Analisi e provocazioni per una polifonica “via pulchritudinis”
Claudio Magni
1. La voce liturgica non esiste…
E’ interessante quanto Benedetto XVI dice in un suo discorso dell’11 luglio 2012:
“[…] la musica è armonia delle differenze, come avviene ogni volta che inizia un concerto, con il rito dell’accordatura. Dalla molteplicità dei timbri dei diversi strumenti può uscire una sinfonia. Ma questo non accade magicamente, né automaticamente! Si realizza soltanto grazie all’impegno del direttore e di ogni singolo musicista. Un impegno paziente, faticoso, che richiede tempo e sacrifici, nello sforzo di ascoltarsi a vicenda, evitando eccessivi protagonismi e privilegiando la migliore riuscita dell’insieme.”
Evidentemente il punto di partenza per Benedetto XVI era quello della musica, da uomo che l’aveva anche coltivata praticamente, ma ci si può leggere un riferimento anche alla musica liturgica e più in generale alla liturgia.
La voce liturgica non esiste…semplicemente perché ne esistono molte che tra loro dialogano o dovrebbero dialogare per la maggior gloria di Dio, ed esattamente come recita il titolo dell’ultimo libro di Mons. Giuseppe Liberto “Sinfonia di voci in concordia”[1]. Non si tratta quindi, approfittando della terminologia musicale, di “monodia”, ma bensì di “polifonia”, con più voci che tra di loro interagiscono in modi diversi a seconda del momento, che talvolta lasciano la scena ad una mettendosi in secondo piano, talvolta si presentano assieme e talvolta alternandosi, oppure ancora che esaltano una situazione mettendosi al servizio, mentre altre volte spariscono quando potrebbero recare disturbo o compromettere la funzionalità di quel momento.
Questa molteplicità di voci penso sia riscontrabile da molti punti di vista:
- diversi attori musicali;
- diverse forme compositive;
- diverse percezioni dei suoni;
- diversi luoghi, tempi e situazioni sociali, culturali;
- diversi momenti dell’anno liturgico;
ma anche:
- diversi ministri che partecipano alla liturgia;
- diversi ministeri;
- diversi gesti e atteggiamenti del corpo;
- diverse personalità;
- diversi linguaggi simbolici;
come pure:
- diverse forme artistiche che sono presenti nel luogo di culto: architettura, scultura, pittura;
- diversi spazi;
- diversi arredi e suppellettili;
- diversi materiali e profumi.
Risulterebbe riduttivo, o quantomeno parziale, limitare la discussione alla sola musica. Sarebbe come analizzare una sola parte del tutto, dimenticandosi che la parte è funzionale al tutto e che in questo si deve inserire per avere pieno compimento, oltre al fatto che il tutto senza parte è monco e che la parte senza il tutto può perdere parte o tutto il suo significato.

2. Sacrosanctum concilium e “dialogo di voci”
La stessa “Sacrosanctum concilium” (=SC), punto di partenza di ogni riflessione sulla liturgia post-conciliare, nel numero 2 del proemio ci ricorda che la liturgia vista nel mistero della Chiesa è:
[…] umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina […]”
e che il suo contenuto è:
[…] sia ordinato che subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati […]”
Già questa è un’indicazione di come varie situazioni e vari “motori” contribuiscano a far funzionare quella celebrazione liturgica che pochi numeri più avanti (numero 10) definisce come:
[…] culmine cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia […]”
specificando inoltre, al numero 34:
“I riti splendano per nobile semplicità; siano chiari per brevità ed evitino inutili ripetizioni, siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano generalmente di molte spiegazioni”
Poco dopo, si parla, indicando solo i titoli, di “Sana tradizione e legittimo progresso”, di “Partecipazione attiva dei fedeli” (dicendo che si devono curare le … “acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo”, oltre al sacro silenzio), di “Liturgia e condizioni sociali”, di “Latino e lingue nazionali”, di “Norme per un adattamento all’indole e alle tradizioni dei vari popoli” e altro ancora.
