La voce liturgica tra prassi e tradizione

Massimo Palombella


In una sorta di sentire comune, in Italia, quando pensiamo al suono della “musica sacra” immediatamente ci vengono in mente le Celebrazioni Papali con la Cappella Musicale Pontificia “Sistina”. Questa storica istituzione, almeno da quando abbiamo potuto ascoltarla attraverso le dirette prima radiofoniche e poi televisive, ha sempre prodotto – ad eccezione di una breve parentesi – un suono possente, marcatamente operistico[1].

Sempre in un sentire comune, al citato suono delle Celebrazioni Papali si è contrapposto quello dei cori Inglesi, suono raffinato, leggero, incredibilmente intonato, e molto lontano, se non antitetico, a quello operistico della Cappella Sistina[2].

Il modello estetico con il quale, forse in modo inconsapevole, la Cappella Sistina si è storicamente identificata, e oggi, in parte, nuovamente si identifica, è quello tardoromantico. In questo ambito, il suono prodotto dal coro deve essere in grado di competere con una grande e ricca orchestra ed è per questo che i coristi (Soprani, Contralti, Tenori e Bassi) tendenzialmente cantano “in voce”. Ma, lo scorso secolo, il Novecento, ha, fino ad un certo punto, visto in Italia lo stesso suono tardoromantico presente nei cori liturgici in qualche modo “istituzionali”, come la Cappella Musicale del Duomo di Milano sotto la direzione di Luciano Migliavacca. Analogamente alla Cappella Sistina, anche questa storica istituzione aveva cantori adulti (tenori e bassi) che cantavano “in voce”, in stile operistico, e i ragazzi divisi in soprani e contralti, come la sezione femminile di un coro di un teatro lirico[3].

In questo contesto, le citate Cappelle Musicali, affrontavano ogni segmento della storia della musica (Gregoriano, Polifonia del XV secolo, polifonia del XVI secolo, Barocco…) con la stessa estetica tardoromantica come se dovessero competere con una grande orchestra[4], e giustificando tale vocalità, almeno per quello che compete la Cappella Sistina, come un dato storico – già presente ai tempi di Giovanni Pierluigi da Palestrina – originato dalla necessità di riempire di suono le volte della grande Basilica di San Pietro[5].

Oggi, recependo gli studi semiologici e semiografici che ci hanno condotto, oltre ogni ideologia, alla ricerca di un suono “storicamente informato”, possiamo affermare che una precisa grafia musicale sottende, ed insieme richiede, una specifica vocalità.

Eseguire quindi il Canto Gregoriano, la polifonia del XV e XVI secolo, il barocco, la musica destinata alla liturgia del periodo romantico… Oggi, nella logica di una doverosa pertinenza estetica, ci conduce alla determinazione di un suono diverso da quello praticato alle Celebrazioni Papali o, in passato, nel Duomo di Milano.

Non è una questione di banale imitazione del suono dei cori inglesi, ma dell’identificazione di una vocalità atta a tradurre in suono una precisa grafia musicale con tutto quello che la stessa grafia musicale sottende[6].

In questo non facile contesto dove, purtroppo, tante accezioni “extra teoretiche” intervengono generando spesso una non lucida e non libera comprensione, occorre anche non cadere nell’ingenua tentazione di convincersi che, in una grande chiesa, se il coro non canta “in voce” non si sente, in quanto, specificatamente in termini tecnici di vocalità, un coro è davvero sonoro se genera armonici e se proietta il suono, non se urla.

