a Decenzio, vescovo di Gubbio, e il testo della preghiera usata per benedire l’olio degli infermi: «Effondi, o Signore, il tuo Spirito Santo Paràclito»[5], inserita nella Prece eucaristica e tuttora conservata nel Pontificale Romano. Nel corso dei secoli seguenti, la tradizione liturgica conobbe una ulteriore fase di sviluppo precisando anche le parti del corpo dell’infermo che dovevano essere unte con l’Olio santo e aggiungendo formule di preghiera. Durante il Medioevo, nella Chiesa Romana fu acquisita la consuetudine di ungere gli infermi nelle sedi degli organi di senso con l’uso della formula: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia, ti perdoni il Signore ogni peccato commesso con…», che veniva adattata a ciascuno dei sensi[6]. Il Concilio di Firenze (1439-1445) precisò gli elementi essenziali dell’unzione e affermò la sua amministrazione a coloro che sono in pericolo di morte. Il Concilio di Trento (1545-1563) proclamò la divina istituzione del sacramento dell’Unzione, considerandolo come il sacramento di coloro che, affetti da malattia grave, erano in fin di vita e verso la vita eterna. Una ulteriore precisazione, circa la realtà e l’effetto del sacramento – la grazia dello Spirito Santo -, aveva per oggetto per la purificazione delle colpe in attesa di espiazione. Il sacramento dell’Unzione offre sollievo e conforto nel malato e suscita in lui fiducia nella misericordia di Dio per sopportare le sofferenze e le tentazioni; talvolta ottiene la salute del corpo quando ciò convenga alla salute dell’anima[7]. Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa recupera la visione originaria di questo sacramento affermando che si debba prediligere la denominazione «unzione degli infermi» – di contro alla vecchia menzione di «estrema unzione» – poiché non è soltanto il sacramento per coloro che si trovano in pericolo di vita, ma è un sacramento che si può dare già quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, comincia ad essere in difficoltà[8]. Pertanto, non è detto che ciò sia chiesto in punto di morte. Ogni persona può ricevere questo sacramento, a partire dai 65 anni, per chiedere conforto al Signore nel corpo e nello spirito proprio perché Cristo ha conosciuto l’orrore della sofferenza sulla Croce donando a tutti la vita nuova.

Il sacramento dell’Unzione manifesta una dimensione ecclesiale sia perché il nuovo rito dell’unzione può essere visto come una forma di consacrazione a Dio che, nel dono dello Spirito, avvicina il malato alla testimonianza di amore di Cristo al Padre[9], donandogli una nuova luce, sia in virtù della missione e della testimonianza che il malato stesso offre alla Chiesa (ricorda la salute dell’anima a chi gode di buona salute e benessere). Il nuovo rito, modificato da San Paolo VI, contiene una nuova formula che esprime al meglio la natura e gli effetti del sacramento:

«Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. E, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi».[10]

Secondo la Costituzione dogmatica Lumen Gentium, la sollecitudine di tutta la Chiesa per questo sacramento è evidente nella raccomandazione degli ammalati «al Signore sofferente e glorificato» e «li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo[11] per contribuire […] al bene del Popolo di Dio»[12]. In questo senso, la sofferenza patita dal malato si unisce alla sofferenza e alla passione di Cristo Crocifisso. Non stupirà il lettore la scelta di passi biblici tratti dall’Antico Testamento, e inseriti nel Lezionario del rito, in cui si narrano le vicende di sofferenza di Elia, Isaia e Giobbe dalle quali possiamo ricavare certamente una preziosa sapienza del cuore per affrontare la sofferenza con fede. Sebbene la dimensione dell’esistenza umana appaia concepita nella sua precarietà come un soffio[13], in cui la volontà soggettiva nulla può davanti al male e alla sofferenza, ciò che non può venire meno è il legame che unisce l’uomo a Dio Padre.

Il problema del dolore esiste e l’uomo non si rassegna davanti ad esso proprio mentre lo cerca, mentre prega Dio che lo liberi dallo stato di sofferenza. Elia non nasconde a Dio Padre il suo desiderio di morire. Dopo aver mostrato la sua forza nella strage dei profeti di Baal, Elia appare terrorizzato dalle parole di vendetta della regina Gezabele. Preso da spavento e turbamento, scappa in direzione opposta, verso Sud, cadendo in uno stato di depressione. Disperato, chiede la morte motivando di non essere migliore dei suoi padri, Abramo e Mosè, e così facendo scopre la finitudine della condizione umana, sperimenta il limite della fragilità davanti a Dio[14]. Elia non rimane solo nella sua situazione. Dio Padre interviene inviando un angelo che gli offre nutrimento materiale e spirituale. «Lo toccò»[15] e ricevette forza per riprendere il cammino. Così come allora, anche oggi Dio Padre interviene nella storia e continua a visitare il suo popolo nei sacramenti della Chiesa e in Cristo prende su di sé le nostre infermità, donando la vita a tutti.


NOTE

[1] At 10,38.

[2] cfr. Mc 16,18

[3] Mc 16, 13: «[i dodici] scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano».

[4] Gc 5,14-15.

[5] cfr. Pontificale Romanum: Ordo benedicendi Oleum Cattechumenorum et Infirmorum et conficiendi Chrisma, Città del Vaticano 1971, pp. 11-12.

[6] cfr. Rituale rom., Tit. V, c.1,2; Conc. Trid., 1.c; Codex Iuris Can., can. 937 sq.

[7] fr. CONC. TRID., Sess. XIV, De extrema unctione, cap. 2: CT, VII, 1, 356; Denz- Schön. 1696

[8] cfr. Sacrosanctum Concilium, §73.

[9] G. Ruppi, Mistagogia dei Sacramenti, ESC, Roma 2017, p. 206.

[10] S. Paolo VI, Sacram Unctionem Infirmorum, Costituzione Apostolica Il Sacramento dell’Unzione degli infermi, Città del Vaticano, 30 novembre 1972.

[11] cfr. Rm 8, 17; Col 1, 24; 2 Tm 2,11-12; 1 Pt 4, 13

[12] Lurnen Gentium, § 11: A.A.S. 57 (1965), p. 15.

[13] Gb 7,7.

[14] M. Nobile, 1-2 Re, Edizioni S. Paolo, Milano 2010, pp. 204-231.

[15] 1Re 19,5.

Autore

  • Stefano di Tondo è nato a Bari nel 1983. Laureato in Scienze Filosofiche ha conseguito il baccalaureato in Scienze Religiose presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Metropolitano «San Sabino» di Bari. Frequenta l’Istituto Diocesano per Animatori musicali della Liturgia dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto ed è iscritto al corso di Musica Liturgica online della C.E.I. Già direttore di coro e lettore istituito, svolge il ministero di cantore per la schola cantorum dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto ed è Membro dell’Associazione Biblica Italiana (A.B.I).

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Stefano di Tondo è nato a Bari nel 1983. Laureato in Scienze Filosofiche ha conseguito il baccalaureato in Scienze Religiose presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Metropolitano «San Sabino» di Bari. Frequenta l’Istituto Diocesano per Animatori musicali della Liturgia dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto ed è iscritto al corso di Musica Liturgica online della C.E.I. Già direttore di coro e lettore istituito, svolge il ministero di cantore per la schola cantorum dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto ed è Membro dell’Associazione Biblica Italiana (A.B.I).