La voce nel Messale Romano

Antonio Parisi


1. Premessa

La Presentazione e l’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR) contengono dei numeri che sottolineano e consigliano il modo corretto di recitare alcuni testi del Messale. Sono consigli che aiutano a rendere la voce del celebrante e dei vari ministri adatta e adeguata al testo che va detto o proclamato. Purtroppo a volte ci sono celebranti che usano un tono di voce monotono e tutto uguale sia che si tratti di un avviso o che si tratti di un’orazione. Tra un’enfasi teatrale e un mormorio inespressivo, c’è una vasta gamma di toni di voce che rendono il parlato piacevole e rispettoso dei vari testi.

La voce è un importante mezzo di comunicazione e manifesta le nostre emozioni che vengono espresse attraverso l’intonazione, l’intensità e il ritmo della stessa voce. Quando noi parliamo, moduliamo la nostra voce, per esempio riguardo al volume, e soprattutto usiamo un tono di voce che esprime il messaggio che stiamo veicolando.

Il tono di voce è fondamentale nella comunicazione interpersonale perché trasmette le emozioni che proviamo nella lettura e le conseguenti risposte emozionali che ne conseguono.

Nella liturgia allora dobbiamo parlare di un tono di voce adeguato, coerente, appropriato, conveniente.

Richiamo quei numeri dell’OGMR che si riferiscono al modo di dire i vari testi della Terza edizione del Messale Romano (2020).

2. Dalla Presentazione del Messale Romano

«[…] Poiché la liturgia è tutta permeata dalla parola di Dio, bisogna che qualsiasi altra parola sia in armonia con essa, in primo luogo l’omelia, ma anche i canti e le monizioni; che nessun’altra lettura venga a sostituire la parola biblica, e che le parole degli uomini siano al servizio della parola di Dio, senza oscurarla». (Presentazione, n.8, pag IX)

Fondamentale questo consiglio per i vari ministri: il punto di partenza della liturgia è la parola di Dio, perciò le conseguenze riguardano tutte le altre parole che usiamo – omelia, canti, monizioni, avvisi – sono parole al servizio della parola di Dio. Le parole umane non devono oscurare la parola di Dio.

Nella Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio Vaticano II si afferma: “Il Signore è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura” (Sacrosanctum Concilium, n.7).

Noi prestiamo la voce, ma la Parola è quella di Dio; la voce umana deve nascondersi per mettere in prima fila la parola di Dio. Conseguenza anche per le parole dei canti; non ogni testo può avere accesso nella liturgia se non parte dalla parola di Dio.

[…] I diversi linguaggi che sostengono l’arte del celebrare non costituiscono dunque un’aggiunta ornamentale estrinseca, in vista di una maggiore solennità, ma appartengono alla forma sacramentale propria del mistero eucaristico.” (Presentazione, n.9, pag X)

Anche questa esplicitazione è molto importante per il nostro servizio: usiamo i vari linguaggi non come un ornamento esteriore, né per dare solennità ai vari riti, ma essi appartengono alla forma sacramentale del mistero eucaristico. Il tono del nostro parlare fa parte della forma sacramentale e non è un semplice parlare.

Il catechismo del Concilio di Trento così scriveva: “Ogni sacramento consiste di due cose, la materia, che si chiama elemento, e la forma, che comunemente si chiama parola”.

Forse dobbiamo rinverdire le categorie di materia e forma del sacramento, di san Tommaso D’Aquino. La materia per il sacramento dell’Eucaristia sono le specie del pane e del vino, la forma sono le parole che vengono pronunciate alla consacrazione.

Se le parole non vengono pronunciate insieme alla materia e su di essa, il sacramento non si compie. Allora comprendete bene la grande importanza delle parole che noi usiamo durante la celebrazione e del modo corretto e adeguato con cui le dovremmo pronunciare. Se i linguaggi appartengono alla forma sacramentale, ciò significa che hanno una valenza fondamentale all’interno dei vari riti. Tirate voi animatori musicali, le conseguenze di simili affermazioni, nel realizzare una scaletta di canti pertinenti alla celebrazione.

3. Dall’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR)

Questi adattamenti, che per lo più consistono nella scelta di alcuni riti o testi, cioè di canti, letture, orazioni, monizioni e gesti che siano più rispondenti alle necessità, alla preparazione e alla capacità di comprensione dei partecipanti, spettano al sacerdote celebrante. Tuttavia, il sacerdote ricordi di essere il servitore della sacra Liturgia e che nella celebrazione della Messa a lui non è consentito aggiungere, togliere o mutare nulla a proprio piacimento. (OGMR 24, pag. XXI)

Gli adattamenti riguardano la scelta di canti, letture, orazioni, monizioni e gesti; praticamente sono i vari linguaggi verbali e non verbali che fanno e realizzano il rito. Tali interventi spettano al sacerdote, ma purtroppo nella maggior parte dei casi, tali scelte vengono affidate a volte a casaccio e altre volte a persone con poca preparazione. Neppure il sacerdote può agire come un dittatore, scegliendo e realizzando da solo i vari interventi; occorre lavorare in gruppo per avere una celebrazione partecipata e corretta.