Con queste premesse, evidentemente “sinfoniche” e “polifoniche” si deve necessariamente ragionare di una liturgia come “dialogo di voci”.
Per chiudere questi riferimenti introduttivi con una indicazione strettamente musicale, al numero 113, trattando della musica sacra, il testo della SC recita:
“L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo […]”
3. La polifonia partecipativa nella celebrazione liturgica
Entrando quindi nello specifico di alcuni aspetti di questa analisi, diversi sono gli attori che entrano in gioco nell’atto liturgico, e nello specifico faccio riferimento ai ministri e ai ministeri. In tanti scritti viene rivalutata, secondo me a ragione, l’importanza della celebrazione come momento ministeriale, come risultato della somma dei contributi di più persone e più situazioni. La visione “sacerdote-centrica” nella quale il celebrante decide tutto e addirittura fa tutto, è decisamente superata o almeno dovrebbe esserlo. Il sacerdote si avvale di collaboratori formati e preparati che possono svolgere adeguatamente il proprio ministero e contribuire all’arricchimento e alla buona riuscita di una celebrazione, e se la celebrazione è, come detto prima, “fonte” a cui si abbevera il popolo di Dio, questo non può che essere un aspetto positivo. Evidentemente la condizione sine qua non è che i collaboratori siano formati e capaci; nei territori, come a livello nazionale, chi desidera formarsi non mancano le possibilità. Una visione pluridirezionale degli aspetti liturgici è quindi vista come momenti di arricchimento reciproco e non come momento di scontro tra idee differenti. Il coordinamento del sacerdote è necessario, ma non lo è di meno l’apporto delle altre figure ministeriali.
La liturgia, come dice Tomatis, è:
“[…] una tra le discipline più pratiche della teologia. L’etimologia stessa del termine lo ricorda: in quanto “azione per il popolo”, essa è nell’ordine dell’azione, più che del discorso […]”[2]
Già questo aspetto rende necessaria una realizzazione con più ministri, se è pratica una persona sola non può fare tutto senza incorrere nel rischio concreto di non farlo in modo adeguato. Sempre Tomatis, nella stessa pubblicazione definisce i ministeri “luci da far brillare” contrapponendoli ai secoli nei quali “solo il sacerdote aveva accesso alle cose sacre”.
L’ambito ministeriale è poi sufficientemente ampio per permettere a tutti di dare un proprio contributo: dal musicista al lettore, dal sagrestano alle persone preposte all’accoglienza (e nel periodo della pandemia ci siamo accorti di quanto possono essere importanti anche servizi di questo tipo), dalla guida dell’assemblea, fino ad arrivare a ministeri che prevedono passaggi più importanti come quello diaconale, dell’accolito o del il ministro straordinario della sacra Comunione.
È ora chiaro che la mia idea di voce liturgica non è intesa nel senso più stretto del termine ma bensì come “contributo, partecipazione alla piena realizzazione della celebrazione liturgica”.
Nel momento in cui ciascun ministro è nelle condizioni di dare il suo miglior apporto alla celebrazione tutto funziona.

3.1 Per una polifonia intonata
In questo senso potremmo parlare, utilizzando un linguaggio più aziendalistico, di organizzazione della celebrazione. Organizzare significa che ciascuno ha il suo ruolo, che ciascuno sa svolgere il suo compito, che ciascuno ha chiaro cosa e quanto deve fare, in quali momenti intervenire. Significa anche che ha una visione complessiva della struttura celebrativa perché la sua “voce” non stoni o non intervenga in modo non adeguato, disturbandone un’altra oppure compromettendo l’equilibrio generale.
L’organizzazione è, purtroppo o per fortuna, qualcosa che non si improvvisa. Purtroppo perché difficilmente la si può gestire solo al momento, per fortuna perché c’è la possibilità per tutti di giocare d’anticipo e quindi arrivare preparati al momento della celebrazione.
