Giovanni Maria Rossi
Come per il precedente proponiamo l’articolo pubblicato nel n. 84 del 1992 di “Musica e Assemblea” edito dalle Edizioni Dehoniane di Bologna a firma di Giovanni Maria Rossi che intervista e dialoga con il suo confratello camilliano Eugenio Sartore sulle problematiche inerenti le celebrazioni liturgiche con i malati.
Le cose belle devono essere diffuse e non abbandonate.
La Redazione.
Ho pensato di preparare questo dossier riportando uno scambio di opinioni sull’argomento, che ho avuto con padre Eugenio Sartore[1] (ES). Fino a pochi mesi fa e per molti anni, egli è stato cappellano d’ospedale ed esperto in pastorale ospedaliera presso i Religiosi Camilliani (n.b.: GMR: l’autore di questo articolo).
Celebrare “con”
GMR: Come reagisci di fronte a questo “titolo”? Cosi, genericamente e immediatamente.
ES: Mi balza subito all’occhio il “con”, ai quale io darei l’accezione di “per”, nel senso di servizio al malato, Vale a dire: celebro “con”, se celebro “per” il malato.
GMR: Mi pare di capire:prima viene il malato e poi la celebrazione. Sono qui “per” il malato, “con” il quale celebro il Mistero di Cristo, Nato-Morto-Risorto.
Celebrare “bene”

È giusto collegarsi con il “celebrare bene”, perché quel “per”, da te sottolineato e rapportato al “servizio”, mi fa venire in mente il verbo “terapéuein“, che significa anche servire. Celebrare “per” deve quindi diventare una “celebrazione terapeutica con”, deve diventare un celebrare bene, che fa bene, sotto tutti gli aspetti.
GMR: “Celebrare bene” a te dice anche qualcos’altro?
ES: Mi pare di poter dire che il pastore accorto dovrebbe avere l’umiltà, ma soprattutto l’intelligenza, di leggersi i frutti di un certo lavoro fatto dalla sociologia religiosa. Cosi pure dovrebbe cogliere la lunghezza d’onda e la sensibilità religiosa delle persone che incontra. Non si possono immettere nelle persone forme di culto o celebrazioni che non corrispondano alla loro sensibilità e alle loro aspettative, pur tenendo presente le giuste esigenze dell’osservanza delle fondamentali leggi liturgiche.
GMR: A quello che tu dici io aggiungo che vanno tenute presenti le questioni riguardanti le varie relazioni uomo-suono, questioni che andrebbero seriamente valutate e non sorvolate. Quanto alle leggi liturgiche fondamentali, di cui parli, bisognerebbe veramente che i pastori se ne rendessero conto, ricordandosi sempre che per “celebrare bene” la liturgia va vissuta “con tutta la fedeltà possibile, ‘di generazione in generazione’, senza fughe nel mito, ma anche senza cadute di memoria, come se il passato fosse diventato muto” (cfr. E. Costa, Apprendere a celebrare da ogni parte, in “Rivista di Pastorale Liturgica”, 1989/2, p. 56-57, Queriniana, Brescia),
ES: Chi fa pastorale sacramentaria con i malati deve avere più che mai le idee chiare. Nessuno è più sensibile del malato. Perciò per celebrare bene “con-per” lui bisognerà studiare attentamente quali gesti, quali testi, quali canti, quali musiche, quali vestiti e, perché no, quali odori (in ospedale c’è un po’ di tutto!) sono di reale aiuto perché l’avvenimento sacramentale si compia in modo proficuo. In fin dei conti anche così si realizza il “sabato per l’uomo”, di cui parla Gesù stesso.
In quale luogo di malattia

GMR: Io penso che quanto detto sopra sia anche molto condizionato dai vari luoghi di degenza, o più semplicemente di malattia.