La natura delle parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione.
Perciò, mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l’organo e altri strumenti musicali devono tacere. (OGMR 32, pag. XXII)

Ecco un’altra affermazione specifica: le parti presidenziali vanno dette con voce alta e chiara. E qui abbiamo tutto un campionario di presidenti della celebrazione che si preoccupano e si occupano con scarsa attenzione a queste questioni. Quando si parla in assemblea la voce deve raggiungere l’uditorio in modo chiaro e udibile. L’aiuto dell’impianto di amplificazione oggi è indispensabile; ma come lo si realizza? Con quali competenze si fanno delle scelte adeguate? Si va da impianti sofisticati, pochi in verità, ad impianti acustici di scarso livello e rendimento. E sottolineo che il tecnico per l’amplificazione, non è l’elettricista del negozietto accanto alla chiesa, ma occorre personale preparato per affrontare le varie situazioni acustiche.

Passiamo poi ad analizzare il modo di parlare in pubblico; c’è il presidente che corre e non rispetta per niente i segni di interpunzione; un altro che si mangia tutte le parole finali; un altro che ha un tono di voce monocorde; un altro ancora che ha un ritmo lento che fa innervosire l’assemblea. Il presidente dovrebbe con umiltà, imparare le tecniche del parlare in pubblico, lo richiede la funzione che svolge e l’importanza del messaggio che annuncia.

Ecco alcuni argomenti che vanno conosciuti e approfonditi: il ritmo, il volume, l’intonazione, il colore, l’articolazione di una voce.

Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario», grande rilievo assumono i dialoghi tra il sacerdote e i fedeli riuniti e le acclamazioni. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono e realizzano la comunione tra il sacerdote e il popolo. (OGMR 34, pag. XXII)

Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa, per esprimere e ravvivare l’azione di tutta la comunità. (OGMR 35, pag. XXII)

Mi ha sempre colpito una frase di Joseph Gelineau che affermava: i dialoghi, le risposte, le acclamazioni, rappresentano la spina dorsale della celebrazione.

Giustamente questo numero 34 dichiara che tali interventi non sono segni esteriori, ma favoriscono e realizzano la comunione tra il sacerdote e il popolo. Quindi sono il punto di partenza per una partecipazione piena, attiva, consapevole. Quindi la comunione in primis, si realizza con questi interventi e dopo si possono insegnare altri canti e altre melodie. Invece il percorso di questi 60 anni di riforma liturgica del Vaticano II ha tenuto presente quasi sempre, solo i canti processionali che accompagnano un rito, o canti che non hanno alcuna pertinenza rituale.

Una risposta, un’acclamazione fanno parte del rito e vanno cantati e realizzati prima di tutti gli altri canti.

3.1 Il modo di proclamare i vari testi

Nei testi che devono essere pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un’orazione, di una monizione, di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica.
Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo.
Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole «dire» oppure «proclamare» devono essere intese in riferimento sia al canto che alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti. (OGMR 38, pag. XXII)

Fondamentale questo numero che indica delle norme da osservare se si vuole realizzare una buona comunicazione. La voce deve corrispondere al genere del testo, non si può usare lo stesso tono di voce per testi differenti. Una lettura va proclamata, un’orazione va pregata, una monizione va spiegata, un’acclamazione va gridata, un canto va cantato. Solo così si riesce a dare la giusta voce ad ognuna di queste varie forme di parlato, altrimenti tutto diventa piatto, monotono e insignificante.

La voce deve fare i conti anche con la forma della celebrazione; significa che deve essere adeguata alla struttura dei vari riti, rispettandone contenuti e significati. Sarebbe un controsenso e un fuori luogo se usassimo la voce in maniera impropria e inopportuna e non adatta a talune celebrazioni.

In una celebrazione solenne il tono di voce deve essere adeguato a quel momento solenne; quindi è fuori luogo una voce intima e mormorata, una voce silenziosa e misteriosa, una voce priva di carattere e poco risoluta.

Naturalmente ogni lingua ha le proprie regole e i propri significati, la particolare intonazione e il particolare colore; per esempio celebrare in italiano o in latino crea diversi comportamenti di ascolto e una diversa percezione linguistica. Con l’italiano io mi sento a casa e quindi la voce ha un impatto diverso da un ascolto della lingua latina.