Ritengo che molte buone pratiche si possano portare avanti anche solo grazie a una buona organizzazione e, soprattutto, ad una programmazione gestita su tempi medio-lunghi. L’equilibrio, la funzionalità e l’organizzazione di una celebrazione vengono immediatamente percepiti sia dai ministri che dall’assemblea, anche dai fedeli meno attenti.

3.2 Quando la polifonia è stonata
Esattamente come si gode di musica eseguita bene, anche il non addetto ai lavori si accorge di un’entrata fuori tempo oppure stonata e talvolta il ricordo del concerto è legato all’unica stonatura rimasta impressa nella memoria.
Anche quando usciamo stanchi da una celebrazione ci dovremmo chiedere se tutto è stato fatto a dovere… prima, durante e dopo (canto d’ingresso che non finiva più, comunione lunghissima perché a distribuirla c’era solo il sacerdote, cartelli e cartelloni appesi ovunque, bandiere della pace sotto l’altare, dieci minuti di avvisi al termine della celebrazione, coro che ha cantato di tutto o di più, tutti i brani musicali strutturati nella forma canzone, omelia infinita…).
Si potrebbero fare decine e decine di esempi. Il risultato comunque è sempre lo stesso. La gente esce con una sensazione negativa e tante volte questo è l’inizio dell’allontanamento dalla “fonte” e della successiva “morte per sete” del cristiano.
Abbiamo organizzato bene (vari gruppi, vari ministri), abbiamo fatto tutto quanto previsto concentrati per poter agire modificando, se necessario, strada facendo? Abbiamo dei momenti di verifica del giusto funzionamento di tutto quanto previsto?
La regia complessiva ha funzionato? Cosa si potrebbe calibrare diversamente?
Chiare e semplici indicazioni in questo senso si trovano anche nella pubblicazione di Daniele Sabaino[3], per quanto riguarda soprattutto la parte musicale, altre sono contenute nel già citato libro di Tomatis.
3.3 Polifonia irripetibile
Una seconda declinazione della visione polifonica della liturgia potrebbe essere quella legata al luogo, al tempo, al momento dell’anno liturgico e a tutte quelle situazioni che fanno sì che ogni celebrazione sia “unica e non ripetibile”. Questa unicità rende diverse celebrazioni teoricamente uguali (la Veglia di Pasqua è sempre Veglia di Pasqua tutti gli anni) perché basate su stessi testi, ma che possono/devono essere differenti perché:
- la Cattedrale non è la piccola parrocchia;
- il coro a una voce non è una Cappella Musicale con solisti e ottoni a disposizione;
- il battistero è vicino o lontano dall’altare;
- le persone che frequentano un santuario sono sempre differenti e in parrocchia meno;
- celebrare con 30 persone non è come celebrare con 1000;
- c’è un organo a canne e dove è posizionato.
Le discriminanti sono tantissime e quindi le “voci” dei ministeri, ma anche quelle che vedremo in seguito, si dovranno rapportare tra di loro in modo differente perché l’assieme funzioni, esattamente come, sempre facendo esempi musicali, lo stesso brano non viene eseguito nello stesso modo in un teatro con acustica secca e in una chiesa grande con molto riverbero. Spetterà al direttore (nell’esempio musicale) e a chi cura la regia celebrativa calibrare i vari aspetti perché tutto scorra nel modo migliore.
Aspetti non secondari sono anche quelli sociali e legati al territorio in cui si svolge la celebrazione. Ogni paese ha tematiche che sente maggiormente, ogni luogo ha un suo vissuto che non può essere dimenticato anche quando si è a Messa. Sono da evitare? Oppure sono da utilizzare per il bene della comunità? Come valorizzo i fedeli e il loro rapporto con Dio attraverso il loro vissuto, il territorio in cui abitano, la situazione sociale delle famiglie o dei singoli, gli aspetti culturali?