ES: Certamente, e vanno fatte parecchie distinzioni. La primissima è quella riguardante la struttura ospedaliera, completamente diversa da tutte le altre. Già il celebrare in una cappella dell’ospedale staccata dai reparti crea differenza. Infatti là, solitamente, vanno soltanto i malati che hanno possibilità di autonomia. L’intera struttura ospedaliera comunque riduce spazio e tempo per le celebrazioni liturgiche. Si pensi invece alleenormi differenze che ci sono in una casa di riposo o in un cronicario. Queste strutture permettono di settorializzare, quindi di pensare a un tipo di celebrazione molto più specifica, con modalità più appropriate.
Animazione e presidenza

GMR: Pur tenendo presenti queste distinzioni, si può generalizzare su alcuni punti? Ad esempio quanto all’animazione della celebrazione, che cosa puoi dire?
ES: Senz’altro bisogna svestirsi di ogni modalità pomposa, sussiegosa, vistosa, rumorosa. Bisogna “contenere” il tutto.
GMR: Mi viene subito da chiederti: che senso ha, allora, chiamare i grandi cori, o i complessi strumentali, o i gruppi giovanili, ad animare le liturgie celebrate con-per i malati? E giusto? Se si, in che termini? Perché? Quando?
ES: La mia esperienza mi dice che in reparto (o nei pressi) il grande coro, e tutto ciò che tu hai citato sopra, disturbano. A meno che la scelta del repertorio e le modalità di canto permettano ai circostanti di entrare sempre meglio nella celebrazione. E questo avviene quando si scelgono canti in grado di coinvolgere sia per il tipo di testo che per la melodia. Al contrario di quanto si può pensare, non coinvolgono per nulla nella celebrazione dei Santi Misteri i canti che “commuovono” o che riportino all’esperienza di quando si era sani, o ragazzi, o facenti parte di un coro. E un “fare un qualcosa” (la frase detta purtroppo ancora da parecchi preti ai loro coristi: “Dai, cominciate a cantare qualcosa”; verrebbe voglia, se non fosse per la serietà della Liturgia, di suggerire ai cantori di attaccare magari con un bel “Va’ pensiero”…) che resta fine a se stesso.
GMR: Mi sembra molto importante che sia tu a dire questo! E dovrebbero tenerlo ben presente tutti i nostri confratelli cappellani ospedalieri! Sono comunque contento, perché ciò che tu hai detto dimostra che chi ci ha creduto ha fatto fruttificare anche presso il mondo della sanità il terreno dissodato dalla riforma liturgica. Ma ora ti chiederei qualcosa sulla presidenza.
ES: In realtà questa è l’animazione più importante ed ha anche molta relazione con il mondo dei suoni. Chi presiede deve farsi udire, e nello stesso tempo non gridare (a questo proposito basterebbe ricordarsi che ciascuno di noi, quando non sta bene, non ama sentir gridare: cosa a cui si pensa molto in ospedale, anche da parte degli stessi operatori sanitari); deve essere coinvolgente, ma nello stesso tempo non prorompere; deve usare qualche didascalia semplice, ma anche lasciare spazio al silenzio, molte volte più eloquente delle parole, specialmente se accompagnato dauna appropriata postura; deve tenere un’omelia contenuta e chiara, ma prima deve curare la proclamazione della Parola (non sia dato in mano il testo, magari contenuto nei soliti foglietti, all’ultimo improvvisato lettore, che non ha nemmeno dato un’occhiata alla lettura un po’ prima della celebrazione). E la Parola venga “proclamata”! Come posso fare l’omelia se la Parola non è stata “proclamata”, ossia se non è veramente arrivata agli orecchi e al cuore dei partecipanti? Che riferimenti posso fare io, presidente, a una Parola di Dio “detta”, magari anche mal-detta, quindi non recepita in tutta la sua importante pregnanza?
GMR: Già: tu ti puoi anche essere preparato, ma prima dell’omelia viene sicuramente la Parola, la quale è indiscutibilmente più importante delle mie parole, sia pure di attualizzazione sacramentale.
ES: A proposito di attualizzazione bisogna stare molto attenti ai contenuti. Questi dovrebbero sempre tener presente la tipicità dei malati a cui mi rivolgo.
A fare esempi mi dilungherei troppo. Dirò semplicemente: attenti alle grosse differenze tra malato e malato e a non batter l’aria con cose generiche. Certo per far questo bisogna conoscere i malati; e per conoscerei malati bisogna “visitarli”; e via di seguito.
