Matteo Malagoli
Parlare di violoncello nell’attuale pratica liturgica è, indubbiamente, un lusso che ben pochi o quasi nessuno si può permettere. Oggi quale ruolo avrebbe questo strumento a fianco di un coro liturgico quando lo stesso è, magari, ben sostenuto dall’organo a canne?
Per rispondere, anche solo in parte, al quesito posto sopra occorre soffermarci innanzitutto sul ruolo che ha avuto il violoncello nel Meridione Italiano nel corso dei secoli, un autentico protagonista a fianco delle voci. Qualche cenno storico-analitico di come questo strumento abbia preso piede in modo così considerevole ci aiuta ad analizzare la letteratura esistente.
Nella Napoli barocca la musica rivestiva un ruolo di prim’ordine, sia a livello culturale che sociale. Le centinaia di chiese e confraternite che davano lavoro a musicisti, cantanti e costruttori di strumenti erano in competizione fra loro al fine di potersi fregiare, almeno alcune volte all’anno, della presenza delle eccellenze cittadine, sia come compositori che come interpreti. In questo frangente nascono delle vere e proprie pietre miliari della storia della musica come, ad es., lo Stabat Mater di Giovan Battista Pergolesi.
Tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo le principali Cappelle Musicali cittadine (Cappella Reale e Tesoro di San Gennaro) dispongono una sorta di “modernizzazione” degli strumenti; nella Cappella del Tesoro di San Gennaro alcuni strumenti in auge fino ad allora, arpa barocca, cornetto e viola da gamba sono sostituiti da altri più perfezionati; la viola da gamba, arrivata a Napoli nel corso del XVI secolo per opera dello spagnolo Diego Ortiz, sarà praticata fino al 1717 da Rocco Greco, ultimo violista delle due maggiori Cappelle Musicali citate sopra. Negli ultimi anni di vita vide affiancarsi un violoncello in organico, strumento che, potendo esprimersi in modo diverso, prese il sopravvento tanto da decretare la fine dell’antico strumento tastato. Parallelamente, arrivando a Napoli il violinista romano Giovanni Carlo Cailò (1659ca-1722), viene impiantata una moderna scuola di violoncello che, in breve, darà eccellenti risultati riscontrabili in Francesco Paolo Supriani (1678-1753) e Francesco Alborea chiamato Francischiello (1691-1739).

Musicisti della Cappella del Tesoro di San Gennaro come Rocco Greco (1650ca-1717) ed il violinista Gaetano Francone (1650ca-1717) sono chiamati a scrivere pagine per il nuovo strumento; nasce così una prima letteratura unica nel suo genere ma esemplificativa dell’interesse che il violoncello aveva suscitato.
Rocco Greco si cimenta in una raccolta oltremodo unica nella storia della musica: redige ben undici virtuosistiche diminuzioni sul basso continuo di Mottetti vocali su testo di Antifone dei II Vespri. L’autore dei Mottetti, precedenti al lavoro del Greco, è identificabile in Erasmo Di Bartolo, illustre musicista napoletano dell’ordine dei Filippini chiamato “Padre Raimo” (1606-1656) attivo nell’Istituto dei “Girolamini”, ubicato tra la Cattedrale ed il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo su via dei Tribunali (di fronte alla facciata della chiesa dei Filippini) dove il Greco insegnava e gli allievi prestavano servizio presso l’istituto stesso.
A noi è pervenuta solo una copia della parte di violoncello e basso continuo datata 1699 ed inserita in un elegante volume contenente la prima letteratura per violoncello a Napoli depositato nell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino.
La pratica della diminuzione strumentale ebbe breve durata; il Trattato didattico di Francesco Supriani applica la diminuzione al violoncello che, insieme alle 11 diminuzioni su basso di Mottetto del Greco, rappresenta l’unica testimonianza per violoncello di questa antica pratica particolarmente cara alla viola da gamba.