Da insegnante sono solito pensare anche all’aspetto educativo della liturgia e non disdegno di tenere decisamente alta l’asticella delle proposte (nel limite del possibile) e delle sollecitazioni date al sacerdote. Il fatto di lavorare in un Santuario permette anche di partecipare attivamente, spesso, a celebrazioni con tempi maggiormente dilatati e aspetti diversi rispetto a quelli di una chiesa parrocchiale.

3.4 Polifonia dei sensi
Anche le forme artistiche sono un’ulteriore “voce” che ci parla. Già prima di entrare in chiesa la struttura architettonica e l’ambiente attorno alla chiesa ci possono invitare alla preghiera in modo differente. Quando sostiamo all’interno tutte le arti presenti ci si presentano contemporaneamente e ci aiutano ad entrare nel Mistero: architettura, scultura, pittura. È evidente che mettersi a pregare in una chiesetta romanica predispone diversamente che non all’interno di una cattedrale. Questa polifonia “visiva” che si integra (“polifonia” nella “polifonia”…una via pulchritudinis a tutti gli effetti) alla polifonia “uditiva” del canto e della parola, a quella “olfattiva” degli incensi e dei profumi”, a quella “tattile” toccando il banco in legno (gustando del lavoro di un artigiano che lo ha costruito magari secoli fa) e a quella “gustativa” delle particole consacrate e, quando possibile, del vino.
L’utilizzo delle arti per coinvolgere i sensi e la mente dell’uomo è storia ormai che dura da millenni: dai dipinti sulle pareti dei primi luoghi di culto cristiani, alle grandi cattedrali gotiche, passando anche attraverso i cicli pittorici sulla vita dei santi e sulla vita di Cristo; è sufficiente pensare alla bellezza pittorica contenuta nella Cappella Sistina. Non avrà una sua comunicazione sonora (anche se per certi aspetti un “suono” proprio lo ha), ma il messaggio ci arriva chiaro e forte. Anche in questo caso potremmo non capire tutto, ma veniamo comunque toccati da quanto vediamo.
Si è in questo caso quasi accerchiati, con una forma comunicativa simile a quella stereofonica pensata dai Gabrieli, con i cori battenti, nella Basilica di San Marco a Venezia. Nelle Chiese ogni pietra, ogni altare, ogni fiore messo per valorizzare un altare oppure ogni statua sacra, ogni suppellettile (anche l’arredamento è parte delle arti che concorrono alla “polifonia visiva”) concorre al discorso complessivo.
Anche l’abbigliamento dei ministri, per tornare in parte ai ministeri, è arte da gustare con gli occhi. Penso sia capitato a chiunque di assistere almeno una volta a una celebrazione pensando: “non aveva nient’altro da indossare quel sacerdote?” oppure “il coro doveva indossare l’abito corale di quel coloraccio?”. Può sembrare esagerato, ma nella memoria queste cose restano e talvolta anche più degli aspetti belli e positivi gustati e partecipati durante la liturgia.
Anche le candele di cera vera aiutano, tanto per fare un esempio, visivamente e olfattivamente.
Il materiale con il quale sono prodotte le particole toccano l’aspetto del gusto e quello visivo, tanto che la stessa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nell’istruzione “Redemptionis sacramentum” del 2004 (che porta come sottotitolo “su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucarestia”) sottolinea come deve essere preparato il “pane utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio” al numero 48, mentre altrove si richiama alla necessità che il cero pasquale sia effettivamente di cera d’api.
Nella regia celebrativa anche l’ambiente nel quale si celebra è elemento importante da considerare, proprio perché nulla stoni se rapportato a qualunque altro elemento della liturgia. Considerazione in funzione di quanto fa da cornice visiva alla celebrazione. Tantissimi sono gli aspetti legati a necessità di ordine pratico – dove passa la processione al termine della celebrazione del Giovedì Santo, dove dispongo i ministri straordinari della Santa Comunione, dove si posiziona il coro e se riesce a svolgere il suo ruolo di guida dell’assemblea, dove posiziono l’animatore dell’assemblea – che, però, si trasformano subito in aspetti liturgici e altrettanto velocemente hanno risvolti pastorali importantissimi. L’assemblea non parteciperà mai se non è messa nelle condizioni di farlo, non canterà mai se nessuno la stimola o la guida.