Quali Sacramenti

Mi accorgo che fin qui sono stato generico. Sento il desiderio di fare una sicura affermazione: l’Eucarestia rimane il punto privilegiato della celebrazione liturgica con i malati. Tutt’ora, anche in un clima di secolarizzazione, e per qualcuno oserei dire di indifferenza religiosa, il malato trova nella celebrazione dell’Eucarestia il momento più significativo della sua preghiera.
GMR: Si avvertiva comunque che tutto ciò che andavamo dicendo era praticamente riferito all’Eucarestia domenicale/festiva. Passiamo ora ai tre classici Sacramenti dei malati.
ES: Se permetti, vorrei come prima cosa aggiungere subito, alla celebrazione dell’Eucarestia, la distribuzione della S. Comunione, ancora molto praticata nei nostri ospedali. Brevemente: tener presente lo stato d’animo del paziente; non presentarsi, magari con voce semi-imperiosa, a chi dorme o durante visite e medicazioni. Occorrerà creatività, basandosi molto sul preavviso, preparando cosi un clima accettabile: di silenzio, di predisposizione. Seguire il rituale, ma con grande attenzione agli opportuni adattamenti, legati ai singoli casi. Dopo aver somministrato il Pane Consacrato, rimanere sempre in silenzio per qualche istante, in profondo atteggiamento di fede: molte volte è questa la musica migliore e la più incisiva ritualmente. Ci può comunque essere, durante l’insieme della celebrazione, qualche momento in cui sta bene un lieve sottofondo musicale adatto, ad esempio un canto salmodico pre-registrato, che aiuti il malato a ricorrere mentalmente alla Parola di Dio, per incontrarsi nel modo migliore con il Corpo e Sangue di Cristo.
GMR: Mi viene naturale reagire dicendoti che, stando ai documenti ufficiali della Chiesa, in linea di massima le musiche pre-registrate dovrebbero essere abolite.
ES: Lo so: e questo mi ha un po’ meravigliato. Penso che una giusta interpretazione, basata sulla regola generale degli “adattamenti” contenuta nella Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (nn. 37-40), valga più che mai in ambiente di malati!
GMR: Veniamo allora ai tre classici Sacramenti dei malati. Dico così perché non mi sembra giusto occuparsi in questa sede di casi particolari come Battesimi, Cresime, esequie casuali in ospedale. In realtà questi Sacramenti dovrebbero essere celebrati in Parrocchia.
La Riconciliazione

ES: Per molti cristiani la Riconciliazione è un Sacramento un po’ in estinzione.
Ma nel momento della malattia ridiventa per molti un momento importante, anzi un punto di arrivo. Per altri segna una tappa di crescita nella Fede, per altri ancora un ritorno alla Fede. Molte volte costituisce una rielaborazione dell’esperienza della sofferenza, attraverso la quale l’individuo, tiepido nella fede, ritorna a Dio e riscopre il ruolo della Fede. Qui si dovrebbe fare una lunga digressione sulle incidenze psicologiche: ossia distinguere quando è senso di colpa e quando è percezione del peccato. Non è però il nostro compito. In questa sede mi limito a dire che il cappellano sensibile dovrà fare in modo che la confessione, non solo sia effettivamente un momento importante, ma avvenga anche attraverso modalità adatte. E queste cominciano con un atto celebrativo personale. È ancora la modalità classica, ma deve essere connotata da una giusta e adattata ritualità. Dal lato sonoro mi sembra molto importante far notare che la qualità dì voce e ogni movimento del confessore possono avere influenza nel dialogo con il penitente malato, solitamente ipersensibile. Anche la voce e l’atteggiamento devono mostrare chiaramente la misericordiosa presenza del Signore in un momento cosi carico di bisogno, di tensione, di trepidazione: una presenza “ricca di misericordia”, affettuosa, che dia forza e sostegno.
GMR: Hai anche esperienza di celebrazioni comunitarie della Penitenza in ospedale?
ES: Non ho esperienza, ma penso che sia una proposta impossibile in simili ambienti (se vuole essere una proposta celebrativamente seria).