La sfida del Concilio Vaticano II circa la “Musica Sacra” si può sinteticamente identificare nella necessaria ricerca di una pertinenza celebrativa del segno musica all’interno della Liturgia che questo Concilio ci ha consegnato[7], nel doveroso dialogo con la modernità, e, proprio per questo, nell’intelligente recezione di quanto, ad oggi, gli studi scientifici circa il Canto Gregoriano e la Polifonia rinascimentale, il barocco, la musica romantica… Ci hanno comunicato, per trovare vie che traducano il “segno grafico” in “segno sonoro” all’interno della Celebrazione Liturgica. Il grande patrimonio culturale della Chiesa va dunque ricollocato nella Liturgia con “pertinenza celebrativa” ed insieme occorre lasciarsi sanamente sfidare dalla modernità, dal cammino che la musica ha fatto fino ad oggi e di come queste conquiste, questo patrimonio culturale può essere fruito nella Liturgia[8].

In sostanza, il Concilio Vaticano II chiede di essere i custodi della tradizione ma non come si farebbe in un museo. La “tradizione” va ricollocata “oggi”, resa viva “oggi” all’interno di una Liturgia “viva”, densa di ricordi proprio per vivere con pienezza il momento attuale. L’intelligente dialogo con la modernità dovrebbe allora condurre ad una grande valorizzazione del patrimonio musicale della Chiesa ricompreso con l’intelligenza e la raffinatezza di quanto oggi gli studi scientifici ci hanno comunicato.

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NOTE

[1] https://psallite.bandcamp.com/track/esempio-1-palombella
Missa de angelis, Gloria. Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, direttore Domenico Bartolucci: Missa de angelis, GLORIA.

[2]

TU ES PETRUS, Choir of Westminster Abbey, direttore Simon Preston

Giovanni Pierluigi da Palestrina, TU ES PETRUS, Choir of Westminster Abbey, direttore Simon Preston. È interessante osservare come anche all’interno della cultura vocale inglese si può trovare un approccio (in ambito cattolico) che, in qualche modo guarda al “suono continentale” delle Celebrazioni Papali cercandone una sorta di emulazione

Giovanni Pierluigi da Palestrina: Tu es Petrus a 6 – Westminster Cathedral Choir, dir. Martin Baker

[3]

Luciano Migliavacca, FESTIVA CANTICA, Cappella Musicale della Cattedrale di Milano, direttore Luciano Migliavacca.

Tale vocalità, tipica di quel momento storico, non ha però impedito alla Cappella Musicale del Duomo di Milano nel 1975, con la comprensione estetica di qual puntuale momento, di incidere per Archiv

[4] Alcuni esempi di ascolto tratti dalla rete e registrazioni in genere:

https://psallite.bandcamp.com/track/esempio-2-palombella

VICTIMAE PASCHALI LAUDES. Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, direttore Domenico Bartolucci. Disco “Concierto en el Vaticano”;

https://psallite.bandcamp.com/track/esempio-3-palombella

EXALTABO TE di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, direttore Domenico Bartolucci. Disco “The works of Palestrina”

[5] È interessante osservare che al tempo di Palestrina le Celebrazioni del Papa non si svolgevano nella Basilica di San Pietro ma usualmente in Cappella Sistina (Cf. Dykmans M., L’ oeuvre de Patrizi Piccolomini ou le cérémonial papal de la première Renaissance = Studi e Testi 293-294 [Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1980-1982], 2 vol), anche perché l’attuale Basilica Vaticana non esisteva essendo in costruzione. Infatti, il cantiere per la costruzione della nuova Basilica fu iniziato nel 1505 e il Bramante, per realizzare i quattro possenti pilasti uniti da quattro archi destinati a sorreggere la grande cupola, fece demolire quasi tutta la parte presbiterale dell’antica e veneranda basilica. Nel 1611 il Papa diede per la prima volta la benedizione dalla nuova Loggia, nel 1616 fu terminato l’Altare della Confessione e il 18 novembre del 1626 vi fu la consacrazione della Basilica. Il cantare in Cappella Sistina obbligava (e dovrebbe ancora oggi obbligare) necessariamente alla ricerca di una sonorità di più intima percezione. La grande emotività di una massa sonora che canta “in voce” per riempire di suono le volte di una Basilica è sostituita dalla raffinata percezione del testo, dalla resa emotiva ed espressiva della parola attraverso il suono, dalle relazioni dialettiche emergenti dal linguaggio contrappuntistico inteso come componente intellettuale mossa dagli affetti.