Le forme architettoniche ci ricordano che gli ambienti sono anche “direzionali e direzionati” e quindi il dialogo tra elementi ha bisogno di reciprocità e di attenzioni particolari. Tutte le Chiese, soprattutto quelle più antiche, sono costruite perché vi siano chiare percezioni anche di carattere spaziale da parte dei frequentatori sia in ambito liturgico che più in generale. Citando nuovamente la processione al termine della celebrazione del Giovedì Santo non è la stessa cosa se il Corpo di Cristo viene riposto in una cripta piuttosto che in un altare laterale; cambia se il coro canta il “Pange lingua” accompagnando la gente in processione piuttosto che rimanendo fermo; cambia se il suono del coro si sente arrivare da una sola direzione piuttosto che diffuso da diversi altoparlanti sparsi sui vari lati della chiesa; cambia se il suono viene amplificato o può arrivare senza l’utilizzo di microfoni. Anche questi aspetti vanno calcolati perché la polifonia funzioni.
Perché quindi, non lavorare per valorizzare quanto l’architettura e l’arte in generale ha dato nel corso dei secoli al sacro e al liturgico? Perché non sfruttare parti della stessa chiesa, se possibile, per caratterizzare i vari momenti dell’anno liturgico, magari anche in contesti extraliturgici attraverso la costruzione di veri e propri percorsi di dialogo tra le forme artistiche?
Anche l’utilizzo di simboli potrebbe aiutare a guidare i fedeli nella piena partecipazione alla liturgia e a vivere con consapevolezza l’anno liturgico.
Un esempio: nella cattedrale di Bergamo sono apparsi tre piccoli gufi in legno durante il periodo d’avvento che ben si inserivano nella struttura complessiva e che hanno accompagnato i partecipanti alle celebrazioni fino al Natale. Il parroco ha spiegato il significato biblico del gufo (aspetto educativo della liturgia), dopo che le persone entrate, me compreso, avevano notato qualcosa di nuovo in chiesa (aspetto visivo) inserendo poi il tutto nell’omelia (aspetto liturgico e pastorale) e richiamandone una parte per ogni domenica (percezione del tempo nell’anno liturgico).

3.5 Polifonia musicale
Si arriva infine alla parte più vicina al nostro sentire, quella musicale. Mons. Giuseppe Liberto nel descrivere il suo lavoro nella cattedrale di Monreale dice:
“[…] i criteri adottati puntavano lo sguardo riflessivo e operativo su tre piste: pertinenza rituale, qualità artistica, praticabilità musicale, cercando così di integrare e armonizzare Mistero, bellezza e celebrazione. Del resto, in quella Cattedrale, l’arte architettonica e quella musiva sempre insegnano in modo significativo come operare liturgica bellezza! […]”[4]
Questi criteri sono la sintesi di molti aspetti tra di loro correlati e che costituiscono la “polifonia sonora” della celebrazione includendo tutto quanto fa riferimento al suono, partendo dal canto, per passare attraverso la musica strumentale e fino ad arrivare alle parti lette o pronunciate a braccio come nel caso dell’omelia. Ciascun momento con una caratterizzazione sonora differente e funzionale allo stesso e alla sua collocazione all’interno della struttura liturgica, per creare ritmo, per valorizzare diversamente e per rendere ogni passaggio il più funzionale possibile al fine ultimo della liturgia. Sempre del rapporto tra bellezza e musica, e di quello tra preghiera e musica parla lo stesso autore negli ultimi due capitoli di “Suggestioni in contrappunto”, volando decisamente alto dal punto di vista del linguaggio utilizzato, ma garantendo un altrettanto elevato livello di proposta di meditazione e di approfondimento sia tecnico che spirituale[5]. In questo caso anche il titolo del libro torna a confermare l’idea di una proposta polifonica.