L’Unzione dei malati
Totalmente diverso invece è il caso dell’Unzione dei malati. La forma migliore sarebbe proprio data dalla celebrazione comunitaria. Anche qui tralasciamo le teorizzazioni e veniamo ai fatti pratici. E certo che si può celebrare comunitariamente anche in reparto, a patto che vi siano le giuste premesse: malati di un certo tipo, che si accordino con la tipologia del Sacramento in rapporto alle loro condizioni, attenta catechesi preliminare, personale consenziente e possibilmente impegnato dal lato religioso.
Per quanto mi riguarda, ho notato che questa celebrazione riesce al meglio nel contesto dell’Eucarestia. In tal caso è anche più facile organizzare una buona animazione. È comunque certo che non maturerà la sensibilità per questo Sacramento se non vien già fatta una buona catechesi nelle parrocchie. E ormai, per fortuna, ci si sta muovendo al riguardo. Ne ho un’esperienza diretta.
ll Viatico
Quanto al Viatico, anzitutto una premessa: noi siamo molto condizionati dalla cultura attuale, che ha ridotto la morte a tabù e molto volentieri porta lontano il suo sguardo dalla sofferenza, non accorgendosi che vive male proprio perché non ci pensa. Anche molti cristiani e credenti non hanno una preparazione psicologica e nemmeno un’elaborazione religiosa della sofferenza, per cui vivono male soprattutto in prossimità della morte. Questo, il pastore lo deve ben meditare se vuole veramente aiutare il malato a celebrare anche nella sua sofferenza e nella sua morte. Il pastore deve saper coinvolgere in questo anche il personale sanitario, aiutarlo a celebrare in senso lato la liturgia della vita, non nel solo modo organicistico, macchinoso, riduttivo del mondo medico. In questo modo tutta l’équipe terapeutica viene coinvolta, pur con modalità differenziate, nella responsabilità di una vera “buona morte”. Altro che eutanasia! Detto questo, devo soltanto aggiungere che la celebrazione liturgica del Viatico penso possa seguire la falsariga di quanto già detto a proposito dell’amministrazione della Santa Comunione, badando, qui più che mai, alla situazione reale della persona; un morente.
Repertori di canti
GMR: Anche su questo argomento vorrei sentire il tuo parere.
ES: Non sono certo io che devo dare a te titoli di canti e musiche adatte: sei tu l’esperto! Io posso esprimerti alcuni concetti che ritengo fondamentali e cioè:

- si faccia una scelta di testi significativi, non troppo altamente poetici, possibilmente comprensivi dello stato d’animo del malato, dei suoi bisogni, armonicamente aderenti alla sua situazione nel presente; testi di speranza, di abbandono in Dio, alla sua Misericordia, alla sua Volontà;
- dal lato musicale, evitare “pomposità”, cose eccessivamente “solenni” nel senso della “magniloquenza”: il “clangore” non serve all’ospedale (e molte volte si ha la netta impressione che tutto questo miri soltanto ad “auto-servirsi”, cioè a quello che tu hai sempre chiamato “cantarsi addosso” o “suonarsi addosso” o, prima ancora, “comporsi addosso” (certe polemiche a proposito di musica di chiesa fanno ridere, se lette con l’occhio di chi vive in ospedale! meglio ancora (o peggio) fanno piangere!); un canto armonioso, compassato nella forma, sia nel suono della voce che nel tipo di accompagnamento, è senz’altro più “funzionale”;
- possibilmente fare sempre riferimento a qualche canto conosciuto anche dai malati: pur nell’impossibilità di cantare, magari tentano di farlo e in ogni modo si sentono coinvolti maggiormente; nella messa, ad es., bastano uno o due canti su sei, sette (in particolare l’acclamazione al Vangelo, il Santo, l’acclamazione di anamnesi);