Di tutt’altro orientamento è il violinista Gaetano Francone il quale dedica al violoncello Dieci brevi pezzi di carattere profano chiamati Passagagli ovvero dieci piccole passacaglie o ciaccone in stile vagamente iberico che offrono un virtuosismo tecnico di vaga derivazione violinistica. Strutturati armonicamente in modo uniforme, propongono uno stile accattivante e sempre diverso anche se fondati tutti sul medesimo basso continuo in diverse tonalità.
La maggior parte dei brani di Greco e Francone sono eseguibili con un violoncello a 4 corde ma tre diminuzioni ed un Passagaglio necessitano di una quinta corda grave, dimostrazione del difficile passaggio dalla viola da gamba al violoncello che stava avvenendo a Napoli in quegli anni.
Violoncello e viola da gamba compaiono ancora insieme in alcune composizioni liturgiche di Gaetano Veneziano (1656-1716), il Salmo 110 Confitebor tibi Domine e alcune Lezioni per la Settimana Santa dove la viola da gamba è “relegata” al basso continuo mentre il violoncello (due, nel Salmo) è uno strumento concertante.

Uno dei compositori che ha dato maggior spazio al violoncello è stato indubbiamente Nicola Antonio Zingarelli (1752-1837) il quale ha favorito in modo protagonistico lo strumento in oltre dieci composizioni.
Anche se positivamente affascinante, citare ogni autore e le sue opere diventerebbe pedissequo per l’elevato numero. Possiamo solo riassumere che da qui in poi il violoncello diventa un autentico protagonista della liturgia partenopea avendo ricevuto il favore da innumerevoli compositori, per lo più dimenticati, i quali fino a tutto il XIX secolo hanno incrementato la letteratura sacra di questo strumento con pagine di ragguardevole importanza, sia a livello estetico che tecnico.
Dal Secondo Dopoguerra in poi la riscoperta della musica barocca napoletana ci ha offerto il violoncello esclusivamente nella letteratura profana (Sonate e Concerti) escludendo a priori la pratica liturgica delle Cappelle Musicali e dei suoi musicisti, dimenticata a far tempo dal Motu Proprio del 1903 il quale, riformando la Musica Sacra in modo radicale, escludeva il prosieguo di una pratica strumentale di ampio raggio, magari trascinata anch’essa verso stili musicali non troppo afferenti al culto ma fornitrice di una considerevole letteratura vocale strumentale degna della più ampia rivalutazione.
A fronte di quanto esposto sopra è utile ora poter capire se vi sia ancora spazio per il suono del violoncello all’interno della moderna liturgia, suono che ha letteralmente ammaliato i compositori di due secoli a partire dalla Scuola Napoletana; anche il resto della Penisola ha avuto diversi musicisti dediti a questa esperienza anche se più sporadicamente che nel Meridione. La letteratura esistente è al 99% in lingua latina ma un interessante 1% propone testi in italiano per cui adatti anche oggigiorno.
Il timbro suadente, talvolta malinconico di questo strumento, ben si presta a sottolineare momenti di riflessione particolarmente nel Tempo di Quaresima come fu, del resto, anche in passato. In diverse occasioni liturgiche ho avuto modo di proporre lo strumento in vari modi: sostegno di un coro polifonico senza organo (in Quaresima); proposta di letteratura originale di ambientazione ecclesiastica con organo o solo violoncello; trio violino-violoncello-organo in riti nuziali, esequiali o per il Sacramento della Confermazione; proposte originali in paraliturgie o meditazioni comunitarie.
Particolarmente affascinanti e vissute sono state le grandi occasioni organizzate dall’Ufficio Liturgico Nazionale della CEI ad Assisi e Verona in occasione di un Congresso Eucaristico e di Assemblee Episcopali dove il timbro del violoncello ha potuto manifestare la sua duttile ricchezza al servizio della preghiera autentica.