Gli elementi che contribuiscono alla parte sonora sono quindi vari, gestiti da ministri differenti, con finalità specifiche: il parlato è diverso dalla cantillazione, il suono dell’organo o degli strumenti ammessi al culto ha caratteristiche diverse dalla polifonia proposta da un coro.
Attori diversi che operano con modalità differenti ma che utilizzano anche forme differenti: una struttura responsoriale è diversa dalla forma innica, una litania ha caratteristiche differenti dalla forma canzone con strofa e ritornello.
Le stesse infine vengono utilizzate in momenti differenti della celebrazione garantendo un’alternanza di proposte che sono allo stesso momento funzionali a quella parte del rito nella quale vengono eseguite o dette, ma anche alla differenziazione dei vari momenti celebrativi, creando così anche una ulteriore “polifonia di momenti della celebrazione”.
Trattare in forma approfondita tutti questi aspetti richiederebbe molto più spazio, ma alcuni accenni possono essere sicuramente fatti.
La gestione complessiva della struttura celebrativa e in modo specifico della parte legata al suono non deve spaventare ma stimolare all’approfondimento e alla conoscenza. Anche il liturgista Domenico Messina definisce, nell’introduzione del suo ultimo lavoro, interessantissimo per profondità e apertura di pensiero, la complessità come una risorsa, come un percorso, come una sfida[6]. Gli fa eco Andrea Dall’asta che, con particolare riferimento alle arti visive e alla pittura, parla dell’arte liturgica come “sfida per la chiesa di oggi”[7].
L’Ordinamento Generale del Messale Romano dà chiarissime indicazioni su funzioni, attori e forme di ciascun intervento musicale all’interno della liturgia, mettendoli in ordine di preferenza. Nella parte intitolata “Le singole parti della Messa” precisa chi, come e quando per ciascun passaggio dei riti di introduzione, della Liturgia della Parola, della Liturgia Eucaristica e dei Riti di conclusione. La visione polifonica sta nel fatto che ad ogni momento corrisponde una proposta fatta da un attore o da una pluralità di attori ogni volta differente. Si rimanda al testo completo ma, giusto per capire si propone l’esempio di quanto indicato per il canto d’ingresso:
47. Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto d’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri.
48. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l’antifona con il suo salmo, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all’azione sacra, al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale. Se all’introito non ha luogo il canto, l’antifona proposta dal Messale romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o altrimenti dallo stesso sacerdote che può anche adattarla a modo di monizione iniziale.
Spetterà poi a chi deve gestire quella singola e specifica celebrazione quale “voce” fare risuonare, quale testo utilizzare, cosa si inserisce meglio nel contesto e quale la soluzione migliore per raggiungere la finalità della liturgia indicata da “Sacrosanctum concilium” al punto 2, calandola nelle necessità e nelle situazioni locali, pastorali e particolari:
La liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell’eucaristia, «si attua l’opera della nostra redenzione», contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati. In tal modo la liturgia, mentre ogni giorno edifica quelli che sono nella Chiesa per farne un tempio santo nel Signore, un’abitazione di Dio nello Spirito, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo, nello stesso tempo e in modo mirabile fortifica le loro energie perché possano predicare il Cristo. Così a coloro che sono fuori essa mostra la Chiesa, come vessillo innalzato di fronte alle nazioni, sotto il quale i figli di Dio dispersi possano raccogliersi, finché ci sia un solo ovile e un solo pastore.
Utilizzare un coro oppure una voce solista in un determinato momento garantirà un effetto differente, ma questa scelta dovrà tenere conto anche di quanto avviene negli altri momenti per garantire un giusto equilibrio e mantenere i giusti rapporti tra i diversi momenti della liturgia. La visione polifonica della parte musicale sta proprio nel fatto di utilizzare fonti sonore diverse (solista, coro, assemblea, salmista) con caratteristiche diverse, in momenti diversi ma organizzandone l’intervento perché la percezione sia quella della varietà nell’unità, esattamente come accade all’interno di una ben strutturata composizione a più voci.