- ricuperare come “preghiera” quei testi di canti molto belli che avessero però una musica di difficile esecuzione per quel tipo di malati, magari usando la modalità della proclamazione del testo sul sottofondo strumentale;
- fare molta attenzione anche per quanto riguarda i “linguaggi musicali” e i modi di esecuzione; specialmente quei gruppi (ma purtroppo, talvolta, anche qualche cappellano e qualche suora poco avveduti!) composti da giovani disordinatamente schitarranti e semi-agitati che vanno ad “offrirsi” per la cosiddetta “animazione delle Messe di reparto” (ma anche cori magari blasonati, che si presentano con tanto di divisa e poi cantano cose orribili…) sono tutt’altro che adatti per una adeguata “celebrazione con i malati”, soprattutto perché, torno a dirlo, finiscono per non essere “a servizio del malato” (“per” – “terapéuein“), non lo aiutano a “celebrare”. In genere questi gruppi pensano soltanto di fare “qualcosa che tenga su, qualcosa che diverta”; non è questo né il luogo né il momento;
- si può concedere qualcosa di più, sia come “solennità di gesti” che come qualità vocale/strumentale, alle celebrazioni fatte nella cappella dell’ospedale; qui possono stare anche gli interventi dei vari gruppi di animazione. E comunque da raccomandarsi, da parte dei pastori/cappellani responsabili, il reale coinvolgimento dell’assemblea nel canto, almeno per le acclamazioni di cui sopra e, soprattutto, l’estrema cura nella scelta dei testi. Per voler essere ancora più preciso, dirò che ci sono ad esempio cori che vanno in ospedale a cantare i pezzi migliori del loro repertorio, senza nemmeno badare alla festa liturgica in calendario o senza nessuno previo accordo con i responsabili.
Il reale problema è il cuore

GMR: Permetti che ti interrompa, perché qui mi viene alla mente quanto mi diceva una signora che si interessava delle cosiddette “Messe in musica”: “Ai malati nella cappella dell’ospedale si dovrebbero cantare tutte e solo cose di alta qualità artistica. Loro, e in genere la gente, non sanno cantare. Tu sei un illuso”. Alle mie rimostranze sapeva opporre soltanto argomenti basati sull’artisticità.
È un grosso equivoco, stigmatizzato addirittura dal Card. Biffi nella sua relazione al Convegno Nazionale AISC ’92 (Bologna, 16-20 settembre): “C’è il rischio che l’arte, invece di condurre gli spiriti a Dio, li impigli nelle sue seduzioni; che le bravure non servano al raccoglimento delle forze interiori, ma al loro distrarsi; che qualcuno confonda l’emozione estetica, tutta chiusa in se stessa, con la percezione sconvolgente della trascendenza e col fiorire nell’animo dell’amore salvifico”.
ES: Ottima puntualizzazione. Ora, se vuoi, terminiamo proprio con un esempio che chiamerei “classico”: la Messa di Natale nella cappella dell’ospedale. Viene un coro molto bravo, canta le sue sopraffine laudi natalizie medievali, praticamente facendo un concertino a un’assemblea di anziani, ammutolita, che si aspettava almeno il “Tu scendi dalle stelle” (di S. Alfonso, ancora oggi funzionale per chi accetta di sentirsi povero con il Bambinello, e celebrare cantando “questa povertà”!). Alla fine ci scappa addirittura l’applauso… Bravi coristi o bisogno di sfogarsi da parte dei partecipanti fino ad allora zittiti? Forse entrambe le cose, ma entrambe in quasi nessuna relazione con la celebrazione. Viene creata un’atmosfera dolciastra, escludendo sé stessi e tutta l’assemblea dalla vera “celebrazione del Ministero dell’Incarnazione/Nascita di Cristo Gesù”, una celebrazione che è sempre pasquale!
GMR: Ti ringrazio molto e mi permetto di aggiungere ancora due osservazioni.