Una conclusione: non è sufficiente aprire la bocca e parlare, ma quando celebriamo, quando annunciamo la Parola, quando amministriamo i sacramenti, la nostra voce diventa un segno sacramentale. Ecco allora l’importanza che questa voce liturgica sia adatta, conveniente, adeguata, comprensibile; una voce che scompare dietro la Parola che annuncia, una voce che aiuta la preghiera della comunità celebrante.

Il presidente e i vari ministri e ministeri nella liturgia sono portavoce e voce di Dio, afferma Baroffio.

In questo contesto trovo molto utili e interessanti alcune considerazioni di un grande pensatore ebraico, Abraham Joshua Heschel nel volumetto “Il canto della libertà” edizioni Qiqajon, Comunità di Bose. Lui scrive:

“Il canto conduce alla preghiera. Quello che intendo per distacco della musica del cantore dalla parola liturgica non è il canto senza parole, ma il cantare che contraddice le parole. Si tratta di una questione sia spirituale che tecnica. La voce del cantore non deve né sostituirsi alle parole, né interpretare malamente lo spirito delle parole. Il cantore che preferisce far bella mostra della propria voce anziché comunicare le parole e proporre con chiarezza lo spirito del testo, non accosterà l’assemblea alla preghiera. “Sii umile di fronte alle parole”, dovrebbe essere l’imperativo del cantore […]

La musica è l’anima del linguaggio. Una proposizione ben articolata è più di una serie di parole ammucchiate. Una frase stonata, priva di musicalità, è come un corpo senz’anima. Il segreto di una frase armoniosa sono un ritmo e una musicalità che corrispondano al significato delle parole. Dev’esserci sintonia tra la musica e il testo. Nel testo che il cantore esegue tale sintonia a volte manca penosamente. Si resta traumatizzati ascoltando pensieri stupendi espressi con accentazioni e cadenze errate: parole sublimi combinate con musiche grossolane. Tanta parte di quello che udiamo nella sinagoga è estraneo alla nostra liturgia. Molta parte della musica che sentiamo distorce e persino contraddice le parole, anziché dare loro intensità ed esaltarle. Una musica di questo genere ha effetti devastanti sulla nostra ricerca di preghiera […]

Perché la musica del cantore riacquisti la sua dignità non sarà sufficiente studiare la natura autentica della nostra tradizione musicale. È necessaria una rinascita liturgica”. (Abraham Joshua Heschel, “Il canto della libertà. La vita interiore e la liberazione dell’uomo”, edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 1999, pagg. 16 e seguenti).

Tale discorso si adatta anche a noi!

4. Piccola bibliografia di riferimento

  • Michel Corsi, La Parola e la Voce, edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2013
  • Claude Duchesneau e collaboratori, Parola del Signore, una guida per la celebrazione della parola, Marietti, 1983
  • Abram Joshua Heschel, Il canto della libertà. La vita interiore e la liberazione dell’uomo, edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 1999

Autore

  • Mons. Antonio Parisi, nato nel 1947 è sacerdote dal 1971. Studi teologici al Seminario Regionale di Molfetta, diplomato in Organo nel 1976. Consulente per la musica sacra per oltre vent’anni presso l’Ufficio Liturgico Nazionale, attualmente membro della Consulta Nazionale dello stesso Ufficio della CEI. Direttore da oltre 25 anni dell’Ufficio Diocesano di Musica sacra della Diocesi di Bari-Bitonto e dell’Istituto di musica per la liturgia. Autore di circa 200 canti liturgici, tutti pubblicati presso le edizioni Paoline e diffusi in tutta Italia. Dal 2017 ha fondato insieme a Carlo Paniccià la rivista gratuita on line di musica e liturgia Psallite!.

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Mons. Antonio Parisi, nato nel 1947 è sacerdote dal 1971. Studi teologici al Seminario Regionale di Molfetta, diplomato in Organo nel 1976. Consulente per la musica sacra per oltre vent’anni presso l’Ufficio Liturgico Nazionale, attualmente membro della Consulta Nazionale dello stesso Ufficio della CEI. Direttore da oltre 25 anni dell’Ufficio Diocesano di Musica sacra della Diocesi di Bari-Bitonto e dell’Istituto di musica per la liturgia. Autore di circa 200 canti liturgici, tutti pubblicati presso le edizioni Paoline e diffusi in tutta Italia. Dal 2017 ha fondato insieme a Carlo Paniccià la rivista gratuita on line di musica e liturgia Psallite!.