Altro approccio a più voci di carattere musicale è quello dato, come accennato sopra, dall’alternanza delle forme musicali. Ogni momento necessita ed è caratterizzato da una sua forma (che spesso vincola anche l’utilizzo di un esecutore – coro o soli, … – piuttosto che altro) per meglio valorizzarne il messaggio e la sua funzione all’interno della celebrazione. Valentino Donella prende in prestito da uno scritto di Valerio Boni del 1595 una parte della frase “in somma ogni composizione deve hauer, (& ha chi la sa trouare) l’aria sua proportionata”[8] per intitolare una pubblicazione dedicata alla composizione musicale liturgica[9]. In questo libro passa in rassegna ogni momento liturgico nel quale entra in gioco la musica, indicando quali sono le forme musicali che nella storia e nella liturgia attuale sono state utilizzate e sono le più funzionali, fornendo parecchi esempi di autori famosi, antichi alternati ad altri composti dallo stesso Donella. Tralasciando per questioni di tempo la parte storica, che comunque sarebbe molto interessante affrontar, viene posta l’attenzione ai concetti di genere e forma, specificando che nel primo si può parlare di:
“Litania, Acclamazione, Proclamazione, Salmodia, Innodia, Recitativo solistico, Recitativo corale, Mottetto, Canto processionale, […] mentre al secondo si fa riferimento quando concretamente il genere viene espresso e fatto vivere nelle note il significato dei riti”.
Ne deriva che ciascun momento rituale ha un suo genere e di conseguenza una sua forma (quindi una polifonia di forme) e che nessuno di questi trova concreta realizzazione se non in quella. Rari sono i casi in cui con forme differenti si possono ottenere gli stessi effetti e risultati liturgici. Se il testo dell’Agnus Dei, per esempio, è strutturato come litania e quindi come dialogo stretto tra proposta e risposta sempre uguale, la sua forma musicale sarà di conseguenza e la scelta degli attori musicali che la dovranno realizzare sarà vincolata alla struttura. Una litania interamente cantata da un solista sarebbe “non realistica”, non avrebbe senso. Se il testo previsto in quel passaggio liturgico ha quelle caratteristiche significa quindi che necessita di una adeguata struttura musicale che non lo può smentire. La triplice circolarità di cui parla Crispino Valenziano[10] a proposito del rito deriva e ha fondamento anche in questi aspetti “formali”. La forma per questi aspetti diventa veramente sostanza. Sarebbe possibile proporre un’acclamazione al Vangelo in forma di canzone? Funzionerebbe come momento di accrescimento di tensione che porta al culmine della Liturgia della Parola?
In questa polifonia entra in gioco anche il canto popolare come espressione di partecipazione più tradizionale del popolo di Dio alla parte musicale (anche se nei documenti si predilige la partecipazione dell’assemblea nelle risposte e nell’ordinario). In ogni caso anche qui il risultato sonoro è ancora diverso, garantendo ulteriore varietà alle voci presenti nel rito.
Un accenno deve essere fatto alle parti cantillate dal celebrante, agli interventi solistici, come pure ai momenti parlati.
In questi ultimi sarà diversa la proposta di un lettore durante la prima lettura rispetto a quella di un salmo, le preghiere dei fedeli non saranno lette allo stesso modo del versetto alleluiatico.
Anche il celebrante non reciterà la preghiera eucaristica come il saluto finale o come se si trattasse di un’omelia. Per ogni momento, anche in questo caso, voci e vocalità, modi di porgere il suono differenti per valorizzarne i differenti messaggi e la diversa funzione all’interno della struttura celebrativa. Nel parlato entrano in gioco la natura dei testi, la voce, il “passo” della modalità di lettura, le emozioni (anche nel canto) del lettore, i modi di lettura e tanto altro.