La prima riguarda un aggancio alla tua ultima. Accanto ai cori “sbagliati” metterei quelli che io chiamo “i gruppi giovanili d’animazione sbagliati”. Tu sai quanto ho fatto e faccio per i cosiddetti “gusti giovanili”, ma conosci anche la mia preoccupazione perché le scelte vengano fatte con oculatezza. Qualcuno vorrebbe che non si componessero nemmeno certe cose, usando un certo linguaggio musicale. Io sono dell’avviso che il reale problema è il cuore, perché dal cuore (o se vuoi, biblicamente, dalle viscere) viene tutto: non lo invento io. E da qui viene e la Fede e la vita data alla Parola e il trasformare la Parola in musica e il celebrare con l’Assemblea, popolo santo di Dio e… potrei continuare. II “saperci farci” (mi pare di poterlo dire da compositore-pastore-esecutore-musicoterapista) funziona soltanto se c’è il Cuore: con la maiuscola, perché non è mai disgiunto dal Cuore Creatore, “Padre di tutti, che sta al di sopra di tutti”. Se i “gruppi giovani” sono seguiti da pastori che “hanno Cuore“, trovano la strada giusta: in tutte le componenti della celebrazione. E con i malati arriveranno a celebrare “con-per” nel modo giusto.
Un’ultima osservazione. Quanti canti semplici, che talvolta sembrano addirittura inflazionati, cambiano volto se vengono “trattati” in modo diverso: ad esempio se si fa un’attenta presentazione, quasi una “ri-animazione” (per restare… in argomento) del testo letterario; se si pensa a una intelligente attualizzazione; se si cambia arrangiamento strumentale; se si eseguono con le sole voci; ecc.. Talvolta è proprio soltanto la “modalità di somministrazione” a rendere indigesta una medicina. Ma anche qui è questione di CUORE! Mi piace dare l’ultimissima parola al mio fondatore, S.Camillo, il quale, rivolgendosi a un mio confratello, svogliato nei riguardi del malato, diceva: “Più cuore in quelle mani, fratello!“.
Sussidi
- a. per la riflessione
- AA.VV. Dolentium hominum, Rivista del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari, Città del Vaticano, dal 1986.
- AA.VV. Camillianum, Rivista dell’Istituto Internazionale dì teologia-pastorale sanitaria “Camillianum”, P.zza della Maddalena 53, Roma, dal 1990.
- CASERA D., I tre sacramenti dei malati in “L’assistente religioso nel mondo della sanità”, Camilliane, Torino, 1991.
- SWIFT K.J.: The chaplain’s role in care for the dying: toward a new understanding in CMA Journal, July 17, 1986, p. 181-185.
- KUBLER-Ross E., La mort, dernière étape de croissance, Ed. Québec-Amérique, Montreal, 1977.
- NOWEN A., Ministero creativo, Queriniana, Brescia, 1981,
- BRUSCO A., Accompagnamento spirituale del malato morente e pastorale clinica in “Camilliani”, 17/1988, p. 489-194, Camilliani, Piazza della Maddalena 53, Roma.
- SAPORI E., Musica in ospedale – Esperienze pastorali in “Insieme per servire”, 2/agosto 1991, ANCRO, v. Bresciani 2, Verona.
- ROSSI G.M., Scopri il suono per guarire in “L’Adige”, Trento, 17.01.1992, p. 51.
- Rossi G.M., Pastorale tramite la musica in “Camilliani”, 8/1987, p. 495-508, Camilliani, Piazza della Maddalena 53, Roma.
- AA.VV., Catechesi per il malato con deficit mentale, Centro Studi S.Riccardo Pampuri, Ist. S.Giovanni di Dio, Genzano, Roma.
- GUIDOLIN L,, L’animazione pastorale-liturgica in Comunità Terapeutica per psicotici in “Vita Nostra”, 3/1989, p. 315ss., Camilliani, V.G. Trezza 15, Verona.
- ANDREATTA D., Rinascere a suon di musica in “Vita Trentina”, 24.01.1988, p. 5, (via S.Giovanni Bosco 5, Trento).
- RAINOLDI F. – ROSSI G.M., Celebrare con i malati in “Musica e Assemblea” 20/1978, p. 24-32, Queriniana, Brescia.
- Rivista di Pastorale Liturgica, 1985/6, tutto il numero, Queriniana, Brescia.
- b. repertori musicali
- Niente di meglio che riferirsi ai repertori diocesani in cui si specifica, nel Prontuario, ciò che è più opportuno a tempi, momenti, riti liturgici. Sta al buon senso e alla preparazione dei pastori la scelta adatta anche alle persone.