[6] È quindi importante conoscere gli strumenti che permettono di decifrare una precisa grafia per produrne un suono pertinente, adeguato e, soprattutto, rispondente ad un processo interpretativo ed esegetico di un testo. Il tutto però con l’equilibrio e la sapienza di chi considera la musica un’arte da fruirsi con l’udito e non con gli occhi. In sostanza, quando lo studio semiologico e semiografico porta, curiosamente, al peggioramento del segno sonoro rendendolo non più “credibile” e talvolta “anti musicale”, forse è bene interrogarsi se la metodologia applicata nel processo decodificatore sia corretta. È fondamentale mettere in questione la metodologia, ma non gli strumenti scientifici che rimangono oggi l’unica strada seria per accedere alla musica che ci ha preceduto con un principio di credibilità.

[7] Per “pertinenza celebrativa” si intende quella caratteristica del segno sonoro che è congeniale a quel preciso rito, non lo usa per affermare se stessa ma contribuisce alla piena espressione del rito stesso.

[8] Ovviamente questo processo è attuato in modalità differenti in relazione alle proprie possibilità celebrative. Un conto è una Celebrazione Papale, una Cattedrale, una Basilica e un altro conto è una parrocchia di periferia con esigui mezzi. Questo storicamente è sempre avvenuto, anche nell’attuazione della Riforma Liturgica del Concio di Trento. Ciò che noi conosciamo del passato è generalmente l’esemplarità dimenticando forse che esistevano – ed esistono – tante realtà che hanno cercato – e cercano – di fare qualcosa con i poveri mezzi che hanno a disposizione.


Autore

  • Mons. Massimo Palombella, Sacerdote Salesiano, ha lavorato nella pastorale universitaria della Diocesi di Roma (1995-2010) come Maestro del Coro Interuniversitario di Roma. È stato docente alla Pontificia Università Salesiana di Teologia Sacramentaria, Escatologia e Musica e Liturgia, e all’Università “La Sapienza” di Roma di Linguaggi della Musica. Al Conservatorio “G. Cantelli” di Novara - nel biennio di specializzazione in Musica Sacra - ha insegnato Composizione per la liturgia, Polifonia romana e Legislazione della musica sacra. Ha diretto la rivista “Armonia di Voci” della ElleDiCi (1998-2010). Dal 2010 al 2019 è stato Maestro Direttore della Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, nominato da Papa Benedetto XVI e confermato nel 2015 da Papa Francesco. Con questa formazione corale dal 2013 al 2019, ha inciso in esclusiva per Deutsche Grammophon. Dal 15 settembre 2021 è Maestro Direttore della Cappella Musicale del Duomo di Milano.

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Mons. Massimo Palombella, Sacerdote Salesiano, ha lavorato nella pastorale universitaria della Diocesi di Roma (1995-2010) come Maestro del Coro Interuniversitario di Roma. È stato docente alla Pontificia Università Salesiana di Teologia Sacramentaria, Escatologia e Musica e Liturgia, e all’Università “La Sapienza” di Roma di Linguaggi della Musica. Al Conservatorio “G. Cantelli” di Novara - nel biennio di specializzazione in Musica Sacra - ha insegnato Composizione per la liturgia, Polifonia romana e Legislazione della musica sacra. Ha diretto la rivista “Armonia di Voci” della ElleDiCi (1998-2010). Dal 2010 al 2019 è stato Maestro Direttore della Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, nominato da Papa Benedetto XVI e confermato nel 2015 da Papa Francesco. Con questa formazione corale dal 2013 al 2019, ha inciso in esclusiva per Deutsche Grammophon. Dal 15 settembre 2021 è Maestro Direttore della Cappella Musicale del Duomo di Milano.