Nella polifonia musicale importanza fondamentale hanno anche i momenti di pausa che creano distensione, alleggeriscono ove necessario, e preparano il nuovo ingresso di un’altra voce. Nella liturgia esiste un gesto musicale altrettanto importante che purtroppo sta lentamente scomparendo (qualcuno dice perché “fa paura”): il silenzio.
Silenzio sia come semplice tacere fisiologico, ma anche mezzo per gustare la pienezza dei riti, la densità e la profondità della vita e contemporaneamente dell’ineffabile. Quanto manca il silenzio nelle nostre celebrazioni. Anche in questo caso Mons. Giuseppe Liberto trova le parole adatte per esprimere questa necessità di avere momenti di “non suono” perché si possa creare un dialogo tra Dio e il popolo:
“[…] qui la verità di Dio si fa luce, e la luce diventa splendore del Verbo, e il Verbo si trasfigura in pienezza di canto […]”[11]
Quanto richiesto (“si deve osservare il sacro silenzio”) da OGMR 45 viene sottolineato anche da Angelo Lameri che spiega:
“Tacere non è la stessa cosa che fare silenzio, perché il silenzio liturgico non è solo assenza di parole né vuoto dello spirito che favorisce l’evasione e che si risolve in un vuoto di celebrazione, ma è autentico valore religioso. Il silenzio infatti lascia spazio al mistero[…]”[12]
e ricorda che anche San Giovanni Paolo II diceva che:
“In una società che vive in maniera sempre più frenetica, spesso stordita dai rumori e dispersa nell’effimero, riscoprire il valore del silenzio è vitale”[13].
Quindi, come in un grande affresco musicale, una “partitura liturgica”[14]: tante voci, tanti strumenti, tutti diversi, che si alternano, dialogano, si uniscono, si contrappongono, si sostengono vicendevolmente ma non si annullano; tutti concorrono in forme diverse e in momenti diversi, tra di loro in estrema armonia in una “via pulchritudinis” costruita per la Sua maggior gloria e per la nostra salvezza, non dimentichi del “sacro silenzio”.
NOTE
[1] Daniele Sabaino, “Animazione e regia musicale delle celebrazioni”, CLV Edizioni Liturgiche, Roma, 2008
[2] Paolo Tomatis, “I ministeri liturgici oggi”, Elledici, Torino, 2017
[3] Daniele Sabaino, “Animazione e regia musicale delle celebrazioni”, CLV Edizioni Liturgiche, Roma, 2008
[4] Giuseppe Liberto, “Parola fatta canto – riflessioni su musica e liturgia”, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2008
[5] Giuseppe Liberto, “Suggestioni in contrappunto”, LEV, Città del Vaticano, 2014
[6] Domenico Messina-Valeria Trapani, “Per ritus, i linguaggi rituali alla prova della complessità”, Centro Liturgico Vincenziano, Roma, 2022
[7] a cura di Emanuela Fogliadini: “Bellezza e arte sacra – proposte di lettura”, Emi, Bologna, 2016
[8] Valerio Bona, “Avertimenti”, Brescia, 1595
[9] Valentino Donella, “L’aria sua proportionata”, Edizioni Carrara, Bergamo, 2001
[10] Crispino Valenziano, “L’anello della sposa”, Edizioni Liturgiche, Roma, 2005
[11] Giuseppe Liberto, “Cantare il mistero – musica santa per la liturgia”, Edizioni Feeria – Comunità San Leolino, Panzano in Chianti, 2004
[12] Angelo Lameri, “Segni e simboli, riti e misteri – la dimensione comunicativa della liturgia”, Edizioni Paoline, Milano, 2012
[13] Giovanni Paolo II, “Lettera apostolica Spiritus et sponsa”, LEV Città del Vaticano, 2003
[14] Centro pastorale liturgica francese, “Ars celebrandi”, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2003