NOTE

Padre Eugenio Sartore (1943–2019). Nasce a Cittadella (PD) da Antonio e da Erminia Scapin. Residente a Mottinello Nuovo, i camilliani se li ritrova accanto alla casa. Entra in seminario a Villa Visconta di Besana Brianza (MI) il 25 settembre 1954. Dopo il biennio delle Scuole Superiori, entra in Noviziato a Verona S.Giuliano il 25 settembre 1959, concluso con la professione dei voti temporanei il 26 settembre 1960. Conclude gli studi classici e fa quelli filosofici e teologici in quel di Mottinello di Rossano Veneto (VI), dove emette i voti perpetui il 10 gennaio 1965. Il gruppo dei chierici nel frattempo viene trasferito a Verona, per frequentare il nascente Istituto Teologico S.Zeno. Viene ordinato diacono il 29 ottobre 1967 nella chiesa di S.Leonardo da mons.Maffeo Ducoli, quindi ordinato sacerdote il 23 giugno 1968 a Mottinello da mons.Antonio Mistrorigo. È inserito nella formazione: dal 22 luglio 1968 come Assistente dei novizi a Mottinello, e dal 1 ottobre 1970 come Vice-Maestro dei chierici teologi a Verona S.Giuliano. L’1 luglio 1975 inizia l’esperienza di cappellano ospedaliero nell’Ospedale scaligero di Borgo Trento. Il 16 giugno 1980 rientra nella formazione come Superiore della comunità di Mottinello di Rossano Veneto e Direttore degli aspiranti per due trienni, entrando a far parte anche della Commissione provinciale per la Formazione. Il 17 luglio 1986 torna alla pastorale sanitaria, essendo nominato Superiore per due trienni all’Ospedale Borgogo Trento di Verona. Il 16 giugno 1992 nuovamente passa alla formazione come Maestro dei Professi temporanei di San Giuliano e Superiore della locale comunità. Il 19 giugno 1995 è nominato Consigliere provinciale per un triennio. Il 27 giungo 1998 è Superiore a Verona S.Maria del Paradiso, casa madre della provincia religiosa del Lombardo Veneto, e lo è per due trienni. Il 23 giugno 2004 è nominato Superiore nella cappellania ospedaliera “Luigi Sacco” (Vialba) nella periferia di Milano, con l’assunzione a cappellano dal 1 settembre 2004 e la nomina a responsabile della Famiglia Camilliana Laica dal 13 settembre; è inserito come membro del Segretariato della Pastorale il 30 ottobre 2004. L’avventura milanese dura solo un anno perché – causa l’inaspettata necessità di un giro di trasferimenti – dal 15 settembre 2005 è Superiore e Cappellano all’Ospedale Civile di Padova, anche per il triennio successivo, confermato anche come Assistente spirituale provinciale della Famiglia Camilliana Laica e come membro del Segretariato per la Pastorale. Il 23 luglio 2010 viene trasferito alla Comunità di Venezia Lido, dove diventa 1° consigliere locale (28 settembre 2010) ed Assistente della locale Famiglia Camilliana Laica di MestreVenezia, confermato nel settembre 2013. Nel frattempo dal 2012 si presentano le prime avvisaglie di un declino delle funzioni cognitive – forse dovuto ad un episodio ictale del 2008 -, aggravato da una successiva un’infezione polmonare di legionella. Diagnosticata l’encefalopatia vascolare, è seguito dal Servizio di Neuropsicologia, fino a che per la difficoltà linguistica e mnesica s’impone l’esonero da ogni impegno pastorale. Viene trasferito a riposo a Verona S. M. del Paradiso il 12 luglio 2015, e poi, con la chiusura della sede di Veronetta, alla casa di S. Giuliano il 6 luglio 2017, finché il peggioramento impone il ricovero protetto nella RSA Cerruti di Capriate S. Gervasio (BG) l’8 giungo 2019. Muore la sera del 30 ottobre 2019, assistito corporalmente e spiritualmente dai confratelli.